Gilberto Finzi è nato a Mantova nel 1927, viveva a Milano, dove è scomparso nel 2014. Le sue raccolte di poesia: Morire di pace – autobiografia (prefazione di Giuliano Gramigna, Shakespeare, 1977), Tre formule di desiderio (Spirali, 1981), L’oscura verdità del nero (Garzanti, 1987), Demone se vuoi (Book, 1994), Poesie laghiste (Scheiwiller, 1997), Soldatino d’aria (Marsilio, 2000), il volume antologico La ventura poetica 1953-2002 (F. Motta, 2002, e La Vita Felice, 2009), Poetile (Aragno, 2006), Diario del giorno prima (Nomos, 2012). Di narrativa ha scritto O barare o volare (Garzanti, 1977), L’ultimo valzer di Chopin (La vita felice, 1995), tradotto in inglese con il titolo The Last Waltz of Chopin (Snowapple Press, 2000) e una “favola politica” ispirata alla Repubblica di Platone, Il tarlo della libertà (2004). Il suo lavoro di critico letterario è raccolto in Poesia in Italia – Montale, novissimi e postnovissimi (Mursia, 1979) e in Crepuscolo della scrittura (Mursia, 1991), e in una raccolta di articoli, Costume e pattume (Armando, 1990). Ha tradotto dal francese poesie di Aragon. Consulente editoriale e critico letterario, ha collaborato a diversi quotidiani, come “Corriere della Sera” e “Avvenire”, e a numerose riviste. Ha curato l’opera omnia di Salvatore Quasimodo, due antologie di “novelle” dell’800 e del ’900, varie riedizioni di classici contemporanei, l’antologia Lirici della Scapigliatura, l’opera poetica di Giovanni Camerana e l’antologia Racconti neri della Scapigliatura.

POESIE

da LA NUOVA ARCA

La nuova arca
Da fondi oceani a miniere di mondi,
glabri vulcani sul corno lunare, gracile nodo di astrali ellissi –

apri rompi intercetta triangoli e cubi: “vederci dentro” (uomini, spazio, quel che c’è dietro).

Ma intanto
organizza, prepara le stelle bare di popoli
minutamente, carica i bordi, prepara l’arca a quanti siamo
a due a quattro a quante belve-uomo da riprodurre.

da L’ALTO MEDIOEVO NEL SUO PIÙ BRUTALE RICORSO AI NOSTRI GIORNI

Martiri a Belfiore, I
(la tua città si serve di una nuvola, produce leopardi, genera mostri
– e topi nutre)

o nonsenso o nonsenso di che teso liquore ti fai bello
o presso chi muore distinguersi con foga nelle veloci sere della ferinità
– perduto fra due
momenti di terrore e sosta – carrettiere fermo il crinale dei santi nelle chiese,
il vento mietitore di veglie –

sono lì venuto
da tranquillità, da oltremondi di calme bovine felice di non essere che un
seme una vena un
minimo oggetto di penetrazione – oppure sarebbe deridere l’amore se sapessi
mutare avviso, le deboli sfere orarie, il mondano romore tra le foglie –

la vaga belva amore

da 68 E DINTORNI

Migratori autunnali
Scrivere, parlare?

(Da giorni migrano a sud, da giorni!)

Prevedono tranquilli inverni di secca
senectute, vendono libri, stanze, amore – sperano, certi (inetti), un valore inarrivato –
legittima
aspirazione, moneta fuori corso, merce (hanno posato con te, per te, una foto-ricordo).

Dannato? nebbia, riserbo, umano coesistere nella più idiota
artificiale vampa, lume, caldo, sera, varco, uscita?

Ribelle, ribelle –
vita – resistere –
integra diritta nel modo di
portare i suoi (lo stetoscopio ausculta, indaga, fa
obiezioni formali)

O libertà

da TRE FORMULE DI DESIDERIO

Scritta su Perdita d’aureola di Fausto Curi (*)
“… il mio sicuro mondo dell’arte in sé, mondo a sé, dell’arte
ben definito nello spirito
a sé, in sé, gradus ad Parnassum”

così Johann Christoph Friedrich von Schiller vagò nell’arco di peristilii, alla blu
luce blanda dell’anima, sfian- cato dalla febbre da cavallo, nel

giallo suo caso perversamente còlto dalla zanzara anofele, cotto nero
dal sole di Rubens, decisamente ocra volto a morire all’est –

Il problema del rapporto arte-morale
sembra così teoreticamente (spudoratamente) a livello nel livello del livello
a bordello a uccello a cervello

(“Non è l’attività filosofica che governa gli uomini”)

(*) Scritte su pagine bianche di libri: si tratta di poesie scritte occasionalmente, durante la lettura, sulle pagine bianche di libri indicati nei singoli titoli. Non sono mai “dedicate” al libro in questione o al suo autore, da cui possono avere ricevuto, al più, un vago stimolo.

