Pier Massimo Forni è nato a Bologna nel 1952 ed è morto nel 2018 a Baltimora, dove insegnava storia della letteratura italiana alla Johns Hopkins University. Le sue raccolte di versi: I marmi, Stemmi (Scheiwiller), Hotel Pace dei Monti (Greco&Greco). Critico tra l’altro di Dante e di Boccaccio, dei fioretti di San Francesco, aveva anche dato vita a un movimento del buon vivere civile, il “Choosing civility”, una sorta di “neoumanesimo del XX secolo”. Choosing Civility: The Twenty-five Rules of Considerate Conduct, The Civility Solution: What to Do When People Are Rude, The Thinking Life: How to Thrive in the Age of Distraction, sono i suoi libri sulla Piccola filosofia del vivere civile (tradotta in Italia da Longanesi) che lo hanno reso noto negli Stati Uniti.

https://en.wikipedia.org/wiki/P._M._Forni

 

POESIE

da STEMMI

*
Come somiglia questo cupo sgombero
che è far poesia, all’emetica.
Lo stesso sforzo stringere la penna tra le dita,
metterle in gola sulla porcellana

perché per scrivere un verso
quanto credito, in ogni modo,
devi dare alla vita e quanto più forte
è la vertigine della crollata di spalle.

*
Spezzare il biscotto
di qualche parola
tuffarlo nel latte
vedere se cola

un verso o qualcosa
da mettere in bocca
veder se mi tocca
la spina o la rosa.

*
È la casa di zucchero
al calar delle tenebre
ha scalini di sughero
e pareti di cenere

gli abitanti son sordidi
con un’anima soffice

sono stolti e perversi:
è la casa dei versi.

*
Cosa dire d’ogni cosa
avuta o stata non so.
Non sai che della vita
ho un moderato orrore
e una memoria ritrosa
che crolla, con grazia,
le spalle. Lo sai, io
non lascio al passato
che un flaconcino di sangue:
ben stretta tengo la mia ferita.

*
I capelli gonfi di sali e d’immagini
(nel silenzio ghiacciato dello stadio le perle
—————il settembre alle tempie
dopo l’allenamento il verde del sole
—————il nero della luna
in arrivo dalla laguna di là dove Sant’Elena scende
i ginocchi nell’acqua tenendosi a ponti
e giardini e le fanciulle e le sirene
della motonave… spinge nelle carni più brune
al lido al lido ultime fiamme
di sogni dipinti passano sulle guance
ai moti estremi degli amanti e del giorno
—————ai davanzali
spandono l’ultima chiarità le vene dolenti
pallide carni il salotto sbigottito due tazze di caffè
com’è chiara la sera e come gli anni)
io pettinavo nella voragine dello spogliatoio
sull’orlo della vasca, con un dito
di lacca sopra il cuore.

*
Anche se il sole è sereno e par
beccare domestico i piedi alla Vita
fitte son le quieti cadenti e trae
una foglia ciascuna
volge in altro la gola la formica la mosca
e il foglio bianco,

gira di là la luna dei lati sinistri
delle temibili proiezioni
delle algebre che rimbalzano.
Sulle vene di quali scalini dorme
l’Oblio d’ogni singolo Moto
d’ogni passo d’addio?

Porta le ingiurie del paesaggio
azzoppato passo del vento
nel tiglio che si scarta,
vieni quando scarta il tiglio il velluto
dei passeri a un bersaglio
d’occidente.

Occidente, occidente ove il vano muore
ov’è il cuore del vano,
tutto è congedo, il metro e il derma,
l’occidente e l’ingresso delle stagioni
ha la bocca piena di sangue.

Rubatemi questo giorno di frecce.

I segni dei tempi, la storia
Ieri la storia stava un po’ svenuta
e un oblio fingeva ilare e tramortito
erano eterni gli inganni degli amanti
e delle alterne leggerissime stagioni.

Qualche passo agghindato di colorati lutti ora
muove una danza che il capo getta da ogni lato,
di splendidi congedi un offuscato ritratto
vuoi fare questi versi e va bene, ma tu

vorresti allacciarla coi nastrini, trattenerla
con le frange, gli stucchi, le quartine?

Partita di fine stagione
I versi sono mezze ali
che girano se la squadra gira
o almeno c’è un tormento
di gioco, un tentativo di rimessa

ma qui ogni corsa è smarrita
in spazi laterali, i ginocchi sventati,
i colori inchiodati in un addio.

Sembra il giorno di una imbadierata retrocessione.

Por fine al canzoniere
Non perdiamo del tempo in un paesaggio
per sbrigare la vita in due parole.
Ecco: pareva uno sparo, un destino
ed era lo scoppio di un sacchetto di carta

così basta così
questo lungo brindisi sopra un capriccio di sangue.

All’appuntamento con la mia biografia
andai travestito da paesaggio.

Disse: “mi manda a dire che non può
anzi che non c’è, insomma si cusa, veda lei.”

Ed io raccogliendo le forze e le prime foglie
cercavo di distinguere i tratti, ma troppo
mi occupava raccogliere le forze, le prime foglie…

Frammento

e inutilmente spegnesi la notte
ai moti estremi ai congedi chiamando
fuori gli amanti su le pallide scale

e al primo mordente fresco
e tutte le stelle sparite fuor che Venere
anche l’età glabra vien meno
cui attorno vacilla i temuti confini
della notte e del giorno.

Segni di Primavera a Denver
Leggete le mie poesie ma non parliamone, ora
è l’inganno di più chiari risvegli
che torna con un volo alle magnolie
e presto cerca il sole le facciate
quando un vetro è tuttavia nell’aria
con la gola ed i fiati lo spezziamo.

E mentre al calendario s’apre ed è disteso il passo,
ancora come un denso ritornello
scontri terribilmente mite e acuto
negli accesi dipinti delle vie
il sangue in fiore delle donne
il sangue delle donne in fiore.

*
Darò un torvo addio alla sintassi
un giorno, i lazzi convulsi degli scaffali
congederò, i righi alle lune, altre ali
alla carta del cuore, al cuore altri passi.

Lievemente inesatte le carte sortite, gli assi
legati a imprecise figure fatali,
il banco ingombro passerò, tali
venendo i miei versi: i miei piatti più bassi.

Wafers, wafers, doppia polvere
grammaticale, amaro gioco,
il becco vi colga folle del calendario, sento

girare i mesi acquattati ma alla cenere
la brace ancora brilli prima che spento
manchi degli inutili desii l’ultimo fuoco.

Lettera a Stella
Sai, sono già cotto
come poeta,
sono ai colpi di tosse,
ai buoni motti,
i versi hanno il mento rotondo
e le stanze tinelli svedesi.

Sai, ho il gioco affranto, elegante,
del buon centravanti a fine carriera,
protegge la palla col corpo
il moto di spalle un’alta
conversazione.

Non vedi come parlo distante
come per far venire sera
con che stacco e ironia io sia spento e sublime?
È grande solo il decoro
con cui prendo la via dello spogliatoio,
i calzoncini intatti, il numero alla schiena.