Mauro Germani è nato nel 1954 a Milano, vive a Bresso. In ambito poetico ha pubblicato: L’attesa dell’ombra (Schema, 1988), L’ultimo sguardo (La Corte, 1995), Luce del volto (Campanotto, 2002), Livorno (L’arcolaio, 2008, ristampa 2013), Terra estrema (L’arcolaio, 2011), Voce interrotta (Italic Pequod, 2016, finalista Premio Lorenzo Montano). Ha pubblicato saggi, poesie e recensioni su numerose riviste, tra le quali “Anterem”, “La clessidra”, “La Corte”, “Atelier”, “Capoverso”, “Poesia”, “QuiLibri”. Nel 1988 ha fondato la rivista letteraria “Margo”, che ha diretto fino al 1992. Di narrativa ha pubblicato Racconti segreti (Forum, 1985), Il prescelto (Perdisa, 2001). In ambito critico ha curato il volume L’attesa e l’ignoto. L’opera multiforme di Dino Buzzati (L’arcolaio, 2012). Nel 2013 ha pubblicato Giorgio Gaber. Il teatro del pensiero (Zona) e nel 2014 Margini della parola. Note di lettura su autori classici e contemporanei (La Vita Felice). Del 2019 è libro di aforismi La parola e l’abbandono (L’arcolaio).

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POESIE

da LIVORNO

*
La morte che era nei Fossi
e quel futuro
quella parola nera
caduta per poco.

Restavano in silenzio gli anni
le cupole alte della notte
e le ceneri, gli avvisi
del tempo.

Restava così
la novella del mare
Livorno ed ogni voce
il mio pianto
in fondo al tuo nome.

*
Chi ti rubava, chi ti sognava
quando nascondevi il tempo
e mi dicevi: «Resta ancora così,
resta in questa novella
bambino solo per me,
solo senza mondo,
attimo perduto del mio sangue.
Resta nel nulla che ami,
piccolo capitano del cielo,
piccolo fiore di vento…».

*
Il mare che chiamò
nella Fortezza
e subito divenne battito
in nome del tuo nome,
voce d’acqua
assediata dal tempo
e sempre
sempre leggenda
viso senza dimora,
febbre alta
nel cielo scoperto.

*
Non c’è – non ci sarà più
Livorno
o forse soltanto
qualcuno che scrive
su un piccolo foglio,
un’ombra lontana
che segna,
che macchia la terra.

da TERRA ESTREMA

*
I morti nel letto
a tarda sera,
nomi d’ossa
e nuvole stanche,
ombre alte
dove tutto finisce
oppure comincia,
torna
nel mai e nel sempre
voce che si ritrae
e canto muto,
———–fiore lontano
sospeso nel cielo.

*
Là dove il corpo appare
nella fredda fiamma
del nulla
o più lontano in fondo
nel pozzo segreto
e senza nome,
ecco l’attrito
ecco
il lampo improvviso e vero
che dice adesso,
adesso è il destino,
guarda,
ancora trema
è qui, è in te
ancora per poco,
prima del buio.

*
Com’è il cielo dei morti,
la loro leggenda.

Come sono i lumi
allineati nell’ombra,
i volti lontani,
quegli addii senza parole.

Come tutto è fermo
negli occhi, tutto
nell’ora che chiama
e li sceglie, l’innalza
nel pianto per sempre
senza di noi.

*
La bellezza che non sai dire
e le vene, tutta l’infanzia, gli anni,
gli anni a capofitto
in questo
gettato divenire,
questo abisso che hai amato
in silenzio, tu
altro da te, altro nell’altro,
solo, a frantumi,
nello specchio rovesciato
del mondo.

da VOCE INTERROTTA

*
Come se fossero ancora le cose
come mi avessero ancora
nel loro destino
muto
nella mia infanzia tagliata.

Come fosse tutto
per qui
per questa casa
strappata alla vita.

*
Io non so più le parole
a ridosso del mondo.

Una voce è dentro qualcosa,
è un’ora senza custodi
senza perdono.

A volte le mie labbra
hanno ancora paura,
cercano un viso
come una macchia segreta,
un volo di nulla
in fondo alla notte,

*
L’impossibile in quella via
e le finestre ad una ad una,
il respiro degli anni.

Io passavo per non essere io,
per le promesse che ti portavo,
per il tuo amore scavato.

Adesso non credo più,
sono spiato in silenzio,
ho scordato le frasi.

Adesso so
quant’è grande Milano.

*
Mi sono dimenticato
sul tram
e adesso non so
dove andrò,
non so la città
che proclama
la vita.

Sparirò nelle luci
di tutte le sere,
nel cielo
di tutti gli specchi.

Sarò un secolo
che ha perso
il suo nome.

*
Il tuo sguardo e quella
foto, quella casa
a un attimo
dal mondo.

Io ti abbraccio
come posso
e non so più la mia
povertà, il mio
regno di nulla.

Ti parlo e ti sogno.

Così.

*
Sono tornate le voci
e dicono fai presto
fai presto tu che non credi
ai mattini, conta ogni
molecola, ogni supplica
nella paralisi del buio,
qui
al centro del petto,
adesso che sei nostro
e ci ami,
ci ami ancora
come un bambino.

*
Qualcuno ascolta
da un pianerottolo vuoto
e chiama improvvisamente
i morti, le voci che dalle porte
corrono fino alle ultime
piazze della città
e vorrebbe capire il suo
segreto, quel taglio che da anni
gli scava il petto
e invece piange,
piange in silenzio, piange
per tutti.

*
Questa fanciullezza dei morti
come un vento lieve
che passa tra i boschi,
o l’eternità
muta del cielo insieme
agli anni, a tutti
i ricordi come
nuvole disperse,
ai passi a mezz’aria,
senza più carne,
soli
sul breve sentiero.

*
Quelli che cadevano dai tetti
o dai balconi
in silenzio
come ombre innamorate
del vuoto,
fin dove il buio, fin dove
i miei sogni d’infanzia,
i miei occhi chiusi
senza chiedermi perché
come fosse normale
per me
per loro
precipitare così
sempre più giù
sempre più
lontani
in quel volo
fra tutto e
niente
in quella caduta
infinita
dalla casa di fronte.

*
Dimmi cos’è la vita
adesso che non c’è più
Livorno e nemmeno
Milano, solo
una pianura di luci
basse nella nebbia
e campi di granturco
e ombre solitarie
fra le croci, sere
senza più note di
pianoforte, senza
più mare e scogli
e tuffi lontani
nel silenzio.

Dimmi dov’è ora
la tua voce bambina
e la musica
che amavi sempre
come un antico
segreto, dimmi
dove sono io, che cos’è
la mia pena e la mia
domanda che
ogni notte
mi assale
e grida e mi scuote
nel buio.