Loris Maria Marchetti, nato a Villafranca Sabauda nel 1945, vive a Torino. Di poesia ha pubblicato: Il prisma e la fenice (1977, Premio Torino), La cripta di Superga (1980), La via delle ortensie (1981, Premio Bergamo), Album di un amore (1989), Le ire inferme (1989, Premio Città di Moncalieri), Creatura di vetro (1990), Spreco d’amore (1990), Mercante ingenuo (1994), Il Paradiso in Terra (1998), Concerto domestico (2002), Stazioni di posta (2007), Regesti del Cosmo (2011), Il laccio, il nodo, lo strale (2012), Suite delle tenebre e del mare (2016), Latitudini fluttuanti Poesie 1977-2017 (puntoacapo, 2020). In prosa ha pubblicato: Il piacere della fedeltà (racconti, 1985, Premio Mario Pannunzio), Pagine da un falso diario (prose narrative, 1994), Dopo la chiusura (racconti, 2001), Copie dal vero (prose narrative, 2005), Trentacinque centesimi di resto (pensieri e aforismi, 2005), Le imperfette quadriglie d’agosto (romanzo, 2015). Per la narrativa, nel 2008 ha conseguito il Premio Goffredo Parise. Attivo come critico letterario e musicale, e particolarmente interessato alle relazioni degli scrittori con la musica, ha tra l’altro pubblicato: Pascoli (1976), Un Santo e una Dea e altre cronache di iniziazione (1994), Carducci e Wagner. Un incontro europeo (2009), Espressione senza immagine. La musica nel pensiero e nell’opera di Alfredo Oriani (2011), Muse a Torino. Figure della cultura dell’Otto e Novecento (2013). Dal 2007 è condirettore degli “Annali” del Centro di Studi e Ricerche Mario Pannunzio di Torino. È componente del Comitato Scientifico della Fondazione “Bottari Lattes” di Monforte d’Alba fin dalla sua creazione.

https://it.wikipedia.org/wiki/Loris_Maria_Marchetti

 

POESIE

da LA VIA DELLE ORTENSIE

Arles è lontana oggi…
Arles è lontana oggi,
il cielo di Van Gogh non ci conforta.
Nostra è una notte astuta e puntigliosa
che gioca a gatto e topo con le nebbie.

La luce non ci fa paura
anche se può accecare –
la luce non ci può atterrire
reduci da Nibelheim.

Un sogno di castelli mi perseguita
– buono ma utopico.
Eppure là vorrei condurti, amica,
nei regni assurdamente veritieri.

Ma tu hai qualcosa in mano,
una clessidra o l’eco di parole
mie senza una svolta
se non le stringi per l’eternità.

E puoi contare fino a mille e oltre,
quando il velluto di un glicine spuntato
dalla terra ti avvolgerà le mani
che avranno consacrato le mie inerzie.

Senza più voce rotolano i fiumi
sconvolti da vittorie rarefatte,
ancipiti barriere che il destino
corona di elemosine autunnali.

Il peso della pioggia squarcia il manto
di foglie poste sopra arche sfaldate:
attesa, evento, tutto è ormai alle spalle,
la bussola mentisce disinvolta.

da CREATURA DI VETRO

Un giardino roccioso
Che sia un giardino roccioso –
modesto in dimensioni, toni, esuberanza –
a nascondere sotto qualche anfratto
il fiore azzurro di Heinrich
celato in mezzo a una pattuglia
di confratelli quasi simili
(ma un po’ sbiaditi, pallidi, dimessi)
o addirittura tra fratelli separati
con diverse livree, magari inconciliabili
(e perfino più vive):
che sia un giardino roccioso –
verde quel tanto che basta, vissuto
da piante e da fiori splendenti
quel poco che basta –
dal sole di maggio e settembre
riscattato a onori inattesi
come un’ultima mèta (porto, silenzio)
irradiata di luce a foderare
il fiore azzurro,
forse invisibile in eterno
ma dai muschi in tripudio
notificato del suo esistere.

