Paolo Ottaviani è nato a Norcia nel 1948 e vive a Perugia. In poesia ha pubblicato: Funambolo (Edizioni del Leone, 1992, prefazione di Maria Luisa Spaziani), Geminario (Edizioni del Leone, 2007, poemetto in un idioletto neo-volgare e in lingua italiana, nota critica di Paolo Ruffilli), Il felice giogo delle trecce (LietoColle, 2010, Premio Verba Agrestia), Trecce sparse (Grafiche Fioroni, 2012), Piccolo epistolario in versi (LietoColle, 2013, corrispondenza poetica con Walter Cremonte), Nel rispetto del cielo (Puntoacapo, 2015, postfazione di Mauro Ferrari). Ha pubblicato negli Annali dell’Università per Stranieri di Perugia saggi sul naturalismo filosofico italiano. È stato direttore della Biblioteca della medesima Università e ha fondato la rivista “Lettera dalla Biblioteca”.

paolo.ottaviani@libero.it

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POESIE

da FUNAMBOLO

Apocope
Esile azzurro di settembre
————-dolci cosmogonie lungo i filari
————-al chiurlo del falcetto si stroncava
————-la gramigna infestante e le celesti meccaniche
————-che ingenue senza gli dei
————-ruotavano le stelle e la mia essenza.
Esile azzurro dei tuoi occhi
————-apocope del mondo la tua mano
————-salda sul raspo e lieve alla secreta
————-pruina segnalava già solitario
————-il tuo destino e il grappolo dell’uva
————-proponeva ad altri occhi – i miei –
————-di svanire lenti, quasi cantando.

Pastello
Funghi sulla collina,
aria che zampilla
e irride la maestà
di querce secolari.
Allegro il mondo.
La pecora china al suo pasto
d’erba e di saggezza:
bianca sul verde.

Fantasmi
Gioia di vivere è questa notte tutta distesa
lungo l’inesausta fiamma di un caminetto
e un dio ondeggiante illumina e nasconde
ogni viva cosa e la sua dolce essenza.

Ma al chiaro fisso del giorno
domani solo fantasmi saremo
curvi sulla terra sotto la battente luce
dissolti in evidenza.

Senza una rosa
Conquistare un’eternità dissonante
non è possibile
se veniamo uniti
dal buio e dalla luce
senza più tempo
senza una rosa.
Non resta che l’umana pietà
e la paura
se veniamo divisi
dal tempo di un fiore
e le nostre parole
fanno storia soltanto.
Dispersa la corolla
intuire che non siamo
se non polverosa ventura
di polline
musicali forse, ma invano.

Più nulla
Poi più nulla
se non tempo uniforme e ridente
se non tempo disperso nel vento.

E questa foglia spezzata tra denti
e questo freddo che brucia il mattino
e questi ulivi storditi d’azzurro.

Sonno
Sonno. Libero e luminoso.
Insieme fondi vita morte
e amore. Inaccessibile
sovrano sei forse tu il tenebroso
padre della luce e del colore?

Piazza IV Novembre
Sulla piazza pulita dal vento
sosti all’incanto di una vetrina.
La gente passa leggera: è trasparente
la tua acerba felicità e ciò basta
a non parlare. Una nuvola nera
di piccioni va rumorosa
alla profenda e fermo risali
dall’inquieta tua voragine di dubbi.
Cammini leggero tra la gente
sulla piazza pulita dal vento.

Linguaggi
“La parola è il cenno e il suono del silenzio”

(M. Heidegger, L’essenza della filosofia)
Quel canto in silenzio raccolto
sulla curva estrema del mondo,
—————ricordi lontane viole, chiuse nel vento?
Il suono si smorza nei vuoti
e la luce col buio s’intreccia.
—————Nei piovaschi ricordi quei volti?
Ci sono soltanto case e parole

sul limitare dell’acqua del mare,
—————le reti sfuggenti all’azzurro, ricordi?
La sera è gonfia di sale
e il mare s’inarca alle stelle.
—————Ricordi le luci fioche sui monti?
Si dicono erranti parole
sulla porta socchiusa dell’eco,
—————non vedi quei muri a difesa così grigi, così sordi?
Difendono erranti parole non dette
da umani linguaggi in ricerca.
—————Nella nebbia non vedi sembianze?
Aurighi sfrenati nel cielo
volano al di là delle mura.
—————Spiragli nuovi di luce di lontano non vedi?
L’acqua col fuoco si perde
e il vento roccia diviene,
questo nostro dolce vento dell’anima.
—————Vedi, ricordi.

