Nato a Viareggio nel 1941, Francesco Belluomini viveva a Lido di Camaiore, dove è scomparso nel 2017. Poeta e operatore culturale, ha fondato nel 1981 il Premio Letterario Camaiore dedicato alla poesia, di cui è stato presidente. Ha pubblicato di poesia: L’altro io (Campobasso, 1976), Già dell’equivoco (Seledizioni, 1978), Giorni miei: la storia già scritta (Forum, 1979), I racconti dell’anima (Periferia, 1982), Il melomalessere (Tracce, 1985), Tartine e/o Quartine (Campanotto, 1990), Nudità degli eletti (Viareggio, 1993), Sul secco di quell’erba (Pagine, 2002), Senza distanze (Bonaccorso, 2004), Celeste odissea (Bonaccorso, 2008), Occhi di gubia (Lieto Colle, 2008), Escobenes (Lieto Colle, 2009), 29 giugno 2009. Nell’arso delle sponde (Bonaccorso Editore, 2010), Occasioni di poesia (Tracce, 2011),Intimi riflessi (Bonaccorso, 2015). Ha inoltre firmato i romanzi Le ceneri rimosse (1989), L’eccidio di Sant’Anna di Stazzema (2006), La finestra sul mare (2007), Villa Giulia (2009), Mary Moss (2011), Sul crinale dell’utopia (2013), Nel campo dei fiori recisi – Scampoli di olocausto (2017). Suoi testi sono apparsi in diverse antologie e su numerosi periodici e riviste specializzate.

https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Belluomini

 

POESIE

UNA MANCIATA DI SASSI
Dondolano le scarpe sdrucite
dell’uomo seduto sul bordo del fiume.
Immoto è lo sguardo sul cerchio
del sasso lanciato, che allarga
per poi svanire nel nulla.
Un altro sasso, un altro cerchio
e in esso il film del tempo perduto.
Una pausa, un tonfo, un cerchio
ancora più grande, e sull’argine
una manciata di sassi la cui ombra
è sfruttata da due mosche in amore.
1976

SENZA INGIURIE SGORGA
Entro limiti segnati appoggio il peso delle mie orme venate da un filo di verde.
Al palo la tortura di mordersi le mani rendendo agli altri il tuo frenato, che senza ingiurie sgorga.
Ma passando i confini con la forza del mio -schiavando le mode- vestirà la mia vita solo panni feriali.
1977

FINE ANNO: CONSUNTIVO
I giorni sono vecchi di mercato le strade hanno perso simpatie gli eventi ci hanno pigiato sulle scale e la natura affretta la chiusura del sipario.
Troppi la lavagna ha cancellato i grandi si sono resi pellegrini le vele son rimaste nelle stive e l’uggia mi divora il resto della mente.
1977

ECCIDIO (S.Anna)
12 Agosto 1944
Ed altri vennero dal sentiero sconnesso nel silenzio dell’alba profumata di rovi e castagni.
Ed altri ancora…
Piangi bambino l’eredità del mondo!
I tuoi tre anni non sanno: la guerra tra i vinti ha seminato fumo nero e nel vento disperde eroi senza medaglie.
Oggi si e innalzato il cemento dove fiorivano le rose
————–e le mimose del bosco.
Piangi ragazzo l’eredità del mondo!
Hai l’età delle memorie ma i martiri inseguono il tempo.
1978

E LA PICCOLA A LETTO
Noi due a parlare da folli con i vetri rigati dalla pioggia, noi due e la piccola a letto a costruire castelli con la bolletta della luce da pagare…
1978 Lido di Camaiore

10 LUGLIO 1941 (La mia nascita)
La tempesta dell’uomo stordisce e mitiga gli evviva degli amici e il premio del regime. La méta dell’opera giace ai piedi dell’idea che suggerisce le canzoni dalla musica stonata.
Poca cosa tra le mani ostentata con orgoglio: appartenere alla vita il momento sbagliato.
Imprecare per sperare otto volte su dieci.
1979

