Lello Voce è nato a Napoli nel 1957, vive a Treviso. Le sue raccolte: Singin’ Napoli cantare (Ripostes, 1985), Musa! (Mancosu, 1992, con audio cassetta), I segni i suoni le cose (con CD, Manni, 1996), Farfalle da combattimento (Bompiani, 1999), Lai (D’If, 2007), L’esercizio della lingua Poesie 1991-2008 (Le Lettere, 2008, con DVD), Piccola cucina cannibale (SquiLibri, 2015, con CD), Il fiore inverso (SquiLibri, 2016, con CD). I suoi romanzi: Eroina (Transeuropa, 1999), Cucarachas (Derive Approdi, 2001), Il Cristo elettrico (No Reply, 2006). Performer, attivo in Italia e all’estero, i suoi testi sono stati musicati da musicisti, tra i quali Paolo Fresu e Frank Nemola. È presente in numerose antologie.

http://www.lellovoce.it/

https://en.wikipedia.org/wiki/Lello_Voce

 

POESIE

da FARFALLE DI COMBATTIMENTO

(I)
Pseudosonetti Rorschach
1. Il poeta chiede che anche la realtà faccia il proprio dovere…
Per iniziare a poetare basta un discorso / un morso al dizionario ed essere in orario
salire sul palco essere ancora in corso / grillo parlante eterno apprendista falsario
per ascoltare basta essere un pubblico / un unico orecchio-clone che sente cortese
arrivare prima della fine per far trittico / basta qualcuno seduto le bestie comprese
anche se non sanno applaudire mica / significa che poi non sappiano ascoltare
il cane e il gatto il gatto e la formica / è il poeta che ancora non sa miagolare
è questo pubblico incapace d’abbaiare / è questa lingua incapace di raccogliere
in una le freguglie di senso d’edificare / una frase formicaio per comprendere
tutte le relazioni tra nome e azione / l’ossessione di dire il dolore di capire
se sia vita il nome per l’interiezione / nostra piantata qui tra essere e svanire.
Ma perché tutto avvenga e sia vero / perché il pubblico e il poeta non siano
più poli muti d’un circuito tutto nero / occorre che fuori di qui essi agiscano
o altrimenti tacere tutti rinunciare e / seguir l’esempio delle bestie che altère
per iniziare a parlare aspettano che / anche la realtà faccia il proprio dovere.

2. La poesia è quest’atletismo del braccio…
La poesia è quest’atletismo / del braccio teso che verga che cerca
questo sillogismo muscolare / del pensiero per costruirsi cranio
ossificazione del solecismo / in femoriche subordinazioni nerchia
ed occhio che inchiostra in rare / rime resti di senso e gli dà conio?
O non piuttosto l’erta sonorità / del suono che pronuncia la lingua
la stringe alla glottide al cavo / del palato e respira in soffi la voce
il confine vibratile d’ogni à / la consonante vocale che s’impingua
e gonfia e sfiata segni e sbavo / come corpo e tempo e spazio atroce?
E’ arte di mano o di polmone / che diaframma l’essere e lo sillàba
è gesto del dire o astrazione / che sìbila e traccia ‘sta rima in àba?
Resta il residuo dello scontro / pasta molle che prelude l’incontro
che rancura di fiato e rancore / le stoviglie e i stracci di tutte l’ore
quotidiane da lavare passare / a brusca e striglia il rumore denso
che tra attrito e attrito il senso / ritrova che induce a dire e a ribellare.

3. La poesia è quest’intenzione…
La poesia è quest’intenzione d’andare / diritti al nocciolo e seguendo tutti
i sentieri paralleli insomma il digredire / che c’è nelle parole e che fa mutti
la poesia è quest’azione tutta di voce / questo risucchio di suono su tema
è questo dire krak splash tumf croce / su tutto ciò che c’è e poi l’anatema
che ci condanna a vita a far parola del / dolore che gulp haag gronk fa male
tropàico pronunziare sillabe d’echi nel / collo teso e il pensiero che vuol sale
da spargere su pietre e ricordi sul come / sul cosa sul quando o sul perché che
ci tiene stretti a cosa a quando a come / sincronia di occhi e lingue e vesciche
urgenzaminzione chiamata espressione / sforzo fecale che comprende e prende
e sa bene che siamo qui sotto l’alluvione / senza salvagente né vie d’uscita o tende
che non serve a non affogare non rende / è zavorra vizio saggio lentezza morra.
Ma senza resta la forra scura ch’offende / il consenso muggito il sì e la camòrra
la poesia è solo quest’azione del parlare / fermi a metà tra pronunciare e nitrire
insomma quest’intenzione di torturare / ogni sillaba e suono quest’interferire…

