Luciana Notari è nata nel 1944 a Terni, dove è vissuta alternando la professione di giornalista a quella di insegnante e dove è scomparsa nel 2006. Le sue raccolte di poesia: Animanimalis (Forum-Quinta Generazione, 1991), La vita è nella vita (Edizioni del Leone, 1994, prefazione di Paolo Ruffilli), Aiuole di città (Tracce, 1996), Il destino della foglia (Crocetti, 2003, Premio Sandro Penna), La pietà e la paura – Tutte le poesie (Passigli, 2010, a cura di Roberto Deidier, prefazione di Elio Pecora). Ha curato l’antologia Oltre il mare ghiacciato. I poeti e l’oggi (Campanotto, 1996). Sue poesie sono presenti in molte antologie, comprese le due americane Contemporary Italian Women Poets e Environmental Literature (Italica Press).

http://poesia.blog.rainews.it/2011/01/in-memoria-di-te-luciana-notari/

http://www.associazionegutenbergterni.it/premio-luciana-notari/luciana-notari/

 

POESIE

da LA PIETÀ E LA PAURA – TUTTE LE POESIE

Animanimalis
Sento nel cuore di tutti gli animali
lasciati dal padrone su vie aliene
le urla mute dietro occhi smarriti
su scie di odori amati nella luce
d’un contento che muore nel suo gelo
e pur lambisce come dono ignaro
chi, tronfio del suo scettro,
negò ridendo l’anima animalis.

Uno sguardo nuovo
L’aria oggi è ferma
in questa zona di campagna
ai margini della mia città,
anche i grigi cespugli
le zolle frante
gli uccelli intirizziti
sembrano d’improvviso ritrovati:
strana una gioia
rara, calda di vita
ferma il mio passo
e sale agli occhi.

Magia
Un mondo di musica
e di ricordi,
di parole spezzate,
epifania gioiosa
della fusione.
I suoni rimbalzano
dolci nella stanza,
le mani si cercano,
cieche.
Frenesia sbalordita,
sogno variopinto
di stordimento.

Scrittura
Ogni giorno
oltre i gesti e l’andare
qualche riga di parole
per fissare l’ora
che muore
dentro l’assurdo eterno
delle foglie.

Per Alessandro
Offrimi il tuo merletto
sottinteso
la tua risacca
di malinconia
il tuo spazio di cielo
ritagliato
il trasgredire in fantasie
taciute.
Guardami con quel velo
inumidito
come un tesoro inatteso
immeritato
con gioia intenerita
dal possesso, caduco
e per questo più goduto.

La mano
Anche la mano
suppone un’altra vita:
le vene a reticolo bluastro
rimandano al sangue
alla magia del seme
che nutre e muore
come la passione.
Canali pronti per l’irrigazione
piccoli vermi che strisciano
nascosti
rami di cespuglio denudato:
aspetto un passero che si posi
affamato.

La pancia
Importanza del ventre!
C’è quello della terra,
grembo materno,
sonagliera,
scrigno di vita
che si secca
a sera,
profondità del mare,
caverna dalla pioggia
di asperità piallata,
ventre che assorbe
con gli alimenti
vita.
Anche i cari morti
s’adagiano nei ventri delle bare.

Intelligenza animale:
al gioco e alla carezza
danno all’aria la pancia,
fiducia estrema,
felice attimo, gioia,
morbidezza al sole
di una foglia.

Tutti gli occhi del mondo
È vero, le cose durano più
di una stagione
degli occhi
che s’aprono al sorriso
e alla paura.

Ma se chiedessi: a chi
la scelta di salvezza,
a quell’oggetto antico
e di gran pregio
o a un essere tra tanti
che in sé racchiude
di tutti gli occhi del mondo
l’incerta mostra di bellezza?

Al pezzo d’arte,
certo, direi addio
per l’umido calore di uno sguardo.

Malattia
Ho visto nei tuoi occhi
la mia morte.
La vita a ondate
veniva in un sussurro
e se ne andava
nel battito sfumato.
Nei tuoi occhi
la mia morte spaventata
per l’orario inatteso, proditorio,
con un filo di voce si inghiottiva
la preghiera che affidava a te
mia madre,
le mie pagine stente,
i miei animali.
Come ospite arrogante
se ne è andata,
ma la vena d’ombra
in me è rimasta
e un’attesa ora reale
che ritorni.

L’attimo
Apro gli occhi
su fiori gialli e blu,
poi il buio sospeso
inghiotte ogni colore,
galleggia piano,
oscuro equilibrista
sulla paura che implode,
urta, scava,
grida ed ingroppa forte
senza deglutire.
L’attimo muore
e passeggia sopra il niente,
con il piede, la punta,
lascia tracce,
mi volto,
già sparite dentro il vento.

