Fabio Barbon è nato nel 1951 in provincia di Treviso, a Spresiano, dove vive. Ha pubblicato le raccolte di versi: Ruspa Raspa (2007), Cusidùra (Cucitura, poesie in lingua veneta, 2013). È uno dei sette autori di poesie dialettali della “Piccola scuola spresianese” raccolte nell’antologia Cento poesie (2011). Ha pubblicato il libro di racconti Vite affrancate (2011) e il romanzo Un uomo chiamato Ricordo (2016).

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POESIE

Mare solitario
Navigo nel mare della solitudine
dove per rotte estreme
il sestante della speranza
si perde nella carta nautica del tempo.
Rifuggo i porti della consolazione
e rifiuto l’ancora dell’immobilità.
Veleggio perennemente
alla ricerca di isole di libertà,
ma i troppi bassifondi in agguato
allontanano la nave dai miei sogni;
con lei alla deriva
va il mio cuore ammutinato,
un s.o.s. caduto nel silenzio
di un tracciato di radar ormai muto.

Il sogno della speranza (V)
Verrà giorno che sarà notte
e tutto sarà in te più chiaro,
i tuoi occhi vedranno la luce
e capirai il mio tempo immobile.
Parlerai con nuova voce
del silenzio abitato,
sentirai il canto del cuore
e ogni tuo vuoto sarà colmato.
Le tue mani saranno ali
e volerai sopra la mia ombra.
Il tuo respiro sarà vento
e soffierà sul dolore.
Le tue radici saranno cielo
ma… sarà tardi
io sarò già terra.

Vademecum
Di torto in torto
di ragione in ragione
non soppesare i giorni
col fiato corto dell’odio
per non cucire sorrisi
a bocche chiuse
quando sguardi assenti
divorano il tuo tempo.
Sui tuoi passi
cammina l’ombra,
un vestito d’aria
ha già indossato gli occhi,
consumate parole corteggiano
gli assiepati silenzi
e la tua voce s’assottiglia
nell’intimità della sera.
Non latrare bisogni
ad ogni morso d’amore,
nel pianto antico
vive e cresce l’uomo;
in ogni tuo gesto
non offuscare la luce
e ad ogni pensiero
non adagiare la vita.
Non coltivare memorie
per guardare lontano
e non scavare cuori
per trovare acqua salata:
in ogni tuo sentire
vive e muore il sogno,
in ogni tuo morire
scorre la vita.

Soffro il maestrale
Soffro il maestrale.
Mi sento banderuola d’occhi
sul tetto di casa.
Affondo lo sguardo sul mondo
e mi ritrovo sospinto lontano.
Sono vento straniero
che affila vele e aquiloni.
Io non so dove posare
le farfalle del pianto,
sull’impeto dell’urlo straziato
sono un uomo indifeso.
Aggrappato a questo comignolo,
mi sento fumo d’amore, dimenticato.
Soffro il maestrale
e mi perdo nell’immobilità.

Ufficio del tempo
Giorni evasi come cambiali,
l’attesa sofferenza è la loro scadenza.
Si susseguono i calendari in numeri sovrapposti,
in pratiche d’annata l’ufficio è attivo,
si regolarizza la morte ma sono vivo.
All’angolo la polvere sedimenta memorie,
un soffio di vita alza fuliggine antica,
mostra il volto patinato in copertina,
ricade il pulviscolo di dolore e tutto è come prima.
E’immobile il tempo nella lancetta spezzata,
gli occhi navigano sul quadrante,
il ticchettio si fa sordo ammonimento,
il mio dossier è pratica inevasa.

Geometria dell’esistenza
La retta continua…
si tratteggia, si sfuma, si perde,
il geometrico viaggio è angolo acuto,
anche il punto punge, sintetizza, annulla.
Realtà euclidea d’umano pensiero:
in questo cerchio impossibile varco,
è irrisolto il pertugio all’esistenza.
Sono coscienza tetraedrica di superfici d’angoscia,
il mio volume di dolore è formula antica,
fede indimostrabile d’infinito.

Dolòr
Inquò el dolòr
no zòga a scondìe,
te lo senti ne la scùria
che s-ciòca sui muri,
nel vento crùo
che raspa el còlo,
nel vècio catàro
che rùmega su.
Un martèl bàte
e incioda parole inruzinìe,
na ràntega invelenàda
despaja la carèga,
le làgreme sbrissa dai òci
come bisàte nel paltàn
co le bestéme sassine
che scanpa da na boca
piéna de busìe.
El dolòr xe un bruto vècio
che spua fòje màrse
sui véri basài dal sol.

Dolore. Oggi il dolore / non gioca a nascondino, / lo senti nella frusta / che schiocca sui muri, / nel vento crudo / che raspa il collo, / nel vecchio catarro / che rumina su. / Un martello batte / e inchioda parole arrugginite, / un rantolo arrabbiato / spaglia la sedia / scivolano le lacrime dagli occhi / come anguille nel pantano / con le bestemmie assassine / che scappano da una bocca / piena di bugie. / Il dolore è un brutto vecchio / che sputa foglie marce / sui vetri baciati dal sole.

