Giuliana Piovesan è nata a Velletri (Roma) nel 1947 e vive a Padova. Ha pubblicato per le Edizione del Leone: Il giorno dell’anno (Edizioni del Leone, 1992), Al ponte Rosso (Edizioni del Leone, 1999), Passo a due (Edizioni del Leone, 2003, con Franco Gentilucci), Le immagini dell’aria (Biblioteca dei Leoni, 2017). È presente con suoi scritti, pezzi critici, poesie, in volumi monografici, antologie, riviste. È da oltre vent’anni attiva nella realtà culturale della sua città. Collabora inoltre alla conduzione di più biblioteche nell’ambito del sistema civico di Padova.

viapaolina@hotmail.com

 

POESIE

LA TORRE DEI MORI
Scende come bronzo
dalla torre dei Mori
quel suono puro–
i dodici rintocchi battono
a martello l’ultima ora

Se dite al gallo di non cantare,
nessuno più verrà rinnegato
nel giorno che ancora segna il passo

( Non cercate la bella Aurora,
lei sta al Gritti Palace Hotel
——–Bloody Mary per due
alle ore undici… )

C’ERA UNA VOLTA
E piangere come potremo
per una storia che non è stata mai
-fogli in risma extra strong,
neppure dall’involucro mai tolti.

Mai il delicato fruscio
in un voltare di pagina,
né il segreto in una piccola piega.

Nell’aria noi allucinati
lo coglieremo pure
quel vago sentore di gelsomino
–ma sarà un nulla, come di fumo…

PER UN DIO SCONOSCIUTO
Abbassata la serranda sul negozio,
l’ondulato e inerte metallo
è scivolato fino a terra.

( Fulmineo come un artiglio
mi aggredisce il tuo non ricordo )

Resiste una scritta orizzontale,
impastata di carta, polvere e giorni:
“ Signori, il lunedì si chiude–
si chiude tutto il tempo “.

( Inutili clamori, e calda luce
laggiù, nel bar all’angolo… )

L’ISOLA
Lunghe notti ho vegliato e giorni
–e tu per me mai un segno

Sciolgo amore gli ormeggi
–e la nostra storia portala con te
nell’isola senza nome e ricordo
dove si consumerà il tuo tempo
–vuoto ormai di giorni.

EX VOTO
Non lo si poteva fare, mi dice la Signora–
benedetta non era l’acqua e le anime poi
non si lavano via così con uno sciacquo

Ma lei deve capirmi, Signora
erano le cinque in punto del mattino
e rossa colava l’anima cara
lungo il filo del sogno e se ne andava–
capisce, l’anima cara se ne andava
e cosa si poteva mai fare a quell’ora?

Eburnea Signora, mi creda, le mando il voto
di tutte le rose del mercato, ma non venga
ancora a sgranarmi i rosari dell’atto profano

Suvvia, Signora, la smetta ed esca pure lei–
fuori è maggio.

LILIALE I
Ben oltre i giorni della Pasqua
s’erano gingillati con la sfavillante carta
dell’uovo, che in realtà se ne stava
tutto nudo sopra una sedia di paglia–
–messo lì con svagata noncuranza.
Sembrava un banale piccolo inganno,
con degli effetti che potremmo definire
à trompe l’oeil, nulla di eclatante.
Il lato clamoroso dell’ affaire
veniamo a saperlo soltanto ora
che la Sfavillante, senza indulgenza alcuna,
si è sottratta al ruolo assegnatole dal gioco
e fuggitiva lascia nella più profonda
e sigillata indifferenza quelli che furono
i suoi sogni privati, del tutto privati.

Della storia qui conclamata rimane solo
un esile pensiero liliale, quasi ilare.

LILIALE II
Il colore bianco e la forma infantile
facevano dei miei sandali
due foglie calcinate
graziosamente oscillanti
in grembo alla dolce creatura del sud–
–dall’orto il ligustro si protendeva
fin sullo scalino dove quieta
rimanevo ad intrecciare attese.

E se la bella immagine m’incanta
il pensiero delle sue mani
esile ancora si leva all’alba.