4. Le parole pronunciate al palato…
Le parole pronunciate al palato / lasciano sapore di sangue e sintassi
un aspro intenerirsi delle vene / un ràbido sentore di cose in padùle
affogate nel suono e nel dato / irrimediabilmente indecisivo se sassi
e vipistrelli se scìmie poréne / e sciuette se iatti e hàni se vive cucùle
cantano il fonema senza senso / il sesso degli angeli e il deìttico folto
di questa folla che s’infolta e ode / l’unico nulla ch’abbiamo a far bastare
anche per oggi e domani denso / e trasparente sentimente e i’ ch’ascolto
il millennio e le bbestie pprode / dell’ultimo orizzonte sul filo arrancare
mi resta solo il fiato per ancòra / per l’ultimo prima del possibile scracchio
né c’è poesia in corpo che possa / salvare il fonema da epatite o il fegato
preservare da pleonasmo l’ora / di che risuona quest’immondo pateracchio
che chiamiamo Ytaglia ma non c’è / ‘na zione né po’ polo né rivo né luzione
né sole né cantabile avvenire né / diverso sarebbe se esistesse soluzione:
per me e per i cuccioli alle soglie / solo cibo senza sale kalùmnia e doglie.

5. La tradizione è solo la sinèddoche del passato…
La tradizione è solo la sinèddoche / del passato un sorriso a mezza
bocca occhio di Venere stràbico / l’inclìta vede solo ciò che ìndico
teoria avara di voci e frasi fioche / e volti sordi e gusci di secchezza
umana bestiaggine del taràbico / che immàgico comico un po’ tràbico
del lupàgnolo che lieve e parricida / nell’inèdita spalla del suono canta
altro stile altro timbro altro verso / come un nitrito o squittìo o barrito
che trèmita delle tèrmiti sul dorso / assassino ed operoso che n’incanta
ma sveglia il sospetto n’sia strida / o cercarsi il mondo in punta al dito
e non risolve se occorra l’agire / al dire o il dire all’agire non conta
è eretradizione sesso da monta / retorica da bordello e cerca il bello
l’indecisivo innecessario kyrie / ma la tradizione è solo un ombrello
ch’acceca l’orizzonte e lo dismonta / riviera d’Acheronte danno ultima onta
degli sconfitti dei poetipària muti / esponenti di tutto l’elenco dei caduti
ch’han visto bene l’ironico memento / di come in tutte le storie sia un tradimento.

6. La poesia è questo dolore acuto al molare…
La poesia è questo dolore acuto / al molare l’ascesso gengivale
che gonfia le parole e pronuncia / verbo a verbo palato e fiato
la frase che resta filamento muto / tra i denti e descrive l’ovale
di cruna d’ago fitta che scalcia / e scalca osso da osso il dato
incontrovertibile e labile di sé / e della propria mascella serrata
al quotidiano varco tra corona / e corona masticato e insalivato
fatto in forma di suono che tuona / di vocale che significa incarcerato
in fili di frase come un che che che / un bla bla bla ‘n intera accoppiata
di fonema e teorema un ema / rosso cupo che scorre a fiotti tra
noi e noi quell’altro dell’altro / che vibra e ci commuove a tema
e ci macchia gli abiti e l’animo / il collo di camicia che circonda
il polso del senso il cupo limo / che si crede sezza o parola tonda
la pivetta becera che strombetta / nella bocca finta e marionetta
come dal culo fondo l’universo / e della vita rifacendo il verso.

7. Ma non è stagione d’avanguardia quest’autunno…
Ma non è stagione d’avanguardia / quest’autunno declinante e fretto
né noi poveri figli di padri poveri / né questa lingua sudata e gonfia
usurata usurpata allevata a nerchia / e a kaos a koax e a lordame netto
no no non potremo farne ‘còveri / di questo lattice che turpa e tronfia
di questo telemiele acre e scintillo / no no non ne verrà neanche trillo
o fischiosegno chiaro e netto gorgia / che gonfia rossa e tesa e tacchìna
in trogo e barbiglia vènte bandiere / e incìta a frusta a motti cocchìere
che dirige e narra il filo dell’orgia / nostra che crepa e ormai s’incrina
ma non è stagione da retroguardia / quest’inverno uso veltro e rabbio
questo nienteniente che fa gabbio / che dà gabbo e néva e discàrdia
ménte e scuora e pompa in vuoto / vuoto nulla che in rima percuoto
e vibra d’echiechi il niente e tutto / circonda e s’attorciglia il collo
e ammuta la mènte gli fa scollo / ch’ogni detto già mi sembra rutto
che strozza o bolla vòta vènere / d’aria sostanza bolsa chìacchere…