Un dio
Non io ma un dio talvolta
produce il verso misterioso
e nell’oceano che s’apre
tra una parola e un silenzio
festoso navigo e attento.

da GEMINARIO

PROGEMINO
A tiempu martello—————————-Al batter dei miei palpiti una creta
‘sta marna dura——————————-fendo e plasmo con l’arte che modella
co’ l’arte que tello—————————–lingua e materia che inventa poeta,
inpasta fegura

e può comma quannu————————poi come quando d’improvviso gemma
amiddala gemma—————————–mandorlo bianco, primo fior dell’anno,
primisia de j’annu—————————-bella magia risolve dilemma:
resorve dilemma

primisia vetusta——————————-primizia viva di lingua vetusta,
e nova de lengua——————————primizia morta di lingua novella,
recorda ra frusta——————————rammenta corda, biforcuta frusta,
co’ striscia bilengua

que rapre a lo sangue————————-che taglia nelle carni ed apre al sole
re strai de ru sòle,—————————–sentieri nuovi alla parola spenta
parola que langue—————————–e rifugge con balzi le tagliole,
zompa re tajole,

comma vorpe roscia————————–come la volpe nei prati d’inverno
pe’ prata d’inverno—————————-teneramente affonda nella neve,
ne’ ra née floscia——————————-torna a saltare, s’arresta e materno
arizza materno

r’istintu e ra cóa——————————-alza l’istinto, per rabbiosa fame
puntenno ra tana—————————–drizza la coda e annusa la tana
do’ retroa póa———————————dove ritroverà solo fogliame.
pe’ fame mattana.

Ra lengua sabina—————————–Dal vespro all’alba la lingua sabina
de notte fanata——————————-nell’ansietà del sogno e della veglia
resona a matina——————————si frantuma e risuona eco a mattina,
scaicchiata, schidiata,

favilla de sugnu——————————scintilla che risale dal profondo,
da ‘n suonnu prufunnu———————oscuro desiderio di intonare
que siente bisugnu————————–diafano canto, gemino e giocondo,
de cantu jocunnu,

favilla de Venere—————————–scintilla forse più bella di Venere,
que priestu se muta————————–caldo stupore che già si nasconde
in sparuta cenere—————————–tra la minuta, polverosa cenere,
fuscata, soluta,

favilla clarita———————————-scintilla che tra le spire fiorisce,
que passa manente—————————di sua sola luce tutta splende,
mo’ ppropiu fiurita—————————muove col vento e nel nulla perisce.

è reita a ru gnente.

Nota
La musica è avvertita come entità originaria e suprema, inscindibilmente legata all’idioma primigenio: un idioma antichissimo, appena conosciuto in terra sabina come il più complesso strumento creatore di ritmi e di suoni. Poi viene la luce, madre del tempo che divide e costringe all’oblio e poi ancora, quando ormai si è immersi nel magma della storia, la flebile eco delle armonie del linguaggio originario, teso a farsi poesia, ma in sé scisso, sdoppiato nella traduzione e perso nella frammentazione della memoria.

GEMINO PRIMO
(In memoria del padre e della madre)

Piagnìanu ‘n bianche——————–Piangevano in silenzio lungo bianche
piste de renella—————————stradine, impervi, renosi sentieri,
su ‘nparcite panche———————-dentro nicchiette, su tarlate panche,
de nicchia o cappella,

ru friscu de nòa—————————la pungente frescura della luna,
erbetta e de luna,————————-dell’erba rugiadosa, benché triste
benanche que piòa———————–cada la pioggia e malvagia fortuna,
orbata furtuna

aprile era dorce—————————dolce stagione era d’aprile, bella
de celli e sperella————————-di passeri nel tiepido del sole,
a buju re torce—————————-fiaccole a notte poi la marturella,
e ra marturella,

ru feru battutu—————————-ferro battuto inchiodato nel legno,
‘nchioatu su legno————————con il rintocco sordo un chierichetto
sonava chercutu————————–mesto cantava musica d’ingegno
ru puoru congegno

e l’arba s’arzava—————————e l’alba cristallina risuonava
slargata de luce,—————————schiusa alla luce tremula di rosa,
de sopra ‘n’ottava————————-l’armonia si alzava di un’ottava,
ru cantu recuce,

madonne de tera————————–madonne di ceramica muschiata
un suffiu de voce————————–e quegli occhiuti, rapidi bisbigli
clinata maniera—————————correvano tra gente inginocchiata.
rensegue veloce.

