Pier Luigi Ambrosini è nato nel 1944 a Sorisole, nella provincia bergamasca, e vive a Bergamo. Ha pubblicato le raccolte Notturni  (Edizioni del Leone, 1988, segnalata al Premio Montale), Caccia al tesoro (Edizioni del Leone, 1992, in cinquina ai Premi Dessì, Ungaretti, Gatto e segnalata al Premio Carducci), Parabole del mio cristianesimo (Il Maestrale, 2005) e poesie in antologie (Giulio Perrone Editore, Ibiskos) e su riviste (“Anterem”, “Il rosso e il nero”,  “Zeta”, “Via Lattea”, “Il foglio Clandestino”, “Il segnalibro”, “L’osservatorio letterario”). Partecipa al Progetto Babele (online la raccolta Poesie della mia più inutile angoscia). Ha svolto un’ampia attività recensoria relativa ai libri di poesia contemporanea. Il suo esordio di scrittore risale al 1985 sulla rivista “Linea d’ombra” diretta da Goffredo Fofi con la pubblicazione del racconto Alla catena, segnalato da Cesare Cases e recensito positivamente da Primo Levi e Fernanda Pivano. Alla narrativa si è dedicato scrivendo racconti (il suo Predica in preparazione alla domenica della Pentecoste  ha vinto il Premio ARCI Siena, pubblicato dalle edizioni Betti) e romanzi: Eravamo grandi amici (Del Bucchia, 2017), Donne donne donne e poco altro (Del Bucchia, 2018), Avrò il mondo in tasca (Del Bucchia, 2019).

perluigiambrosini@tiscali.it

POESIE

Mio nonno
Quando era piccino
mio nonno coceva la pasta,
per guadagnare tempo l’acqua trascurava.
Nella Grande Guerra
partì fante soldato,
per non caricarsi di peso
nelle marce il fucile lasciava in trincea.
Anche taluni miei vicini al mercato
vendono cipolle, barbabietole e calze ( per uomo ),
per non spazientire la clientela resto & buongiorno     tralasciano.
Poco danno,
in troppi non sanno
quanto con impazienza
attendevo il  carnevale
nella mia gioventù:
tu, gioiosa
(dentro  veli di color amaranto celata )
ti adagiavi nelle mie braccia,
ma quando giungeva la mezzanotte  fuggivi
di un altro ritornavi l’innamorata.
Allora imprecavo contro gli dei
che tanto male  volevano a me ed  al mio amore incompreso;
il mio sogno più intenso svanì,
svanì un amore infuocato e disperato
che avrebbe superato le montagne più innevate,
un mattino
cercai la brocca sul comodino,
mi feci il bidè,
recitai tre pater ed un requiem
(trascuravo le ave, non mi appassionavano)
e compresi che tu,
fiore d’ineguagliabile nitore,
eri uscita dal mio cuore,
ringraziai mio nonno
che dal fronte a piedi era tornato,
si era sposato,
dalla  sua unica figlia ero venuto al mondo io,
ero il primo maschio che non distingueva
un principe di Galles da un frutto,
ma imitavo il verso dell’allodola,
il movimento delle serpi,
la forma del frumento:
ero un vero portento,
da tutti in città e nelle valli intorno ammirato
non mi bastò per campare senza problemi.
Nella nostra grande casa,
grande ma non eterna,
qualcosina quell’ometto apprese
mentre a piedi scalzi
si aggirava come un sovrano
seguito dalla glicine e dal melograno:
l’amore è come un frutto di stagione
gustalo ma coi semi espelli anche i ricordi;
in più, se ti va di campare sereno
il portone di casa,
se ti è possibile, non varcare mai.