Scritta su Minima moralia di Theodor W. Adorno
risalire la cima, i grandi sputi dello stupido nevoso NIENTE

quelle strappate notti quelle morti del tempo com’era fragile la meraviglia! –
tengono forte i dolorosi ingegni dei mezzi poeti, gente comune
quando più la condizione d’indipendenza o il tentativo senz’astuzia, astratto
sulle cortecce di fallibili funghi nel segreto dei poteri consumati
scava
il bianco e freddo delle termiti suona l’olifante
quest’anno inferno di pochi illusi
ciò che sarà punito, la dilettante chiusura il teorema sociale il derisore mentale

da L’OSCURA VERDITÀ DEL NERO

Arcani
1.
tutto marcisce per un’altra vita

la rigorosa perdita del pensiero coinvolge il morbido sfiorire del cuore e del sesso

vivrò per vedere altri morire altri amare altri sfiorire?

cerca l’autunno nel tuo letto amore vivono in carcere le foglie a venire

e persino le gialle misere stagioni ti baceranno su mani a croce

foglia foglia foglia merda del tempo
barrica il vento melodiosa magione verza che spunti verminoso fiore su terre spente dalla rovina

3.
tutto è vita se è vita…

perché non sollevarti dal mistero?
(ti dirò che mi piace, questo mondo…)

un tenero passo di Nettuno un verde tenero bifronte
un caldo non essere nessuno

vedo che la campagna mia compagna sta riposando sul mio letto d’erbe

flauto improvviso un romanzo lento – un momento

di vento

mi sento un uccello che non esiste
dal naso freddo – che esita, persiste…

6.
un lamento, cara, o il nostro sogno divagato incubando la notte
stana – svana – sbrana?

occhi e bocca agl’incanti disegni dell’ apparizione – guida e canta da cieca sirena e non lascia
traspirare (trasperare?)

“la vera storia del nonvivere”

Al rientro nell’atmosfera scava il tacito modo nella sotterranea penuria, e l’ombra sdà, e il docile sentire che si vive (se si vive),
e l’ansia di levarsi/lavarsi il grifo il negro il tosco

– e così fosco andare

Sulla soglia del cielo
voglia di avere voglia – penso non pensare di stare pensando
e tutto vedo il vedere
come da fuori spazio, in mute scene

così io suono il tempo che resta in movimento con orecchie vuote

paziente della mia impazienza stretto il timore con dita di spillo
sulla soglia del cielo, a vita quasi finita

in aria su una strada invisibile in roccia in gabbia gabbiano nella rete della sera sottile

da DEMONE SE VUOI, UNA STORIA IN VERSI

Esplorazioni
il caldo dell’ignoto fino in fondo, da dove il dove non ha più——dimensione, l’area è
un cerchio accerchiato, e una retta con la sua parallela si fonde: fin là sono stato nel delirio
vortice e vorticato, esplorante ed esplorato

Come di nebbia
come di nebbia una mattina
toccandosi per prova a un muro e qui finendo dentro un sogno raro quando e dove
i ragni e le tele per crudeltà finiscono
la cieca mosca del cuore – e ancora più rasente quel muro si rivela nella mattina di nebbia
una ragione ragionevole per
non correre da te, da me, da tutto ciò che si muove ed è pericoloso

“Entra, ti prego” (III)
“entra, ti prego”, e dentro e dove tace il tempo di notte,
la corrida del mondo,
la luna vince senza farsi vedere
e un cane ulula, geme e non ha pace –

in questo invisibile “tu” mi sento noto
e chiaro come un fascio di stelle che il nulla tiene, a forza, nel cielo tragico di sempre

da SOLDATINO D’ARIA

Colori (GRIGIO-FUMO)
non c’è, non c’è
che un’unica rovina, l’alta maceria della vita mediocre – anche Amore te rapina

con l’addiaccio e la separatezza ti muore sulle labbra l’ansia,
la vittoria, il lieto fine, e slitta e strania
fin la saliva dell’ultimo bacio

a tazze vuote, a mondo fermo strozza le vene un soldatino d’aria: non è più Eros ma un sopravvissuto inseguito da segnali di fumo

Linea della vita
1.
secca di secca età rimemorata con tinta serena
dio come brucia lasciarla! e non si chiude
e non continua oltre
nel palmo di tutti i suoi sensi

o mio di me non farti più la sciocco io del Tempo

un punto piano e lento monatto avanza te la porta via

7.
scòrciati, sbrendola vita tutta tua e mia

che bruci e batti di nottetempo come scheggia nel dito

lunata parte dell’ora che parte
passa dall’antro dell’eco, dall’io stràppati, stràcciati
incarnata dolìa

da POETILE

La luna nuova
La luna nuova è un sereno pensare dove graffia l’ortica che non vedi
– ah, la destra punta
al piede e al malleolo, la sinistra gratta al cuore, come un fungo o un pugile suonato –
chi
mi darà l’ocra del tempo sulla giallastra
faccia, o foglia, o il suo pentimento?

Con gli occhi e il naso cotti nel lurido mestiere la notte è sull’onda,
e soffia, soffia
finché spasimo e spina
una cosa divengano, e tutto infine si capovolga

Nel nero
nel nero del nero
la betulla
– così grigiobianca e come spaurita – lo sguardo immobile apre

lei, la sua scorza lucida vibra nel cuore del vento
asta e cornice di un possibile mondo
che non si distingue

che c’è, oppure c’era, tutt’attorno, un albo
sentire di quando e di forse: sarebbe stato potente il fiordo dell’ansia se avessi scritto
– una sola volta – la parola “destino”

Per vizio estremo
per vizio estremo
barattare solitudine e silenzio, vincere per un pugno di mosche, rodare la rupe Tarpea con un celtico, frodare le campane mentre si mangia una greppia
di folto fieno,
e alla fine della vita sputare sull’ambrosia di tutti
gli dei, un luminoso preferire
buio di mezzanotte, guardarsi dietro e, non vedendo inseguitori, rallentare

e sugli sbagli riuscire a fermarsi, a non domandare chi, perché, come – e vincere così
un’esistenza vuota, cupa, dalla paura dominata –

sei tornato a fremere, nel vuoto, e non sai
che destino, che fato