Franco Marcoaldi è nato a Guidonia nel 1955 e vive sulla laguna di Orbetello. Giornalista, collabora alla Repubblica. Ha pubblicato i libri di poesia: A mosca cieca (Einaudi 1992, premio Viareggio), Celibi al limbo (Einaudi 1995), Amore non Amore (Bompiani 1997), L’isola celeste (Einaudi, 2000), Animali in versi (Einaudi, 2006), Il tempo ormai breve (Einaudi, 2008), La trappola (Einaudi, 2012). È inoltre autore di Voci rubate (Einaudi 1993), Benjaminowo: padre e figlio (Bompiani, 2004), Viaggio al centro della provincia (Einaudi, 2009), Sconcerto (Bompiani, 2010), Baldo-I cani ci guardano (Einaudi, 2011), La trappola (Einaudi, 2012), Il mondo sia lodato (Einaudi, 2015).

https://it.wikipedia.org/wiki/Franco_Marcoaldi

 

POESIE

da L’ISOLA CELESTE

Il mondo di Maria
Mentre il sole alto nel cielo
risplendeva su ogni dove
invitando a mille azzardi,
lei, Maria – reclusa in casa –
scaricò la lavatrice strizzò i panni
mondò i cardi. Spolverò sedie
e credenza, lavò i vetri fece
i letti. Riassettò in una parola
come sempre ogni mattina, stanze
bagno corridoio il salotto e la cucina.

Fuori il sole (l’ho già detto)
risplendeva seducente
invitando a mille azzardi.
Ma Maria si guardò bene
dal cadere tanto tardi
(troppo tardi!) nella trappola
di luce di quell’infida sirena.
meglio il neon della cantina
per chi adusa alla clausura
era lì che consumava
la più esotica avventura.

Ghost-writer
Se suggerendo ritrovai la voce
ora scrivendo non conosco pace –
creatura d’increato che traluce
soltanto se la voce (sua) si tace.

Ombra di falso che si stende
e giace, e s’imbelletta
e quel che è peggio piace.
Voce di capra, voce di cornacchia:
è propria d’animale la voce
senza macchia. Ma quello di natura
è tempo andato, ed al suggeritore
in buca – defunto l’animale –
rimane un compito soltanto:
trovar chi faccia al meglio il verso
del creato.

Il soggiorno è il mio problema
Libri libri quadri libri
scatolette sigarette
due candele un cavallino
fichi in marmo ancora libri
un vecchissimo accendino.
Sopra i tavoli, dai muri,
nei cassetti vani oscuri
che nessuno ha mai sondato,
il soggiorno tutto intorno
mi rammenta che il problema
si riassume in questo ingorgo
di sovraffollata scena.
Troppi oggetti, troppe carte,
troppo spazio dato all’arte.

Nell’affanno di sapere
non riesco più a capire,
nella smania di guardare
non riesco più a vedere.

Al soggiorno do ragione:
devo farmi il vuoto intorno.

E da lì ricominciare.

*
Alla celebre vulgata che ritiene
l’animale – sempre e comunque –
un essere inferiore, sarebbe
sufficiente rammentare quanto
scrive Montaigne riguardo
ai cambiamenti di colore.
Il polpo lo decide lui che cosa
fare, variando la sua veste
a seconda che reputi opportuno
occultarsi ad un nemico
oppure avanzare in campo aperto
ed attaccare. Tutto il contrario
di quanto accade in occasione
di ogni nostro, eventuale
mutamento; sempre subìto –
via via causato da vergogna
sofferenza collera spavento.

L’itterizia, mica la nostra volontà,
ci fa ingiallire.

Uomini e oche
A Lorenz dissero (era vero)
“Sei un nazista” – mentre ibridando
oche selvatiche e domestiche
osservava: “Se questo incremento
prepotente di pulsioni
per la copulazione
e l’alimentazione, accompagnato
al calo preoccupante
degli istinti sociali
singolari (e quindi differenti).,
valesse anche per l’uomo,
sarebbero chiare le ragioni
di un conclamato deterioramento:
trattasi di specie che ha patito
eccessi da addomesticamento”.

*
Se solo tu sapessi
cara la mia mammina
che cosa fa tuo figlio
da quanto cala il sole
fino a tirar mattina.
Diventa all’improvviso
il più stupido del mondo,
cercando vanamente
chissà quale sprofondo.
E il guaio non è quello
a cui tu stai pensando:
peccati efferatezze
rossetti pornotango.
Volesse Dio lo fosse.
Il male nel mio caso
è solo una credenza:
eccitazione autistica
che porta all’impotenza.