8. E’ come un gargarismo un grutto…
E’come un gargarismo un grutto / un groppo di voce e parola un’eco
virtuale virato in virtù e parla / una pasta di parole e schiocchi cupi
un rombofischio che copre tutto / mentre soffriggo l’essere e mantèco
sentimenti o macero amori pirla / è come un inghiotto a strozzo da lupi
energia ritta che stringe i fianchi / vita su vita fatta a forza d’ammànchi
clamante in punta di piedi bocca / che stampa ogni sillaba che scocca
sui labbri e i denti la golatonsilla / cucendo in punta d’incisivo prilla
frase su frase la dice agli stanchi / ai dormienti ai passanti tutti manchi
ai cloni dei cloni dei cloni a noi / ai cicloni d’aria e dolore che spazzano
toraci sfiatano natiche impazzano / sui capelli le dita i gesti nostri e poi
in elettriche fulminee precipitano / al suolo scrosciano vocali saettano
significati e fegati dicono ahi! / che me coce ahi! che mai ti lascio, mai…
Quest’emozione nel polmone / questo fiato rumoroso della situazione
che per un istante sembra utopia / ma poi è già silenzio: era solo poesia…

9. Un rùmino in tre stomaci vacui…
Un rùmino in tre stomaci vacui / come erba verde masticata in tre
bocche e inghiottita in gola in tre / trachee evacuata da tre culi càcui
un bolo un groppo o nodo scorso / un boccone di vita aspra un morso
tirato al collo della realtà stronza / come volpe lione come fera lonza
come sintassi dentuta e appuntita / che strozza coi nomi le cose e la voce
parla pomi e sentimenti in croce / pirla viscere e cuori in punta di matita
segue lo spartito che separa suono / e segno il confine tra lettera e tuono
rumina e batte lo zoccolo duro / come toro alla carica incorna il muro
del significare che fermo in palude / stagna nell’attesa del vento e prude
come foruncolo in gola e vuole / fiato e vocalizzando dice e duole
osso osso muscolo per muscolo / lingua per lingua in cortocircuitare
la vita mia e la tua il bruscolo / che sono nell’occhio dell’universare
tutto di pianeti e comete brille / di galassie e stelle spente di stille
di rime usate in cuore e amore / cose che solo a dirle ed è già dolore…

10. Il poeta si difende dall’accusa di non scrivere poesie d’amore…
Ma vedi hai torto a dire il poeta / perché poi è comunque la poesia
a dire testo nero che non è carne / né sangue né vita solo sedimento
secco e vuoto da insufflare meta / metaforica ombra più ombra mia
sola sostanza o avatàr da starne / lontani suono muto che non sento
ironico memento di parole che / descrive il silenzio e lo fa centro
del mio dentro e alle tue anche / non dà nulla e non si fa inventro
non sfiora la pelle non palpa / alle cosce ma è solo miope talpa
che cerca il cervello lo sugge / che attanaglia la voglia che sfugge
o la inchioda e la fa memoria / sconfitta passato referto o storia
cuneiforme del sesso nostro / del sudore crosto del nero rostro
mio ficcato fondo nel chiostro / tuo umido di pioggia e inchiostro.
Perciò vedi hai torto a dire / il poeta: è la poesia che l’amore
proprio no non vuol soffrire / né vuol più rime-baci in cuore
ché in giro vede solo dolore / sangue e viscere morte odore…

11. E’ il pubblico il tuo nemico di classe…
Mordili al collo affonda i canini / fin giù in giugulare e inietta
tutto il flusso di verbi a disdetta / artiglia il cuore e gli intestini
strappa al ventre e poi mentre / flettono spiega che è per sempre
questa sintassi qui che strozza / il nome che fende taglia e mozza
di’ loro che la caccia è aperta / che ormai senti l’odore e scoperta
è la traccia la pista-cinghiale / che mena alla trappola avverbiale
inevitabilmente assolutamente / crudelmente giustamente rovente
e tesa la buca impalata aguzza / che sgozza la bestia che ci appuzza…
Nel tempo che manca alla fine / sii didattico indica loro le rovine
che restano di noi illustra chiaro / le ragioni irrefutabili dello sparo
pronominale che li annienterà / nel suono estremo che esploderà
sii compassionevole e strappa / loro infine dagli occhi la benda
che consente chiedere ammenda / la sentenza recita che li rattrappa.
Ricordati che sei con le masse: / è il pubblico il tuo nemico di classe.