Il Molise confina con gli Abruzzi
Il Molise confina con gli Abruzzi,
la Toscana con il Lazio,
questo  i testi riportano.
Oggi mi sento particolarmente istruito,
a scuola per vent’anni mi recai,
nozioni, devozioni, temi ed eritemi
imparai,
non un giorno saltai
inventandomi  male di pancia o di schiena,
fui tentato, eccome!
mai deviai verso il vicino mercato
le mia budella
sono tuttora insoddisfatte,
——mai un carciofino,
——mai un peperoncino,
——mai una professoressa per sognare
——di farci l’amore sopra due banchi accostati;
tasta la mia pancia dottore,
controlla la mia intelaiatura,
sono disponibile per una punturina
o a tuo piacimento per un clistere.
Il pitale mi attendeva ai piedi del letto
che mia madre predisponeva
con geometrica perfezione,
ancora i miei occhi lo raffigurano:
uffa, che pena oggidì,
non piove, non grandina, domina una nebbia scherana,
a tratti villana,
Gli Abruzzi non confinano con il Molise,
od il  Lazio con la Toscana,
neppure mi consola il ricordo di mio nonno
che a poker si era giocato anche la luna,
per mera sfortuna il debito
non aveva saldato
per sei mesi meno un giorno
in prigione l’avevano ficcato.

Tremo
Tremo sopra il tuo corpo sfatto,
tremo  per il gran misfatto,
tremo  a non udire più la tua voce,
esulto quando affianco il treno
ed in velocità lo supero,
non mi fa oltraggio il fiato.

Ah, fossi stato io un nano,
sotto le tue gonne sarei sgusciato,
fossi stato  all’occhio altrui negato,
quale peccato non avrei commesso,
quale oltraggio non avrei perpetrato
poi con sacchi di cenere sul capo disposto ad espiare.

Tremo sopra il tuo corpo decomposto
tremo per questo inverno che incalza feroce,
tremo quando penso a te
che non ti affiderai più al mio ardore.

MANI
Stringi con forza i polpastrelli delle tue mani
fanne catena contro i marrani,
offri loro una difesa
dai barbari che invadono il mondo,
offri loro un barlume,
uovo senza albume.
Gioca e rigioca nello spiazzo del cortile:
figlia mia non uscire!
con il bazooka spara il nemico,
tua madre ti partorì e disse: “vai!”
Anche il buon Dio ha i suoi guai:
stringi con forza i polpastrelli delle tue mani.
Eli, non rivelarmi che ignori quanto
per le formiche siano giganti i nani!

Siringa
Osservo la siringa nella tua mano :
——amore villano,
——amore profano,
scorgo la strada oltre la tua meta,
come una mela l’hai aggredita.
Lo valutavi  un gioco
attratto dal fatuo innamoramento:
——canto stonato
——canto sbadato.

Lungo la strada non s’incammina il viandante,
l’autunno offre san Martino e la desolazione del suo cielo.
La cena era stata predisposta,
scoppiettavano i tizzoni nel camino,
non ti accomodavi
in piedi  restavi
ancora trattenevi la siringa nella mano:
——amore sempre più villano,
———————–__amore  sempre più profano.

L’inferno
Avevo prelevato la dentiera dal bicchiere,
con cura dentro la bocca me la ero sistemata,
la camicia screziata,
sui piedi le calze appropriate,
il rasoio sul mento per dichiararti intero
quanto il mio amore è sincero.

Dimmi: dov’è l’inferno
—————-com’è l’inferno
come sono le sue fiamme allungate,
le  inventarono assieme al Padreterno
per accettare la polvere dei miei genitori
anziché correre in cortile
e giocare
con le uova sode
che furono biglie nel mio autodromo sul selciato?

Non ho rinnovato la patente,
guido contromano,
l’aeroplano vola troppo basso,
i tetti della città sfiora,
——dal viso mi levai le rughe
——i capelli permangono folti,
i miei anni non mi accomunano alla gente:
ugualmente invecchio, ugualmente i miei raggiungerò.
——-Eppure avevo prelevato una ciliegia dal forziere,
con cura sopra la lingua l’avevo adagiata:
e allora?… Allora viva l’aranciata amara!
————viva il bel sonno quieto e profondo,
——————viva (quando gira) il mappamondo.