AMORE E PSICHE
Perdonami amore se ancora strappo
piume e versi alla nostra casta camelia…

Nella cara stanza oggi è così buio
che solo arde giallo di tanta luce
il biglietto che s’appunta alla finestra…

L’ABITO ROSSO
Lungo la linea dell’abito rosso
molle scivolava il ventaglio nero

L’antico tondo trasudava vita
nello smalto che la racchiudeva

Incisa a filo dell’orlo floreale
la dedica ancora si leggeva
“zefiro di rugiada il prato bagna”

OPERA
Giocoliere gentile che nella mano
il cavo della bava fermo tieni

sicuro rimani e non visibile
——–pura mimica sospesa nell’aria.

Al cielo sia cangiante il tuo giullare.

L’ARIA
Smarrita nell’intreccio della storia
la piuma di ligustro si librava
in un cielo a noi ancora sconosciuto…

( era sua l’ombra sottile che ora si posa )

IL GRAFFIO
Segui amore il graffio della vita
e la brina che si posa sull’orlo
Non soffiarci sopra, non appannarla

Apri la nota alla voce del tempo.

AMARGO
Quel banchetto nudo dove la vita
si fa putta e graziosamente porge
la mandorla amara che solo al filo
della mente rilascia il suo gentile

………………………………………

( qui io non vi dirò nulla dell’albero
né della luna che lo sorvegliava )

ORO E BIANCO
per Stefania C.
Di giovane ramoscello è la tua mano–

Anima quasi bambina che a sé stringe
il nastro d’oro dei tulipani bianchi

( Indifferente il fioraio al nostro rito… )

SOVRAPPOSIZIONE
Il tram è in partenza verso il centro…

Si direbbe opaca la superficie
che sbuca dal manifesto murale,
se il riverbero e l’incerta materia
non mostrassero la forma ellittica,
dove lo specchio retrovisore filma
senza scatto il via vai della strada.

Tutto lo short sta in quello squarcio
–sospeso tra realtà e illusione.

CANTO FERMO
per Franco G.
Stasera lascia aperta la porta
ch’io possa entrare, e tu sciogliere
dai fili rossi il nostro carteggio.

La tenda s’alza ariosa come vela
che naviga verso il monte, nuvole
alle specchiere dell’altra stanza e cielo.

–Manica a vento, tu saluti Nina
e sali nell’incanto del tuo Chagall…

IL PAPAVERO
Neve perenne dorme la tua voce
sotto il bianco cappuccio del Subasio.

Lui nasce intoccabile e rosso–

–polvere della tua voce e sabbia
della mia gola, forse non fiore

ma trama di un sogno che non cede
al suo insostenibile peso d’ombra.

SILLABA
I.
S’inquieta come stormo che scolora
il tuo nome sul filo della mia mente

–alto volo da quel cielo scende in sillabe

II.
E se lieta nel liturgico fluire
le tue mani sento in me confuse
con rapido tocco svagata m’insinuo
nella piega che il brivido impone

III.
Si spezza nell’aria un delirio d’ali

( Colombe fremevano nel tuo cielo… )

ANDANTINO GRAZIOSO
Se ne stava quel chiaro spartito
incollato alla vetrina del liutaio–
con il suo si e la bella chiave di violino,
presi nel rigo della prima battuta

( Dal suono sciolte bende
liberano mani ferite )

All’ulivo santo della pietrosa
piccole anime beghine
cerimoniose vanno
al minuetto di pigolanti passi
Le mani tendono al tuo approdo
e avide il tuo nome afferrano
con l’unico riconosciuto fiore–
questo mio votivo monile di carta.

CARPE DIEM VARIAZIONE
Cara, non chiederti quale destino
gli dei abbiano per me e per te deciso
né struggerti (non è lecito saperlo)
sulle vane cifre di Babilonia.
Conviene accettare e patire la sorte –
–l’inverno che ora flagella le onde
sulle scogliere del mare Tirreno
potrebbe essere l’ultimo voto
o avere lungo seguito nella vita.
Sii saggia, continua a mescere il tuo vino
e raccogli la speranza nel breve suo filo.
Vivi questo giorno. Mentre parliamo,
l’avido tempo è già da noi fuggito.

VILLA R.
È cresciuta a dismisura quella rosa–
rosso struggente di velluto e spine

Il tempo si posa su cristallo sottile
mentre sfiora lame di ilare argento

( S’adagiava sul tappeto la figlia dei giorni… )

D’INVERNO
Nell’incerta grazia di una gemma
di te ritrovo quella che non eri

La radicella che pulsa nell’ombra
dall’umido umore risale alla linfa

( Sottili e nati già gli alberi d’inverno )