12. Un peluche a labbra mobili…
Vivi vivi e si fa presto a dire / vivi per sopravvivere o sottoesistere
si fa presto a dire non morire / stringi i denti e la coscienza fingere
per fingere conviene finire / conviene convenire della sconfitta
leccarsi le ferite e la fitta / al cuore restituire le armi e disdire
poi staccare la luce agli occhi / sbullonare gli omeri e i due ginocchi
slegare i muscoli e lo stomàco / svitare via le dita e spedirgli un Traco
alle Potenze Ultrici completo / di messaggio e istruzioni per ricostruire
un corpo che possa sì frinire / parlare muoversi senza più divieto

(III)
Lettere, cartoline e strofe a dispetto
Compagno Professore, lo so che forse lei erano quarant’anni che aspettava
(una risposta – non richiesta – ad Edoardo Sanguineti)
Compagno Professore, lo so che forse
Lei erano quarant’anni che aspettava, ma
mi dica (per favore, mi dica) se aspettava
proprio questa festa o carnevale e quel che vale
questo ballo sballo, questa danza ciangotta:
Capitale e schiavi tutti uniti nella lotta
e (la prego, mi dica) come si fa
a votare contro le libertà di lorsignori insieme a lorsignori?
Compagno Professore, lo so che forse
Lei erano quarant’anni che aspettava, ma
mi dica (per favore, mi dica) se credeva
davvero che ci fosse ancora il Quarto Stato
e se li ha visti il Quinto e il Sesto, il Settimo
che arrancano sul fondo del quadro, piano piano,
che chiamano e c’è nessuno che li sente
per questa disoccupazione porca che viver più non ci consente.
Compagno Professore, lo so che forse
Lei erano quarant’anni che aspettava
ma che c’entra con la Rivoluzione
un rospo democristiano e la sua rana
colonialista, ch’era in cima alla mia lista?
Che c’entra con la Rivoluzione il gadget-Che
di questa generazione che Lei spesso difende?
mi creda, sia comunista e scaltro: morto un Che, se ne fa un altro!

Compagno Professore, lo so che forse
Lei erano quarant’anni che aspettava
ma che c’entra con la realizzazione
del sogno nostro questo voto desistente
questo niente: non può davvero darmi torto,
lo sa anche Lei, è poi così evidente,
la storia, creda, in questo non ci mente
taglia corto e dice: l’unico capitalismo buono è quello morto.

Il Professor Steiner ha detto con sussiego…
Il Professor Steiner ha detto con sussiego:
poesia e letteratura son arti da imbecille,
da scuola bassa, da quoziente meno 1000.
Io, per me, con altrettale sussiego me ne frego:
il tempo scorre via, Voce o Steiner che si sia,
tutti già vecchi, a scapolàre l’ora che rintocca,
tutti che nutriamo sempre la speranza sciocca
che, con noi, morta sia pure la poesia…

Piccolo elogio del F. K. K.
Distesi sul sabbione che s’avvampa,
quasi in branco o stormo o gregge,
mandria, mescola viva di groppa-coda-zampa,
siamo soltanto più all’occhio che ci legge
esemplari varî, insetti che sciamiamo,
con caste, credi e razze lasciati lì, lontani…
Così, nudi e crudi come bestie, sembriamo
di nuovo quasi umani…

Condom&Poetry n.1
M’inanello il glande e lo inglobo al gluteo
tuo duro più dell’asta mia che ormai impenna
poi prendo distanza cerco il varco luteo
miro e misuro lo stile per intingere la penna
nel calamaio nero nella tua seppia scura
che cola acqua di mare e sale e si contrae
e sussurra e soffia e dice mentre morbida si smura
al maglio aguzzo che mai distrae…

Condom&Poetry n.2
Dipinta la mia cappella come Sistina postindustriale
da condom con tintura atossica testata ultra-naturale
(con colore, taglia e assortimento da scegliere al momento
a seconda della stagione, pelle o particolare accadimento
ma resto insoddisfatto, perplesso e non affondo
mi guardo il mio fratello vestito per la festa
e poi la tua cosina rosa e nuda e lo nascondo
(non è abbastanza trendy da perderci la testa …