Ra luna pasquale————————–Pallido raggio di luna pasquale
ajamà calante,—————————–volta ad oriente, già in fase calante,
su ru capezzale—————————-malfermo lume intorno al capezzale,
un radiu sclarante

vejetti d’aprile,—————————-il padre solo stava nell’aprile,
e pàrimu suoru,—————————quasi temendo ferita di luce
derentro ‘n suttile————————-nel suo spirto segreto e gentile:
bajatu tesuoru

que iju quarantottu———————–quel millenovecentoquarantotto
que m’ia fijatu—————————–tempesta che mi aveva generato
arìa mo’ rottu——————————sogno sognato avrebbe presto rotto
ru sugnu sugnatu

de ‘na roscia tera————————–di un comunismo buono e rossa terra
cummunista e mansa,——————–per uomini e animali generosa
doppo fame, guera,———————–dopo prigione, genocidio e guerra.
prescione e mattansa.

Nota
È la primavera del 1948.

GEMINO DECIMO
O maistà de monte————————Tremula maestà della montagna
in luce de luna—————————–nel tacito chiaror di luna nuova,
gurgùliu de fonte————————–ferma il respiro, diletta compagna:
co’ lengua cummuna

eppuro deversa—————————-è l’arpeggio notturno della fonte
‘rcuntimo de notte————————-che ci racconta la favola azzurra
ra fabbula tersa—————————-e precipita entrambi all’orizzonte,
qu’entrambi ce ‘ngnotte:

a te pecoraju——————————-ecco, pastore, questa umana luna
umana recconto—————————che fa chiara la notte quando sorge,
ra luna a nevaju,—————————più bella di un diamante su una duna:
brellocchiu a tramonto,

co’ navi de spasiu————————–degli astronauti, che intorno alla sferica
lassù suò lunati—————————-luce venata volano in scafandri
ma tu nun siè sasiu————————e saltellano al ritmo di un’eterica
de essempli ducati,

respunni que luna————————-musica lenta, incredulo sorridi:-
sta sanza fenetra————————–non ha porte la luna né finestre,
e porta nisciuna—————————– dici – e di altre ragioni non ti fidi,
que l’omo c’aretra;

ru tu’ falunare—————————–– l’uomo non può lassù giammai migrare,
me puro me ‘ncanta———————–c’è un muro invalicabile in quei lidi -.
e sanza crenare—————————-L’incantamento nell’immaginare
ella tu’ astrinfanta

reguardo ra luna————————–questa luna bambina tutelata
biàta e murata—————————–da celeste muraglia che in eterno
que strana furtuna————————per sorte arcana rimane inviolata
nun vuò mai toccata.

E giri e regiri——————————-lontano ci traghetta su pianeti
pe’ cielo e pe’ monte———————-remoti, mentre mi parli e rimiri
luntanu remiri—————————–quell’orizzonte gonfio di segreti:
a ‘gnoto orizonte:

atre là suò l’erbe,————————–altri fiori laggiù, diversi fiumi,
atri là ri fiumi,—————————–alberi nuovi gemmano, e le fresche
comma nostre acerbe———————nostre parole, nel fulgor dei lumi,
parole a ri lumi

‘rmanimu intuntiti————————si perdono tremanti nella notte:
da tuttu iju chiaru————————-corpi senza riparo naufraghiamo
de j’astri infiniti—————————dentro quel vuoto blu che tutto inghiotte.
e sanza reparu.