INNOCENZA FERITA
Siamo tornati né attesi né inattesi liberi di prenderci negli eterni riti di questa commedia degli inganni o di riprenderci l’entità venduta.
Il giuoco non ha più problemi reali: l’io tutto, l’io plurale, l’io sempre, foss’anche per vent’anni sopra il mare d’innocenza ferita ( desueta o consueta ).
Forse ricadremo nelle stesse buche carpiati in caparbie difese indifese, che ci permettono di nutrire da fermi l’amara contraddizione che ci spiazza.
Abbiamo pagato questo clima ansioso il nostro dire dalle spalle larghe, lo starcene stretti ai nastri di partenza senza poggiare mai i piedi sulle staffe.
Ora si può discendere dalla parte opposta senza l’assillo di un vessillo imprudente, senza curarci dalla carta che c’incarta e mettere all’asta una rivoluzione involuta.
Così offresi ( con mani, piedi testa e cuore ) a passo lento nella ripresa, con l’essere illibati che noia contro noia.
1981

PER-MUTA-AZIONE + META CHE FORA : IN PEST/REVIVAL

RACCONTARE A NESSUNO
( ma Ulisse non c’entra, per favore )
Raccontarci oggi sacramentando sacrificati al gioco del parlato messo in fila.
Asfittici raccontare saltellando tra le righe di fossili tarde masturbazioni mentali; raccontare assessuati di assuefatte ragioni mentre il vento ci vomita addosso l’inadempienza incipiente di noi inadempienti con pretesa d’ascolto di futuri fantasmi; e girare a braccio tra vendita e consumo dando scontato quel quid di scollamento in margine alle nostre disattese attese, traditi dall’onda che ci frange dentro nel cupo suono del mare della sera.
1982
1. Santa Croce Sull’Arno

LA VITA DI MIA MADRE
Abbiate pietà di me che mi racconto quel poco per sfuggire una paura. …………………………………….
E’ solo una storia per cani randagi vecchia ruggine impigliata tra i denti, sbracata ormai dal senno di poi in un disordine d’un ordine a senso: se avesse senso il senso di un ordine.
La ragione insinuata dal tarlo che erode il falso equilibrio dello spento scalino, un’aria di festa sciupata all’inizio dal vezzo del vizio di tanti padroni: se fosse vezzo il vizio di tanti padroni.
1982

I RACCONTI DELL’ANIMA
Mi hanno detto tutto: perfino poeta

Se cado faccio fatica a rialzarmi

Ho una età anteposta alla ragione dell’età

Però ora qualcosa la vorrei:
vorrei ammazzare un cane se lo possedessi.
Tenace inseguo l’utopia della normalità

Non mi basta l’unica variante al sistema

Ho ucciso un cane non mio una volta

Ma
oggi
prima
gli mozzerei la coda;
faticoso e non farsi leccare le mani.
1982

IO-NOI
Paghiamo ancora questo tempo anche nostro verità di un vero su misura senza le arguzie dell’inverno che trasloca lasciandoci in mano solo una risposta:
C’E’ DA DANNARCI L’ANIMA PER UNA PAGINA SCRITTA.
( Scontata a stento la scontrosità del primo mattino, indolenziti da un riposo con l’orario imposto e scassati dal catarro che ci spacca le pareti di una fragilità inapparente. )
MA FINCHE’ LA FESTA CONTINUA: BEVIAMO.
E non importa se scavalchiamo i brocchi: domani vestiremo i pochi sogni e seguiremo i cani in muta muti.
1983

( Self colloquio con Giancarlo Majorino )
VETRINA D’ONDA
Scusami: mi scappa l’effetto nord.
Oltre non reggo il filo della fuga ma muta di noi quanto senza dimora un risalire di suoni da contr’ora.
Certo Giancarlo il mare mi asseconda tutte passioni e i segni sottomuro, ma giuro una memoria non troppo fausta un vecchio bluff senza una luce a molla.
Mi porta in tondo la vetrina d’onda tutto di sale quanto mi circonda, ma nego un percorso fine corsa un depurare qualsiasi sentimento.
Lo so Giancarlo, respira sui navigli non mai quieta quell’aria di sentiero, ma ignoro un domani di straforo un mascherarsi dentro la parola.
1983

MA DICO
Non mi sento di chiudere completamente: è pane è bere la mia gente speranza di niente.
Certe sere seguito dal cane mi resta l’udito, ma dico in tono compito parole che non sanno guarire che nemmeno quella bestia di cane sembra gradire.
Non mi sento di chiudere né pane, né bere, ne gente neppure quel niente.
Certe sere né udito, né cane né tono compito ma dico.
1983