Condom&Poetry n.3
Poggialo in punta e infilamelo con le labbra
spingilo morbidamente in fondo avvolgimelo
di lattice e lingua lunga che sporge e slabbra
tienilo stretto e fermo e caldo e proteggilo
mordimelo all’apice della vetta sulle nevi
fammi capire chiara e forte tutta la fame
che ti stringe il ventre il potere tuo che bevi
a sorsi brevi il succo di mie brame…

Condom&Poetry n.4
E’ vero: faccio cybersesso e allora m’abbandono
divento uomo, donna, cavallo o vibro-ermafrodita
e prendo e ficco e transgenero e intanto mi condono
la scelta fissa e delego al tasto che tocco con le dita
di scagliare il bit eretto e duro che già la sodomizza
con lei (via schermo) che digita la natica e m’aizza
(ma sulle dita ho messo condom dieci e di colore oscuro
non corro rischi: io faccio sesso solo se è sicuro

Segreteria telefonica*
Non posso rispondervi, sono nella vasca da bagno
con le vene tagliate e il CD di Lou Reed in auto-play,
a quest’ora il sangue sarà diventato già stagno,
lago d’acqua e vino dove galleggiano i glutei miei
Non so dirvi perché l’ho fatto: certo è che la colpa
è anche vostra se il mio cardiaco tutto si spolpa…
Se ci tenete all’ultimo saluto (per quanto un po’ autistico)
lasciate un messaggio dopo il segnale acustico…

Canzone del destino
(o di Jahier)
a Titta, con amore.
Ci sono destini e destini che ci attendono e svolte molte ci sono
una per ogni orizzonte una per ogni mano e fegato c’è n’è una per
ciascuno di vita intendo di minuti ed ore e giorni ed anni e millenni
di respiri ed istanti a mezzo fiato rinunciati e lisi di cuori senza cuore
di vite feroci e grigie di sventagliate di mattinate e mattinate divise ma
certo forse sarà pace o forse sarà guerra ed è di poco conto e certamente
per vivere dovevi sperimentare per vivere dovevi essere ingannata ora
che hai fatto tutta l’esperienza ora che sei pronta ora che ti protegge
tutta la diffidenza e resta più solo da vivere o dinuovo poter essere ingannata
Voglio dire il nostro e il loro incomunicabili e intrecciati a far osso duro
crosta cartilagine spigolosa e puntuta scheletro d’osso e diamante e a
darle nome storia ma la mia e la tua intendo e poi la loro la grande la
virtuale e vera la Storia ma la misera nostra che chiamiamo vita e ora
virtualizziamo a morte la nostra piccola rivoluzione portatile solubile
maneggevole quotidiana da piazzare a rate di sopravvivenza e muta
eh eh ragazzi la vita non è poi così preziosa sentite le condizioni tribolare
emigrare ammalare ospedali camorre prigioni. Ehi ragazzi la guerra
non è poi tanto cattiva almeno nelle antiche storie alla fine si moriva
L’esistenza nostra cucciola e briciola l’esistenza nostra ignorata dico
refusata scartata consumata rottamata sprecata investita l’esistenza nostra
puledra e scintilla ora imbolsita trottata domata macellata divorata e l’attimo
preciso qual è stato quale il respiro il lampo di luce a confine quale la
fine il termine il nome impronunciabile e pronunciato che ci ha trasformati
in un già detto in un già fatto in storia della nostra storia in morìa epidemica?
o dei tanti uomini che potevo essere o dei tanti uomini che non sono stato se
questo solo superstite è il mio me necessario perché continua ancora ad
oscillare verso i tanti uomini che potevo essere i tanti uomini che non sono stato?