L’inchiostro me lo getto addosso
L’inchiostro me lo getto addosso,
dopo averli spremuti
dentro l’imbuto
c’infilo un’arancia e due pomodorini di Bisceglie:
ragazzo mio, le gambe avevi trascurato
——di  portarle teco,
——la mia bevanda avevi rifiutato,
——grazie alla carrozzina
——ugualmente te la spassavi
su e giù
per i gradini di piazza di Spagna.

Se ne stava appoggiato al colonnato
——il nero indolente
——sino a noi approdato
——dal suo continente:
——lui beato
——per quanto affamato
——in tasca reca il bicarbonato:
——credetemi, non scherzo coi santi
——e lascio tranquilli i fanti.
——————Io gioco e osservo
——————io osservo e mi gratto.

Sono cresciuto in un campo d’ortiche
——Sono cresciuto in un campo d’ortiche,
per proteggermi dovevo spegnere la luce.

Sono vissuto cercando le carezze,
agognata strada ferrata
quando ci si appresta alla fermata.

La mia bocca è vuota:
complimenti alla cuoca.
La mia bocca è assetata:
perché diavolo mi lasciai tentare dall’insalata?
Troppe spezie avevo ficcato tra le sue foglioline
per meglio piangere sui miei peccati.
La mia bocca è innamorata,
di un amore che è come ciliegia dalla pianta caduta,
buon uomo,
amico mio,
non procurarti gran daffare,
oltre la cucina vi è il mare.

Ieri incontrai una donna che sembrava mia madre
Ieri incontrai una donna che sembrava mia madre,
presi il cuore tra le mani e passai oltre.
——Questa vita che si frappone,
——questa vita che non fa rima con ortica
——eppure punge.

Avevo incontrato  una vecchia che mi era sembrata mia madre,
insulto che il tempo si premura di recarle
come il lampo che non si trattiene nel cielo:
——sfacelo,
——i fiori sono belli,
——i fiori sono tanti,
——collocati sopra il marmo a lei  davanti.
Dov’è finito il tram,
dov’è finita  la polvere sulle scarpe
——che induceva al desolato rimprovero
——della più dolce delle mamme,
dov’è finito il mio liceo,
dov’è finito il venditore di castagnaccio,
dove  sono finiti i miei sogni,
——mai dimenticati,
——appassionati,
——ormai resi carta straccia?

Ieri incontrai una donna che sembrava mia madre,
—-ma non era lei,
—-come perdonerò  Iddio
—-che si era preso gioco di me
—-e
—-per un attimo me l’aveva  restituita?

Sul fornello
—————–Sul fornello
—————–avevo riposto una fondina colma d’aceto.
——“Per meglio condire la minestra
——del mio micino” avevo spiegato
——————alla mia dolcissima consorte stupita,
———–il gatto  mica noi ce l’abbiamo,
———–le sue unghie non graffiano i tessuti del nostro divano.
———–Marameo!
———–L’aceto cotto lo gusto io,
———–ci mescolo la maionese,
———–i capperi,
———–le foglie tritate dell’ortensia
———–del mio giardino,
———–questo elisir lo butto giù con un bicchiere
———–di Barolo annata 1995.
———————-Ehi, vi prego,
vi supplico,
vi scongiuro,
che la mia mogliettina
———–non ne venga a conoscenza,
———–agisco con circospezione,
———–lei è docile,
lei  è sottomessa,
———–eppure mi giudica stravagante,
———–talvolta persino matto,
———–si rifiuta di assaggiare
———–la mia pietanza,
———–non è gradevole al suo palato
———–mi dice e mi ribadisce.
—————–Come non comprenderla?
—————–Gli esseri strambi a questo mondo sono tanti,
———–tutti convinti
———–che ogni  due più due necessariamente conduca a quattro,
———–lo appresero dalla maestra
———–e lo accettarono senza fiatare:
——suvvia,  se non ci aggiungi un poco di tuo
———–di quale gusto saprà mai la minestra?