da MERCANTE INGENUO

Il mare d’inverno
Il mare d’inverno
è un filmato di Santa Margherita
con le onde in burrasca che si frangono
nell’odore di nafta del porto
nei metalli aggressivi dei battelli
e lo swing di Ray Conniff a contrappunto
dei primi esaltanti peccati di tabacco
e le efelidi allegre di Lidy
che la pioggia fa lucide…
Il mare d’inverno
è un cortometraggio di schiuma
che il silenzio del tempo
impietoso consuma.

da CONCERTO DOMESTICO

Concerto domestico
… ma non sono aerei
qui non passano aerei
eppure il rombo, questo rombo…
qui non passano aerei
sopra l’altra casa passavano
sopra l’altra casa (un po’ di lato) passava l’aereo di Roma
– ma questo rombo, questo rombo ostinato –
passavano anche prima sopra l’altra casa
(che era un’altra casa)
negli anni della più nera oscurità demente
sul mondo e dentro i vetri
(non ero ancora stato concepito)
passavano lasciando ricordi incancellabili
e il rombo s’udiva appressarsi da lontano
(mi dissero le zie)
e dopo il suo passaggio fragoroso e i sibili
altri boati esplodevano e grida disumane e sangue e morte
– questo rombo, questo rombo ostinato –
forse sono i Dodge dei Liberatori going home
costeggiando la riva di un Po trasecolato là in corso Casale
– questo rombo suona più confidenziale
anche se è inverosimile riudirlo questa sera
negli interstizi di un salotto inerme
che si abbandona a un sonno fuori tempo,
senza tempo…

da STAZIONI DI POSTA

In attesa di un crescendo
Da te
sarebbe splendido ricevere
dei segnali più forti,
ma è già di qualche pregio
la melodia smagliante dei tuoi occhi
che sorridono ai miei.

Quelli
Le cose che vorrei dire,
dire! –
riferire narrare confrontare
discutere
nel nostro gergo iniziatico
con la nostra complicità rodata
dopo l’ascolto di una musica
la visita a una mostra
la lettura di un libro
o commentando la politica
o un evento qualsiasi
e un incontro una persona
(ma sì, qualche malignità, qualche
affettuoso pettegolezzo,
qualche ammicco innocente, e pure
una storiella salace…) –
le cose che vorrei dire
e che non dico e non dirò
perché quelli a cui vorrei dirle
o dovrei
non sono più qui ad ascoltarle.

da REGESTI DEL COSMO

D’ora innanzi
«He cometido el peor de los pecados

que un hombre puede cometer. No he sido
feliz»: così si confessava il sommo Borges
(o forse un suo eteronimo…) cedendo
a crudi attacchi di remordimiento.
Tornando casualmente in una piazza
dove giocavo da bambino – sì,
piazza Gozzano, proprio quella! –
mi venne a un tratto da pensare
che anch’io – senza essere Borges
e neppure Guido – sono stato
infelice e l’ho saputo, ma talvolta
sono stato felice e l’ho ignorato.
Forte di tanto senno,
riuscirò d’ora innanzi a non confondermi?

Foto a sorpresa
Saliva le scale lentamente
per ritornare in camera
e il suo costume rosso era stracciato.

———————–(mi vien proprio da piangere
———————–domani ripartiamo
———————–e neanche un bagno ho fatto)

Di nuvolaglia greve illividiva
il cielo, ma la spiaggia era gremita.

da SUITE DELLE TENEBRE E DEL MARE

Auspicio
Spero nelle nuvole,
che alla fine riescano a coprire
questo sole accecante ed incendiario,
che ne velino la violenza
ma senza offuscarlo del tutto
lasciando che a tratti trapelino
ancora raggi e calore ma privi
di arroganza brutale e indecente misura.
Spero nelle nuvole,
nella vittoriosa affermazione
del loro naturale sacrificio.