E’ questa globalizzazione mondializzante dell’esperienza sono queste
multinazionali del sentimento forse a frusciarmi via dalle dita la certezza
d’esser vivo e invece mi sento affogare affondare nel Fondo Esistenziale
Internazionale e sconto tassi folli d’eversione e devianza dalla fascia di
parità dell’essere patisco ingiustizie strutturali e continui colpi al cuore
cirrotizzazioni del fegato infarti al muscolo apoplettico e risa e singhiozzi
sicuro che son tutto vivo braccia gambe c’è tutto posso fare anche un salto
vedi ma l’anima non può più saltare ci sono delle parti immobili da tanto
che forse son già morte… provi te cara a sentir se rispondono ancora?
E se ci aggiungi i giorni i mesi gli anni passati a scrivere e a parlare a dire
e a protestare a correggere le bozze al mondo allora vedi che non mi
restano che le tue fantasmagoriche natiche e il tuo respiro affannato
a cosce intrecciate mentre mi sbilancio su di te colpo dopo colpo mentre
precipita su noi tutto il tempo e universa di stelle questa vecchiezza sua
definitiva nella stretta tua che s’apre alla morte che ci è stata estratta in sorte
esprimere esprimere cosa perdi tempo a vivere? sono morti senza
parlare i poeti che hanno vissuto… ma è appunto perché non posso
vivere… o se potessi vivere cosa mi importerebbe di parlare?
O invece cosa m’importerebbe dimmi di vivere se davvero anche solo
per un attimo potessi parlare se anche solo per un istante istantaneamente
dalla voce si scollasse una parola-suono eterna e senza corpo se anche
per una volta sola potessi davvero dirmi dirti dirci tutto quanto c’è da dire
gutturale per gutturale labiale dopo labiale dittongando ogni senso
e raddoppiando alla potenza ics ogni sibilante che s’incorpa e smuore?
ognitanto dalla sua poesia si stacca una vita ognitanto dalla sua vita si
stacca una poesia se la sua poesia è bella ha torto la mia ma la sua vita non
può aver ragione perché avrebbe torto la mia dunque è brutta la sua poesia
Ma poi lo sai vivo e parlo e scrivo e muoio più o meno come tutti più o
meno respiro dopo respiro più o meno col cuore a finanziamento agevolato
lo sai sconto il mio e la parte mia di quello di tutti più o meno timbro il mio
sentimento settimanale più o meno destino al futuro il mio destino più o
meno mi acrobato sul filo di sorti e lingue e come tutti più o meno firmo il
mio contratto giornaliero d’esistenza e resto in ascolto del rombo che verrà….
Nota: nel testo sono liberamente utilizzate citazioni provenienti da P. Jahier, Poesie in versi e in prosa. Tutte le citazioni sono state rese in corsivo.

Rap di fine secolo [e millennio]
(o di G. M. Hopkins)
è meglio morire che perdere la vita
Frei Tito de Alencar Lima
fine finalmente finita fine fissato flusso di flutti feroci a finis-mondo a
finis-terra a finis-tempo fibula finta e fine fetta-fibroma frutta friabile e
frugale filo e fiore fretta fugace fine fra fini fine fra feste fine fra folti
boschi d’inganni e utopie e terrori che vagano tra il ponte e il fondo della
stiva del mondo col fumaiolo in stelle e feste e fuochi e fumi verso il cielo
e la prua a contro-mare che taglia tempo e millennio e scorcia l’orizzonte
con l’universo in bonaccia e le galassie in espansione con moto ondoso e calmo
e le luci accese nel salone e quelli sul ponte di passeggiata poi che salutavano coi
fazzoletti bianchi gli altri a terra le frotte di morti rimasti a riva e la musica era jazz
ovviamente musica da ballo a tacchi alti per correre fino alla Rivoluzione alla prua
dove c’è la bandiera e vedere solo mare davanti a sé polena-Potemkin dell’avvenire
protagonista proletario e rosso di rabbia io che di falce e martello il mondo già costello

Nelle nevi sfreccia
Scagliando all’indietro il porto
Il Deutschland, di Domenica, e il cielo già s’infeccia
Perché l’aria è infinita e senza conforto
E il mare silice schiumascaglia, nero-dorsuto al soffio regolare,
Stabile da EstNordEst, nel quadrante maledetto, il vento sorto;
Neve irta e bianca-fiammante tutt’attorta in turbinare
Vortica verso gli abissi di sole vedove dove di padri e figli non c’è traccia

due guerre due mondiali intendo e una mondializzazione che è pure peggio dico per
quelli della stiva e i primi spazzati dal ponte a colpi d’onda finanziaria dopo onda
finanziaria col mare delle valute a forza sette-otto e strani figuri italo-americani che
si aggirano nei corridoi e nel salone e in sala macchine e fino al timone al radar con
bottiglie e bottiglie di whisky di contrabbando strette sotto i pastrani inseguiti a sirene
spiegate da alcolizzati in divisa che deràpano-àpano sul cassero e sgommano a proravia
ma ce n’erano a milioni poi acquattati dietro trincee e barricate da Parigi a Stalingrado
studenti e filosofi e soldati e intellettuali e imboscati contro il Reich e la società porca
e borghese nella tundra innevata e al sole dei boulevard e a Berlino poi gruppi sparuti
ma armati e a Roma sui tetti i tiratori scelti tutti tesi a centrare raffica dopo raffica il
cadavere accosciato nel bagagliaio rosso che pulsa ad ogni pallottola come di nuova
vita poi la vite spietata che gira e stringe ogni nostro respiro col fumo nero della stiva