Stasi
Vorrei sotto l’unghia
tutto il mio passato,
lo vorrei assaggiare,
concentrato,
alimento al presente
di buon sapore,
miniaturizzato.
Ritrovo invece
sparsi frammenti
centrifughi alla forza,
volti di tante vite
provate una per volta
e l’oggi è come un orfano
che sperde tanti passi
senza una direzione
o una sicura voce
che indichi la via
che con sguardo vòlto,
ai crocicchi, alle curve,
alle tracce di strada, ai rettilinei,
dia un nome e un volto.

La danza delle vocali
La a è bianca, come l’essenza
muta dei colori,
viaggia nel cielo dilatando luce,
stella d’aurora.

La o è marrone,
come dolce d’inverno
e calda lana
dei cappotti a sera.

La u è scura,
grigia nel viso,
scrostata alle pareti
come muri della vecchia città
scossa dal vento.

La i è flessuosa e verde,
come fauno scattante
alla radura,
come stelo intenerito al sole,
come il grillo
che invisibile salta
nell’aiuola.

La e è mediocre,
giallastra e indecisa,
tutrice, conformista,
non ama gli alti e bassi, ma
solo il quotidiano.

Salpano in coppia,
a grappoli, da sole,
escono, vanno,
animano le ore,
hanno le ali:
è la danza delle vocali.

Scarto
Sullo scarto incolmabile
di voci e desideri
si stampano le orme
scendendo a tratti
al centro della strada
e gli occhi oltrepassano
la folla,
attratti da una luce
di segreta origine, ma forte.
Quello scarto incolmabile,
feroce,
che rende me
pietosa madre
dell’albero e del seme,
del pelo elettrico
di tutti gli animali,
di piuma implume
che nasce già violata.
La parola nuota con fatica,
trasporta a terra scorie,
piccole tracce dall’oscuro,
le annusa, le riplasma e ricompone,
attenta stringe in mano per fissare
la forma quasi piena,
carente di sublime.

L’assenza
L’assenza è visionaria,
immagina forma improvvisa,
al filo l’attimo cattura
che negli occhi, sbarazzino,
dava gioia allo sguardo
nel mattino.

L’assenza è visionaria,
non resiste al suo vuoto,
al silenzio senza orma,
gioca nei luoghi dai colori
grigi, sfumati, celestini,
vede la forma
muoversi leggera,
la ferma nella posa
che all’occhio volteggiò
unica, sola.

L’assenza porta con sé
il soffio della morte
più leggero,
lo stupore astruso
irrassegnato
di un volo senza ali
e senza cielo,
l’impotenza del suono,
della voce che all’alba
ripete il nome quasi
magicamente fosse il nome
la forma incarnata del ritorno.

La vita è nella vita
Camminò per anni sopra i tetti
in capo il cielo in mano acquamarina
dalle molte facce frantumate.
Cercava in alto la goccia salutare
con cui irrorare salvifica la vita.
Scese e salì su tegole sconnesse
soffrì notti d’inchiostro
ed albe come malli inumiditi.
Infine l’abero spoglio
fino al cuoio
offrì alla strada sola la domanda.

Il sorriso s’apre su una piega
s’attorce come edera che sfiata
come lumaca che fora la sua foglia.
La vita non è nella risposta,
la vita è nella vita,
breve pinnacolo che svetta
e in un sussurro s’affloscia e si scolora.

Abbiamo poco tempo
Amore mio
abbiamo poco tempo
dammi il tuo abbraccio
——————–a sera
prima che il sonno
ti porti in quella rada
——————-a me corsara.
Guardo le foto del nostro
————-stare insieme
sembra già tardi
per ritrovar la via
che i sogni uniti scambia
e lievita le ore
————-in compagnia.

Metamorfosi
Ritrovare la via di terra e foglie,
avvistare i massi ai lati
le gracili erbe dei selciati
il nido di ogni aprile
i segnavia di chi passa e scompare.

Intorno tutto è calmo,
la meta è a vista d’occhio,
aspiri l’aria, siedi,
osservi la più piccola esistenza,
sei oltre la pelle che ci fa finiti
̶ acqua di acqua, bagliore di ruscello,
fiore del prato, piuma di ogni uccello.

Gli oggetti
Non amo quel che immobile mi occhieggia.
Amo ciò che si muove e si consuma,
che rende me formica e poi cicala,
albero dell’inverno, pettirosso:
altri da me, di me testimoni
nell’attimo che ruba le stagioni.

Nostalgia
La nostalgia che fitta! Vela
gli alberi calmi, l’erba nuova,
il primo giallo sui cespugli nudi.
La Natura non domanda,
vive nel morire e rinascere
senza nostalgia della foglia
d’ottobre; noi solo nel rovello
del finire.
Arduo nel pensiero riposare
di un eterno che trasvola ogni figura,
astratto,
come un sogno al risveglio,
nel letto.

Bilancio
È il mese del sambuco e dell’acacia,
dei grappoli bianchi
nelle strade fiorite ai bordi.
Le fila dei nomi allentano le righe
in fitte di memoria per una forma
lasciata in un paese senza norma.

Che resta di una gioventù confusa
in ogni abbraccio,
nel levigare piano ogni asprezza,
masticando dolore e pianto
per la nostra finitezza?