Nota
In una notte luminosa di montagna un pastore non vuol credere allo sbarco degli uomini sulla luna, vista come un’irraggiungibile dea familiare.

da IL FELICE GIOGO DELLE TRECCE

Treccia eburnea
(Ad Aldo Capitini)
Me ne sto qui mirando l’arabo campanile
della chiesa di Santo Spirito e quel febbrile
splendore che scemando nell’ombra e nel pianto
dalla terra risale nella sera di opale:

ascolto i balestrucci gridare gioia e fame
nei voli ampi e feroci contro un cielo di rame.
E da pena, da crucci, da tormenti di voci
tra i gelsomini danzano le vespe e si fidanzano:

vedo le infinite
lotte che Natura
dalle più scaltrite
tenebre matura

e le genti che vanno, le morte e vive genti
dai più remoti tempi per sempre compresenti:
le nascite avverranno nel “tu”, nei terreni empi
di frutti da donare, proclivi a trasmutare,

nel coro universale, tutti gli esseri in musica.
Quel colloquio struggente che il tutto con la musica
confonde, siderale soffio infinitamente
aperto ad ogni stella, qui risuona e novella

di festa e salvezza.
Nella sera mite
sfila la purezza
di un meteorite.

Treccia della ragazza dai capelli raccolti
(A Mailis)
La ragazza sorride. Raccolti in un silenzio
acquamare i capelli, cammina nel silenzio
vivo del bosco. Ride se tra sterpi e fuscelli
s’imbatte nei mirtilli, fiammeggianti lapilli

nel più folto dell’ombra. La soffusa raggiera
della luce trafigge betulle di brughiera:
da rugiada e penombra fugge e al secco s’affigge
di un tronco la lucertola che nel verdelucertola

di un ramo scompare.
Col foulard di seta
acquamare a giocare,
come fa il poeta

con i versi, tra gli alberi va la ragazza che ama
ascoltare gli uccelli: nell’armoniosa brama
di inseguire tra gli alberi gli ammiccanti saltelli
di una gazza, s’accorge d’esser là dove sorge

erba da sabbia e il mare con il bosco amoreggia:
l’eco torna e ritorna dell’onda che solfeggia
quel battere ed andare d’acquamarina, adorna
di assidui e alterni suoni la piaggia, il bosco e i doni

che in libertà porge
Natura a Natura.
Siamo eco che sorge
in questa radura.

da TRECCE SPARSE

Treccia dell’ombra del tiglio assente
(Viaggiando in Europa e un poco nel sogno)
Era l’ombra del tiglio sull’asfalto a evocare
l’origine del mondo: mute, gelate, rare
allodole dal ciglio dei rami, come sfondo
di un quadro per l’inverno, scrollavano in eterno

l’ultima neve e dure stramazzavano in strada.
C’era già chi parlava di vento, di rugiada,
delle strane paure che l’uomo coltivava:
“radioattività venefica in città”.

Assorto narravo
quella meraviglia,
piangevo e cantavo
tra neve e fanghiglia.

Nasceva un universo subdolo, incoerente,
nasceva il tempo in fuga rapsodica e veggente:
mi vidi tutto immerso dentro una tartaruga
a scrutare segnali da mobili fondali.

Unter den linden brilla Berlino lacerata,
sul Ponte Carlo Praga, tenebrosa e dorata,
s’illumina e vacilla: tutta l’Europa vaga
tra le ombre e lo sgomento. Ma il tiglio è tutt’intento

alle sue radici.
Spettro di salvezza
su strade felici,
colme di bellezza.

Treccia delle stelle di agosto
(In viaggio verso l’Estonia)
Ho indagato il timore che mi assale d’agosto
quando penso le stelle delle notti di agosto…
quell’intimo bagliore…fulminee gazzelle…
…rose ardenti nel buio divorate dal buio

e i volti che mi sono così cari dispersi
dentro le mie pupille nel gorgo di universi
dal radente abbandono: fughe, voli, scintille
dove l’amore è pietra, la sabbia canto e cetra.

Nuda tra le stelle
nude erra la terra
ed io tra le stelle
erro nudo in terra.