E poi quanto al conforto del cuore,
Il basso-capezzoluto terra-brancicato grigio
Si libra, i cieli blu-ghiandaia il fulgore
Di uno screziato e scorticato maggio!
Azzurra-palpitante e canuta-iridescente altezza; o notte ancor più alta
Con fuoco tintinnante e la Via Lattea falena dal morbido piumaggio
Qual è il cielo del desiderio a tua sembranza
Il tesoro mai visto di cui nessuno – nemmeno per sentito dire – immagina lo splendore?

e tanto per cominciare uno sparo un semplice sparo a Sarajevo poi esplosioni in serie
raffiche e sordi boati a poppavia e a Milano, Brescia, Bologna e sui treni squarciati giù
nella stiva e c’è chi giura d’averne visto uno di ferroviere volare fuori dalle finestre del
salone spinto in mare da un pulotto col cognome da terrone e c’è chi giura d’aver visto
quello stesso pulotto ucciso dal fuoco amico di sbarramento d’insabbiamento e trincee
sul Grappa sin sulla cima innevata dell’albero maestro e ad Anzio e ad Ostia a Napoli
e tanto per proseguire coi cavalli lanciati alla carica sul ponte di terza la tromba di Bava
Beccaris che squilla repressione e Tambroni dalla sala radio dirige le ondate dei celerini
che spazzano il quadrato fin sotto a Valle Giulia calpestando Alice i suoi specchi e il
walk-man e ustascia cetnici che corrono nei corridoi a caccia di scalpi indiani di scalpi
metropolitani da offrire poi in sacrificio a questo secolo così breve da stare tutto in una
poesia tanto breve da mozzare lì il millennio tanto breve da stare tutto in un solo gulag

“C’è chi mi trova spada qualcuno
Invece la flangia e la rotaia; fiamma
Zanna, o flutto” la Morte batte sul tamburo
e le tempeste strombazzano la sua fama.
Ma noi sogniamo di essere radicati nella terra – Polvere!
Carne cade accanto a noi, noi, benché il nostro fiore abbia la stessa trama,
Ondeggiamo col prato, dimentichiamo che lì è dovere
Dell’aspra falce d’acquattarsi e che verrà il vomere bruno.

dico dei tempi quando Pasolini era un ricchione Balestrini un terrorista dico del tempo
che fascisti ne incontravi sempre troppi alla porta della cabina al bar in sala macchine
e qualcuno pure al timone né si prendeva poi nessuno tutti scappati sotto La Moneda
a dar man forte ai cugini americani a far fuori lo zio di una nota scrittrice lo zio cileno e
comunista o a tagliar le mani a cantanti-conoscenti musici-fiancheggiatori pre-fujimori
a internare lavoratori a sorvolare Viña del Mar radenti mitraglia tra i denti per la libertà
dico del tempo che a Piazza Statuto masse di operai-massa incontrollabili a ondate dentro
e fuori dalla piazza e dal sottoponte disperse con le jeep della Fiat col manganello con le
pistole della Beretta coi frutti del lavoro e dell’operosità ricostruttiva e resistenziale e loro
o almeno i loro figli e io con loro a Roma a buttar giù dal càssero il sindacalista in capo e
poi inseguiti da celerini e operai-massa coi lacrimogeni e le chiavi inglesi e noi sporti fuori
bordo a vomitare per il mal di mare ma la nave lei accelera accelera altro che contestare

Uno si precipitò giù dal sartiame per salvare
Le folli-dolci-donne di sotto
L’uomo abile-ardito con la vita una corda a circondare
Fu scagliato sino alla morte d’un sol botto
Nonostante il suo petto-corazzata e i fasci di forza:
Poterono vederlo per ore spinto sopra e sotto
Attraverso lo sfrangiato vello di spuma. Cosa poteva fare
contro l’annodarsi di fontane d’aria lo scalciare delle onde il loro diluviare?