GIORNI MIEI (1952)
Dimenticata l’ansia dello sguardo ripercorro la via dei sogni muovendo incontro al miracolo del sole incurante del volgere del capo e mi procuro un minimo di spazio disarcionando il resto dell’infanzia stretta al gioco degli adulti che mescolano mugugni al vino nelle sere a scarsa luce.
Sacrifico un tot d’innocenza sull’altare eretico del mondo che lecca ancora le ferite piegato da valanghe di parole sospinte dai sicari del vento.
1984

VIAGGIO DALL’INTERNO
Ci è vietato il pudore, noi voce premuta sulle cose su quanto non muta sull’asse inclinato di un mondo mai nato.
Ci è vietato fermarci, noi tema obbligato sulla scena su quanto già dato sul tasso istintivo
————–di un verso più vivo.
Ci è vietato fuggire, noi somma radente sui dogmi su quanto ci tenta sul passo informale di un canto che sale.
Ci è vietato il silenzio, noi taglio insidioso sul foglio su quanto più roso sulla ressa iniziale d’una voce che vale.
Ma è vietato il divieto, noi sorte prevalente sulla notte su quanto ci mente.
Febbraio
1984

da IL MELOMALESSERE

X
Noi nonostante le amarezze le sfide fallite più destrezze l’espresso il composto di gesso senza bozza d’avviso permesso la fronte con la ruga contratta la proroga salute distratta ostruzioni sul cardo di carta i momenti più eredi di Sparta

XI un deluso riporto riposo il cervello più tardo più roso di frustate su schede perdenti degli scatti più strani dei denti senza sole sull’ora legale si riparte su quello che cale un deviato l’avvolto tradito ogni piatto il poco servito

XII lo sdegno su facili prede su ricerche di stampo di fede palinsesti di troppi credenti di fiducie su stesse tangenti la battuta sul tempo tedioso ogni mondo il sistema geloso di progetto letale del ghetto d’inchieste più lunghe del detto

XIII
Noi nonostante gl’intoppi risposte di troppi purtroppi refuso il successo sul dato una stele l’ideale schedato il più vano contorno d’insano un racconto feriale nostrano su suddetti aloni più gretti né indisposti né grida di vecchi XIV i rintuzzi d’embargo totale un consesso su stesso tonale il durante sicuro sfondato né sembianze su bianco parato il tradotto sul punto di piazza senza biada cavalli né razza stessa dote soffusa la posta

un sentire sul fiato di costa

XV né medaglia l’avvento l’ascolto già trascorso sul pelo del volto né di vele il mare più bianco un appello di piede più stanco né asfissia desueto non tonto un periodo tacciato di sconto più serrato sul senno di poi lo sbracato ogni segno di noi.

DI ME VIVI SEDUTA
A mia moglie
Mi capisci spero anche se annotta presto sul divano nessuna flotta ha più il suo capitano di ventura né stura desideri oltre il consenziente quest’alcova; di me vivi seduta questo dato piegato all’udire: c’è sorriso invernale dentro un David senza nessun Golia.
1985

DIALOGO DELL’IMPOSSIBILE
Don Giovanni e Molière
“- Non fu da padre il gesto che mi diede vita ma tua arsura e fonte di repressi desideri, immaginario avvenire tra dischiuse vertigini: frutto di tetre mura e traslate speranze.”
“- Tu di me, per me giuoco e riscatto volo d’ape su ogni fiore di sbocciata bellezza, ebrezza e tirannia di perdersi nello scoprirsi pasta della tua pasta nel sottaciuto ribelle.”
“- Io di voi, per voi in talami di riscaldate lenzuola servo e padrone di fantesche e matrone d’un tutto lustri e latrine, avanzo di vetrine, negato a lugubri rintocchi di campana.”
“- Pagai di tasca mia la tua immagine sanguigna, particolare in cronaca del mio tempo oscuro, dentro di te disposi l’azimut del mio futuro come Aristòfane pagò di suo l’inespresso.”
“- Vecchio di vecchia moralità mi privasti luce inghiottito nelle viscere della tua presupponenza, senza smarrire la forza della mia grandezza nella tua gloria di tragicomica tristezza”.
“- Oggi tu trasceso al ruolo contumace, pesto, viziato, rivisitato in date ricorrenti, posso donarti nudo in pagine trascritte: esempio di quanto regalai alla vita.”
Febbraio ’87