Un brivido mi corre lungo la schiena. Oh magra
cerchia di quelle vette spoglie che nella sagra
dell’anima precorre le mie visioni elette
negli azzurri del cielo! Confine parallelo

che, timido, s’incise perenne nella mente
e ora e sempre mi salva. La montagna umilmente
mi è sorella. Sorrise la roccia agli avi e salva
fu la memoria e il sangue più limpido altro sangue

generoso sogna.
È là a passeggiare,
ma va la cicogna
per nuvole e mare.

da PICCOLO EPISTOLARIO IN VERSI

La croce piegata
L’impeto dei venti o il peso delle nevi
ha piegato una  grande croce di ferro
piantata lassù in cima al monte Vettore
– speriamo per noi benedicente, si augura
fraterno un amico – come segno d’umile
potenza. Ma il vento soffiava più forte…

e cadranno altre nevi, altre nevi… nevi…

I merli di città
Twittering birds are always in this town

Where merchants have always hawked, since.
(Paul Cahill, Assisi, Words on the wing)
Saltellano irrequieti
i merli di città
tra le aiuole e i cartelli dei divieti
beccano qui, chioccolano più in là!
Su piazzette e viuzze
frantumano, fischiando, le ideuzze
che fu solo un baratto
di panìco e non l’atto,
per amor distratto, che disse all’altro:
io zirlo come te, non c’è il più scaltro!

da NEL RISPETTO DEL CIELO

HAIKU
(Natura e cosmo)
I
Due vuoti cosmici
furono padre e madre
di tutti i cieli.

II
Fugge e s’incurva
il tempo tra le stelle.
Corre a spirale.

III
Assai più rapidi
della luce i pensieri
vanno nel buio.

IV
Nell’infinita
distesa delle stelle
s’accampa il Nulla.

V
Poi si sorpresero
la montagna e la luna
d’essere amiche.

VI
La stessa neve
sopra altra neve cade
falda su falda.

VII
Viola immagino
il colore del Nulla
prima dell’alba.

VIII
Calma di vento.
Respira la montagna.
Svettano i muli.

IX
Ghiacciai e vulcani.
Torna a splendere il verde
su altri pianeti.

X
Il mormorio
di querce e faggi illumina
folti silenzi.

XI
La primavera
dispersa nelle steppe
risorge nei libri.

XII
Sboccia la rosa.
che avvizzisce tra spine.
Qui ancora splende.

GRAZIOSA EPIFANIA
Dove andrà questa sera
piovosa di settembre
in quale antro d’azzurro, in quale schiera
di morti, in quale pianto di novembre,
dentro quale memoria
di roccia ogni goccia si farà storia,
fulmine e poesia?
Graziosa epifania
di una pioggia immortale che ricade
sui vivi ma bagna i morti nell’Ade.

UN VIAGGIO IGNOTO
Passeggio per i chiostri
un po’ soprappensiero
dal cuore mi zampillano dei mostri
in forma di parole… un messaggero…
un albero… un villaggio…
in cerca di una vita in un viaggio
ignoto… in un altrove…
Ora non so più dove
e con chi sono e se mi perdo insieme
alle parole o dentro un nuovo seme.

MIO PADRE DIPINGEVA UNA MONTAGNA
Mio padre dipingeva una montagna
e faggi e mulattiere dalla tela
gemmano ancora, la neve accompagna

una bianca memoria che tutela
la terra e i boschi dell’immaginare
come linea ignota e parallela

corre dalla tempesta al limitare
del cuore dove nasce lo scompiglio
che dura dentro i sogni, in quell’amare

confuso tra la neve, il padre, il figlio.

IN UNA SCUOLA DI LINGUA STRANIERA
In una scuola di lingua straniera
più di cento ragazzi intervistati
sul perché studiassero fino a sera

tarda e di che fossero interessati
hanno risposto che no, non per quella
lingua un po’ americana dei mercati

(ai quali più nessuno si ribella)
ma per un gioco – se vai dall’Italia
più lontano che puoi, prendi una stella! –

Ho forse pianto. (Ma non per l’Italia).

LE TRE TARTARUGHE
Tre tartarughe sognano gli stessi
ventosi bagnasciuga dove varia
batte e rientra l’onda e brevi amplessi

offre alla terra. Qui più necessaria
si fa l’essenza occulta della quiete
e corre un balenio, va nell’aria

in fragile evidenza. È la sete
d’amore prima del buio, del vuoto
immenso. Le tre testuggini inquiete

sognano un lido ventoso ed immoto.

