Francesco Scarabicchi è nato nel 1951 ad Ancona, dove è scomparso nel 2021. Ha pubblicato le raccolte di poesia: La porta murata (prefazione di Franco Scataglini, Residenza, 1982), Il viale d’inverno (l’Obliquo, 1989), Il prato bianco (l’Obliquo, 1997), Il cancello 1980-1999 (peQuod, 2001), L’esperienza della neve (Donzelli, 2003), Il segreto (l’Obliquo, 2007), Frammenti dei dodici mesi (con foto di Giorgio Cutini, l’Obliquo, 2010), L’ora felice (Donzelli, 2010), Nevicata (con acqueforti di Nicola Montanari, Liberilibri, 2013), Con ogni mio saper e diligentiaStanze per Lorenzo Lotto (Liberilibri, 2013), Il prato bianco (Einaudi, 2017) e traduzioni da Machado e García Lorca: Non domandarmi nulla (Marcos y Marcos, 2015).

https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Scarabicchi

POESIE

Biglietto di settembre
Questa pioggia che senti
giovane lungo i muri

picchia, se fai silenzio,
ai nostri vetri,

bagna inferriate e foglie,
crolla dalle grondaie,

allaga il buio,
cancella ponti e polvere

e scompare.

Prologo
Sanguina a me di fianco l’ora bianca,
ospita un altro inverno, non capisce
come ancora si ostini, in tanta neve,
a rassegnarsi al mondo, al suo crudele
volgere in niente il niente, dileguando
oltre il vuoto dei giorni, in un addio
di bisbigli caduti nella luce.

2
Della perduta vita non so niente,
ché sempre se ne va per chissà dove,

resa o voltata a un angolo del giorno,
mesi che può la notte cancellare

sulla soglia gelata del mattino.
Non c’è altro che adesso e adesso ancora:

se appena lo pronunci si dissolve
in un adesso che non è più niente.

Siamo quest’oggi chiaro che si spegne,
luce che lascia gli occhi con dolcezza,

uomini che di spalle vanno piano,
seguito della storia, sogno, nube,

ombre che di ogni età fanno silenzio,
onde che si cancellano nel mare.

Luci distanti
Il muschio è quell’odore che non muta
la sua antica infantile identità,

come se fosse sempre ovunque Ortona,
nel silenzio notturno che qui scende,

camera d’un albergo di provincia,
luci distanti che dai vetri vedo,

se appena un po’ m’accosto dopo cena.
Cadrà sempre la neve in ogni tempo,

sarà bianca com’era, fresca e intatta,
nasceranno bambini dai suoi fiocchi

come piccoli uomini che vanno
al paese incantato inesistente

che ciascuno conosce, se rammenta
l’albero dai bei doni illuminato.

Questa luce che tocca
Questa luce che tocca
ottobre e il mondo
calma scomparirà
da sé in silenzio
nella sera del tempo
e questa nebbia
bianca sulla città
lascerà intatto
tutto il vuoto dell’epoca,
il ritratto di ogni cosa che, ferma,
a voce spenta,
niente saprà di noi
come l’odore
della notte di vento
e pioggia dura
che sui nomi e le case
cade invano.

*
Una lampada
Nelle giornate limpide
non vedi
i vetri delle case
dietro ai quali
brilla ancora
una lampada.

*
L’ombra degli oleandri
Dai vetri di un albergo,
verso sera,
torna soltanto adesso
-superstite d’allora-
l’ombra degli oleandri.

*
Nel fondo
Il poco più di notte
che si attarda
sul manto delle more
non tradisce
quel che di te non dici,
gli anni muti
scivolati nel fondo,
in lontananza.

*
Ci vorrà
Ci vorrà
tutto il tempo necessario
prima che possa anch’io
fare a meno di me
senza voltarmi,
andando,
per lasciare.

*
L’orma leggera
Chi, come te, cortese,
mi sovviene
lascia l’orma leggera
e si allontana,
come fanno le nuvole,
tacendo.

*
Dove cade la pioggia
Dove cade la pioggia,
c’è la luce di ottobre
che finisce.

*
Sesto preludio
Come discreta e intatta
alla quiete d’un mese
a sé m’attrasse
l’ora del pomeriggio

di pietre e vie infinite
e un vento d’aria
a sponda d’ancoraggio
dove il vento finisce,

nell’eterna stagione
d’alba ferma,
immobile sui rami
e sulle cose.

*
Settimo preludio
Tu sola sei venuta
a quel suo stanco
passo di notte bianco,
a quell’estrema luce
d’altra sponda
di chi piano allontana
sé dal nome
e anche se chiamato
non risponde.

*
Sui gradini del mondo
(Un’epigrafe)
Guarda la notte
che non si dirada
sui gradini del mondo,
tu che siedi
dove più forte è il vento
di ogni strada:
questo il presente
della storia, il lutto
reso ai dove del niente,
la contrada
dei passi che si perdono,
il delitto
nel silenzio dei nomi
quando avara
è la virtù del sogno
che condanna
gli uomini al loro nulla,
a una memoria
di volti senza voce,
a un’ombra bianca;
altro non chiedi,
nella luce che tocca
la morte che non vedi
e che ti affianca,
se la pietà, nel freddo,
non ti parla,
se vivere è soltanto
quel che devi.

Partita
2
Essere d’ogni tempo
alla sua soglia,
luce a marzo, d’inverno,
nel cammino
che cancella il pudore
delle impronte.

Non somigliarmi,
non avere, con me, niente in comune,
lascia che sia, ogni volta,
l’imprecisa dolcezza di un saluto
a condurre i tuoi passi
e quel tremore trepido che guarda
il niente per cui è dato consegnarsi.

*
Porto in salvo dal freddo le parole,
curo l’ombra dell’erba, la coltivo
alla luce notturna delle aiuole,
custodisco la casa dove vivo,
dico piano il tuo nome, lo conservo
per l’inverno che viene, come un lume.

*
Così dunque si muore
tra bisbigli
che non sai afferrare.

*
E dopo?
Dopo semplicemente,
la vana solitudine del sogno.

*
Viene
l’aria dell’anno
dal giardino:
cosa avrà in serbo
il giovane gennaio
col suo gelo?