I VENTI DELL’ESTATE
A Piero B.
Ricordi i venti dell’estate sulle testa canute dei vecchi contadini piegati sul ventre rigoglioso della radura serpentata dal solco d’acqua sorgiva che tagliava in due i faggi nell’armonioso concerto delle foglie.
E sopra per i declivi abetati ti strappavi alle ombre invitanti e nell’azzurro i tuoi sogni teneri come arbusti liberavi nell’aria…
Sperduti giorni nel rosso di quel sole
degli stentati anni della tua crescita.
Oggi nall’assolate griglie roventi di lucide snodate vie di città, curvo tu sulle scrivanie del doppio petto ti acquieti nell’età già quieta disegnando sul bianco delle pagine i colori freschi della tua infanzia.
1989

L’AMICO DEL PIAZZALE
A Giorgetto Guidi
Certo non va memoria e rompicapo in quel d’accapo di questa umanità; ma ti rivedo nel freddo del ritorno solo di nome tra tanti tutt’attorno e sotteso d’emozione ti ricordo nei voli del buffet della stazione.
“Mi hanno parlato gli astri” dicevi esorcizzando il buio della follia e disegnando quel mondo d’elusione di bocche senza grida e quelle mura del furto alla paura, solo per dire: ” Io c’ero, ma tanti erano presenti”.
Io non c’ero Giorgio, ma avrei potuto anch’io assentarmi in quella malattia…
Nei percorsi circolari della storia ti fu negato il mare per servire un parastato di confine e oggi non sei che niente in questa colombara.
1989

L’ARCO DELLE RAGIONI
I cancelli della mia solitudine restano aperti nell’indifferenza di coloro che mi corrisposero quando cavalcavo estrosi destrieri senza conficcare nelle loro carni gli speroni delle mie troppe pretese.
Eppure tutto sembrò così atteso: quel tanto di peso, quel tanto di paura e sulla dirittura del mio arresto come modesto tributo di pazienza alla vecchia committenza di frontiera, ormai a sera nel verde del mattino.
Furono d’anni le soste sulla corda finch’è stremato nell’aria nausebonda varcai quell’arco un tempo di ragioni e fui vicino ai deschi dei padroni, ma nel voltar le spalle all’amicizia spolpai ossi non rosi da dentiere.
1990

LA PARTITA
Nella partita del break e controbreak mi gioco a tutto braccio il passante di diritto sul rovescio d’attacco dell’avversario anche se non risolvo il game che mi conduca al quinto set che sinora mi sorprendo a vincere.
Vivere della stessa moltitudine senza la genia dello scontro frontale mi costringe a mantenermi in palla cercando nel palleggio di fondocampo d’incrociare sulle righe le risposte che talvolta mi finiscono in rete.
Non c’è età per affrontare il match né superfici in cui giocare meglio; nell’incontro che non ci lascia scegliere bisogna scovare in sé il coraggio di strappare il servizio alla morte e di decidere tutto al tie-break.
1990

Barricate d’argilla rotte in gola
E notti dietro notti per i giorni da
Leone. Sì che gambero allamato sulla
Lenza nell’impatto con le fauci del ragno.
Un passaggio della storia impersonale:
Occasioni per il furto del passato, nel
Magma incontrollato della fantasia
Incauta. Ma navigati orgogli d’onda
Nutrono-nutriti-di vivaci tonalità
Il ritratto scolorito del vissuto d’oggi
Viareggio 1993

DAL DOSSO AL DI LA’ DEL GUADO
A Dario Bellezza
Sei andato… ma l’alba è sorta chiara ed è spuntato un sole senza lacrime.
Un fatto che accomuna, nessuna transazione, come la guerra che combattiamo assieme.
La storia, quella dei pochi, non comprende quelli dei taboga, i disattesi della parola; il semiOlimpo ha le mani callose quelle che non trasudano nei salotti.
Sei andato lasciando i tuoi fendenti di carta, la tua dolente ironia, quel nonostante tutto del vivente tra viventi. Non eri atteso e non aspettarti ora gli oltre degli echi: per noi le campane suonano solo a morto.
Chissà perché la cosa, quali le radici, gli azzeramenti degli scalini… forse la quota della tua “toscanità”, forse un versificare nello stesso solco.
Un rapporto pesantito dai miei carichi, dalla gente, dal pudore del mio essere ortodosso; ma non serve la morte, per indebolire l’amicizia.
1° Aprile 1996