c’erano un po’ tutti chi sul ponte di comando chi nella stiva o spuntando dai boccaporti
smo su ismo pop e cubisti orfani orfici e orfani avanguardisti espressionisti e surrealisti
e tanti e tanti quelli rimasti in terza a filo d’acqua tutti che protestano che ti svolazzano
accanto come mosche sul naso del cocchiere patafisici e petrarchisti figurativi e poveri
astrattisti e dodecafonici e grunge tecno e pulp e istrioni e pagliacci ed eroi organici alle
masse e le masse che nemmeno lo sanno che si telenovellizzano in vena e godono del
nulla ma c’è un mare un oceano sconfinato da dada a dada c’è un sargasso un triangolo
imbermudato c’è il sudore di un secolo tutto polverizzato in bit fatto silicio e memoria
attiva c’è un video lungo cent’anni tutto sulle nostre povere rètine bruciate irretite tutto
da vedere a costo di tener su le palpebre con stuzzicadenti fino alla feccia impressionante
di queste nostre rovine sfavillanti del latex steso sul disastro delle falle che squarciano
lo scafo sul vibrore frenetico che scuote la nave sul sibilo acuto delle macchine a scoppio

Ed io la mia mano baciando
Fino alle stelle, al bello-frantumato
Stellato, fuori di sé espandendo;
Bagliore, gloria del tuonato;
Baciando la mia mano fino all’occidente di-susina-screziato
Poiché, sebbene egli sia sotto dello splendore e della meraviglia del mondo,
Il suo mistero deve essere in-tensionato, forzato

Perché lo saluto nei giorni in cui lo incontro e benedico quando lo comprendo
è stato come schianto soffice ed acqueo come cascata gelatinosa di marmellata e idee
appiccicose come lebbra mentre lo scafo ruotava e li ho visti uno dopo l’altro cadere senza
essere colpiti fottuti epidemia dopo epidemia infettati definitivamente da questa fine fredda
e strisciante e poi si sono visti in fila incatenati sfilare gli ultimi irriducibili che
pesi scontavano i loro sogni e loro violenza e si sono visti i profeti montati sull’albero
maestro urlare che tutto va bene tutto va bene va bene va bene mentre la chiglia singhiozza
e incrina mentre il ghiaccio possente ed aguzzo apre le connessure e sono tutti lì in cabina
che si guardano il loro naufragio in tivvù mentre sul ponte di comando si mangia e si beve
e si cercano giovani donne esperte in lingue straniere e neo-schiavi per servire in tavola
mentre che ormai le scosse sono troppe mentre son tutti lì che provano a cambiar canale a
cambiar destino a cambiare moglie figli e lavoro a cambiare idea a pensare che in fondo
con tutta quella nebbia lì fuori è meglio morir dentro al caldo come ratti sazi ruttando

La Speranza grigi crini mostrava
La Speranza aveva messo il lutto
Scavata dalle lacrime che l’angoscia sbranava
La Speranza da dodici ore aveva abbandonato tutto
E atroce un crepuscolo serrava un giorno addolorato
Senza soccorso, solo faro e fuoco che splendevano dappertutto
E infine vite furono strappate al ponte spazzato
E alle sartie si aggrapparono nell’aria orribile che rovinava

come un colpo che c’ha colto al diaframma come un colpo stolto che c’ha morto un colpo
solo per finire la Cagol un colpo solo per non soffrire più sempre meglio che i brandelli di
pelle sparsi sotto il traliccio sempre meglio del calcio di un fucile un colpo per svuotarci
la scatola cranica e inzepparla di merendine sofficine di telefonini dietetici di terze quarte
quinte case e la sicurezza vuoi mettere la sicurezza un colpo solo mentre la prua ormai
inabissa e gorgoglia e c’è chi fa mercato nero di scialuppe e salvagente e c’è gente c’è
gente che mente come vive e vive come mente anche ora mentre nuota a stracciafiato e
congela in flutti color fine-millennio come un colpo sordo che dice chiaro che del Vietnam
chi vuoi che si ricordi più e del Chiapas chi vuoi che si ricorderà e non c’è trucco non c’è
inganno non c’è beffa non c’è danno una semplice fine d’anno qui sul Deutschland qui per
un crack uno strike e ora che la nave non c’è più che resta solo il mulinello che sprofonda noi
diamogli la paga e che sia finita: è ora che sappiano che è meglio morire che perdere la vita.
Nota: Questo testo utilizza citazioni tratte da The Wreck of Deutschland [Il naufragio del Deutschland] di G. Manley Hopkins, le traduzioni dall’originale inglese sono mie. Tutte le citazioni sono rese in corsivo