LE PAROLE E LA SERPE¹
(…suo arbritatu mundum effinxere

[dipinsero il mondo secondo la loro
arbitraria immaginazione]
Bernardino Telesio,
De rerum natura juxta propria principia)
Se mai ci fu un inizio
fu di fuoco e fanghiglia
e di là pietre, rami,
pesci, serpi e l’umana
carne esaltata e torta
nel pianto autocosciente
di immaginaria morte.

Ma la foglia e la serpe
in un soffio appagato
s’accartocciano ignare
senza fine o lamento.

Sia la parola un dono
oltre il fuoco e le ceneri,
tra la cenere e il vento
in ricerca di luce:
sia la parola il suono
di una pioggia di grazia.

¹Pur nella sua brevità – 17 versi in tre piccole stanze – questo testo ha molti padri ideali – uno di questi è citato in epigrafe – e ha potuto quindi attingere a molti vasti tesori lasciatici in eredità: dalle filosofie e cosmologie presocratiche, alla fisica del taoismo (così sorprendentemente vicina alle più recenti indagini astronomiche), al naturalismo italiano – Deus sive Natura – (Campanella, Bruno e appunto Telesio). Un universo, o meglio, molteplici universi ab aeterno, che inglobano in sé, da sempre e per sempre, spirito e materia, in perenne divenire e trasformazione. In questa concezione non è contemplata alcuna superiorità dell’uomo sugli altri elementi della natura, vi è invece una parificazione ontologica del tutto con il tutto e del singolo con la molteplicità. Di qui “l’immaginaria morte” e l’inesausta tensione del pensiero e della poesia in perenne ricerca di bellezza e di “grazia”.

UN RAMO DI GINESTRA
(Breve modulazione

su La Ginestra o
il fiore del deserto
di G. Leopardi)
Questo ramo ti dono di ginestra
non per progressive sorti ma per vago
eterno amore che senza vergogna
si mescola alla terra e lentamente
dinanzi al sole
fiorisce nei grappoli dell’oro e del profumo.

Non renitenti soccomberemo
al buio luminoso della morte:
non dell’oblio
ché a primavera tu, vaga parola,
e tu, filosofico fiore,
narrerete ai deserti
questo amore.

TRANSLATIONS

AUTOBIOGRAPHICAL BRAID
I was born in the Heart* of a vast plateau
charily enclosed by Pythias of haughty nature,
gravid with berries and drupes, basins of ample delight:
in the hollow of the divides, as do the rhymes

that frolic to hide in the folds of verses,
there lie nestled ancestral chthonic forces
on lost cliffs, in burnt depths, cavernous and astral:
proditory the earth sways and in heaven ablaze

more pallid is Venus:
ripping quakes rouse
mountains, puzzling ash…

(Roar monotonous

and dire!) burdens the sky. Early I learned to surge
from the driest dust with a wisdom inclined to nurse
liquid virtue: the veil of life, to disperse

death and fear, lets forever loose in me a more resolute

intelligence that recalls the mineral essence
of my every deepest motion: the limpid nescience

of the stars guides me in the infinite void:
if olive trees thrive on the most timid incline

me in the Umbrian Etruria
I love and nurture
Poetry and La Crusca
they make alive ever more.

* The Medieval walls of Norcia wrap the city in the shape of a perfect heart.

MOTHER EARTH
.
(For those who lost their lives, for Norcia, my birthplace,
for Amatrice, Arquata del Tronto, and each shaken
community, for the children, the animals and
plants that were victims of the earthquakes
in the summer and autumn of 2016)

.
More than any tempestuous sea our mother
earth moves from its fiery depths
lofty mountains and thus we lie humbled

on her furrowed brow, from the welcoming
stillness of our homes in an instant
alive we are buried and a deafening

rumble sounds with the crash of roofs dear, breathless
one hand seeks another and with a shudder
within the blinding dust beseeches

that beyond death life should continue together.
Here, from these ruins
the sky unfolds still
sublime splendor and from our veins
there is generated still
this vast ineffable azure.
And here the mountain dweller
in the silence of the beeches tends
to his animals and with soft voice and hands
prepares them for the winter.
Mother why, why are you to us so dear?
(Translations ©Matilda Colarossi)