Anche oggi non è giornata
Anche oggi non è giornata.
——Non ho gustato la frittata,
——l’ho rifiutata
le ho preferito l’uovo
——con sale e limone mescolato,
——d’un fiato l’ho ingoiato.

——Forse ero troppo assonnato.
——“Bambino, non essere screanzato.”
——Che diavolo vuoi, vecchia befana,
——sino a ieri lavoravi come puttana
——nella strada sotto casa,
——mio padre non si fermava,
——anzi il passo accelerava,
——mio nonno agonizzava,
——a noi impedivi di emulare i gol di Maradona
——contro la saracinesca del tuo box
——c’imprecavi contro.

Oggi davvero non è giornata.
——La palpebra mi cede,
——l’automobilista non vede:
——abbi fede!
——Solo quella? Che iella!

Cremazione
Stamani ti cremarono, anche l’atto conclusivo venne consumato,
improvviso atto,
quando luminoso ancora giostrava il sole.
——Tu, al bar accomodato.
——Tu, come cono di gelato.
——Tu, accaldato e assetato
per il rimpianto di una giornata che si annullò
dove si radunano le lucertole
e le spine richiamano insetti quanto il gobbo l’amore.
——Tu, mai infastidito dalle auto che sfrecciavano.
——Tu mai annoiato dalle ragazze che spettegolavano
——nelle gambe e nei seni che esibivano:
che cos’è il sole, perché c’è il sole, perché non lo ammiri.
——Tu, come cono di gelato.
——Tu, uomo finito cremato
——sino a ieri nei tuoi testicoli superbo:
——malerba, riserva, pianura, rottura,
——pietà, rinuncia, disperazione, eccitazione: di che ?
—————————————————di chi ?
—————————————————per chi ?
Forse la palla presente nel cielo non è la Fata Morgana,
ma: tant’è,
è così,
forse è una lapide neppure collocata
per comunicare l’epilogo dell’ avventura di un uomo
solo dedito al lavoro e alla famiglia
Al bar non gracchia più il cellulare del cliente più assiduo,
del cliente meno parsimonioso:
manca stamani,
mancherà posdomani,

La nostra statistica
Se ti avessi avuta accanto,
—–amore,
23 h. per settimana
via avrei gettato
(o via avremmo gettato)
86/100 di giorno.

Se però come cono gelato,
e lo fosti per un ipocrita mese,
ti avessi gustata
per non più di 8 h.
rubate ai nostri profitti settimanali,
pur detraendo  le mie notti insonni,
comunque al tuo profilo dedicate,
di pari passo perlomeno otto
delle ventiquattrore di ogni dì
al portarifiuti avremmo consegnato.

Con quattro ore  nel quotidiano
avremmo reso zero lo scarto quadratico
e tacitato il detto
di chi ha e non aspetta il tempo:
il tuo corpo,
sospirai,
Gesù mio,
quattr’ore di fila per  assaporarlo
perché mai? mai? mai?…

A cotanti risultati,
—–amore,
condurrebbe la Statistica
scienza, si afferma, per eccellenza.
Invece dalla nebbia venisti inghiottita
a riconferma della teoria di un pollo a testa,
che esatta media aritmetica produce
se nel tuo frigo un paio ne conservi
e nel mio la speranza dileggiata.

CONSOLAZIONE
Mai mi sarei immaginato,
amore mio tenerissimo,
la bellezza abbandonare i tuoi tratti,
di sollevarti la gonna
avrei smarrito l’ardore.
Mi permane la tua voce,
la tua indomita voce,
la tua esaltante voce.
Ti avevo avuta in me,
al mio corpo ti eri aggrappata,
mi avevi anelato,
mi avevi trattenuto,
mi avevi eccitato,
ti ero apparso uomo,
quell’uomo che talvolta anch’io mi ero ritenuto
per frodare la mia carta d’identità.