“Il paesaggio disturba il mio pensiero”
FRANK KAFKA, Descrizione di una battaglia.
È sempre lì che svia sottende
promette chiede attende.
Non si accontenta che ad occhi
chiusi io lo riverisca –
pretende siano spalancati,
e che completa sia la lista:
“Sei bello monte, e bella tu,
sorgente. E il bosco e il prato
e il basso bianco su cui l’acqua scende”.

Ma attenzione, il paesaggio
è un soggetto permaloso
e gli ci vuole poco
a diventare ombroso.
Dunque di nuovo, e mille volte
dico: “Sei bello monte e bella
tu, sorgente. E il bosco e il prato
e il sasso bianco su cui l’acqua scende”.
(Però, ti prego, fammi un po’
respirare: scompari ogni tanto
dallo schermo, lascia anche al mio
pensiero lo spazio per campare).

Piantando una begonia
Statti accorto amico caro,
ché a confondere l’estetico
con la polvere dell’etico
si finisce in un baleno
nelle spire del patetico.

*
Per una volta nessuno che contesta,
l’accordo è generale: tra mille
pensatoi di cui l’uomo dispone
la vasca da bagno resta a tutt’oggi,
senz’altro, l’ideale. Il corpo nudo giace
a mollo e quieto in casalingo
mare; e anche la mente – liberata
dai suoi impegni – può abbandonarsi
a un vuoto indubbiamente salutare.

Ma quando questa sera (munito
di regolare paperetta)
mi sono messo in acqua
pregustando lente divagazioni
aliene agli spasmi ordinari
della fretta – imprevisto, ecco l’intoppo:
non sono più un ragazzo,
checché vaneggi il corpo.
Pericolosa discrasia
che subito la mente ha registrato,
alimentando un’ossessione
che ha trattenuto il sottoscritto
(misconosciuto adulto) in porto.

L’isola celeste
Affoga nella cenere, Villarsa.

E poco importa se sia tragedia
o farsa all’impaurito naufrago
proteso verso un’isola comparsa
all’improvviso tra due masse
acquee e gassose di celeste.
Che cosa c’è ad attendere
chi fugge dalla peste dell’annosa
carovana di frivola tristezza?
L’ombra dei morti, il buio della fossa,
colpo rimosso della vanga?
O l’ombra del futuro, il non nato
che ci incanta? La colpa
l’espiazione la catarsi? Il nuovo
mondo di Prospero e Miranda?
O è Robinson, figlio disubbidiente,
che fa da guida al vecchio
mondo ricreato in solitaria?

Affoga nella cenere, Villarsa.

*
Illustrissimo teologo,
tra i doveri del cristiano
primo viene l perdonare.
Resta solo da spiegare
perché sia tanto difficile
fare verso gli altri simili
ciò che appare naturale
col più semplice animale.

*
Quest’inattesa estate novembrina
eteree ragnatele in erba grassa;
Gina, la tabaccaia, abbigliata
da circassa; la luce lagunare
cilestrina; lotta di cani
al tramonto nella mota; ruota
di camion che gira a vuoto
straziando la frizione; piccione
azzoppicato che sbatte
vanamente le sue penne
nell’etrusca Talamone.

Procede la vita, come sempre
a noi del tutto indifferente:
perché però soffrirne
e non godere invece
di essere spettatori
del mondo al suo presente?

*
Smarrito il passaporto,
l’auto da rottamare,
cinque pini del mio viale
abbattuti da una violenta
tramontana: ecco
l’eccellentissimo bilancio
della trascorsa settimana.

Ma è inutile lagnarsi, se
è vero che la vita è come
una coperta – abitata dalle tarme –
che va perennemente rinuncia.

*
Se hai trascurato Dio
non hai né figli né nipoti
e sei abbastanza intelligente
da riconoscere la spenta vanità
dei mediocrissimi successi
del tuo Io, il mezzo del cammino
di tua vita (e tanto più quanto
gli viene appresso) ti chiede
di mutare alla radice tesi
e obbiettivi in vista del tuo
prossimo, solipsistico congresso.
Cambia registro: ospita accogli ascolta.
A cominciare da quella lacrima
di pioggia che un ombrellaccio stento
sta abbandonando al suo destino
sopra a un marmoreo pavimento.