Coriandolo
Ti ho a lungo pensata
coriandolo di simpatia
quando lanciata al vento,
non senza ritrosia,
scendi al suolo leggera,
ed io estasiato ti guardo
mentre solo mi consolo
al tuo breve viaggio.
Sei particella cartacea
ritagliata dalla fantasia
d’un carnevale d’amore
incontrato per via
dove mascherato d’affanno
io t’inseguo ansimando
e ad ogni tua voluta
nei tuoi occhi mi danno.
Coriandolo di sogno
è il tuo sguardo fugace,
librato al cielo
ad ogni soffio su brace,
raccolto nel silenzio
d’una stanza d’oblio
lungo la stagione d’attesa
che è il soffio mio.
E la tua vita e la mia
per sempre sospese
in quel piccolo cerchio,
non senza pretese,
son estasi e tormento
di carta bagnata
dove per sempre t’ho persa
e non t’ho più trovata.

Brevità
Temporeggio,
l’attimo sonnecchia,
indugio, mi soffermo:
m’appago di brevità.
L’istante in me,
nasce e muore
in un battito di ciglia,
l’eternità mi cadenza,
ha passi di silenzio,
m’assomiglia.
In quel punto
che era e più non è,
ci son io:
brevità.

Gióssa
Go inciodà el mar
drénto na gióssa,
a lóngo la gò scoltada
se me disea qualcòssa:
parlèa del me ténpo
che xe na onda cèa,
de ani sbrissadi fòra
da na piena mastèa.
E ogni gióssa fòra
sustava la me sé,
un silensio sgiossava
e smojava i parché:
gera le lagreme dei òci
sbrissade par tèra,
el mar de l’insogni
missià co la canevéra.
Vardando sto mar
go visto na gióssa de çiel,
go catà chi son mi:
un ànema de putèl.

Goccia. Ho inchiodato il mare / dentro una goccia, / a lungo l’ho ascoltata / se mi diceva qualcosa: / parlava del mio tempo / che è una piccola onda, / di anni scivolati fuori / da una secchia colma. / E ogni goccia fuori / provocava la mia sete, /  un silenzio gocciolava / e inzuppava i perché: / erano le lacrime degli occhi / scivolate per terra, / il mare dei sogni / mescolato con la canna. / Guardando questo mare / ho visto una goccia di cielo, / ho trovato chi sono io: / un’anima di bambino.

Su questa ruga
Su questa ruga
ho vissuto il tempo:
non fuga o tormento
ma storia dell’essere
un’entrata e uscita
dell’esistere.
Su questa ruga
scopro l’umano e il divino,
il mio essere uomo
con l’anima di bambino.

Femminile impronta
Ti amo
per l’indipendenza da me,
per i tuoi occhi che emigrano
per poi cercarmi.
Ti amo
per i tuoi vestiti di silenzio
che spogliano parole,
per la tua intimità lunare
che si crogiola al sole
quando temporali d’inquietudine
si abbattono sul mio cuore.
Ti amo
per il gioco dei sensi
che dilegua baci e desideri,
per quel fiore di dolore
che adorna stanze quotidiane.
Ti amo
per quella parte di te
che mi appartiene
e mi fa impronta d’amore.

Furigàr vite
Furigàr vite
xe un desquèrzer morti,
far cantàr suite
su amori falòpi,
sogni cascàdi
nea mastèla dea lúna,
zórni sburatàdi
tornài nea cúna,
recordi ingrumàdi
nel cantòn del cuòr,
ani sbrissàdi
in giósse de sudòr.
Furigàr vite
xe un catàr la toa,
verità finie
ne l’ànema che zola.

Frugare vite. Frugare vite / è uno scoprire morti, / far cantare le civette / su amori falsi, / sogni caduti / nel secchio della luna, / giorni scossi / tornati nella culla, / ricordi ammassati / nell’angolo del cuore, / anni scivolati / in gocce di sudore./ Frugare vite / è un ritrovare la tua, / tante verità finite / nell’anima che vola.

Drénto i me òci
Drénto i me òci
un mar de canpi,
co mùtere de fén
ciamàde màri,
erba ingrumàda
metùa a secàr,
par dopo in stàla
le vàche far disnàr.
Drénto i me òci
i màri de foràjo,
xe mùtere de recordi
del me cuòr marinaro.

Dentro i miei occhi. Dentro i miei occhi / un mare di campi, / con cumuli di fieno / chiamati “mari”, / erba ammucchiata / messa a seccare, / per dopo nella stalla / le mucche far desinare. / Dentro i miei occhi / i “mari di foraggio” / sono cumuli di ricordi / del mio cuore marinaio.

Nichilismo
Metabolizzo il niente,
evacuo il nulla,
meteorismo d’assenze,
la morte in culla.
Stringo il vuoto,
scavo il tempo,
uomo irrisolto,
punto d’universo.

Ho un’amante
Ho un’amante
che mi perseguita,
ad ogni istante
mi sollecita,
dove vado
mi segue,
fra gli altri
s’intravvede.
A volte parla
o è silente,
si nasconde
ma è presente,
non mi lascia
mai un momento,
s’addormenta
con me accanto.
Questa amante
da una vita,
con costanza
a lei m’avvita,
una storia
mai finita,
un’esistenza
d’entrata e uscita.
Nel battezzarla
con insistenza,
il nome dato
è sofferenza.

Istà
Drénto el cortivo
inciòdo ònbre,
me vardo indrio
pissa le górne,
un tenporàl de giósse
batiza l’istà,
i me òci core
sul prà bagnà.
Na carèga de ani
mólze pensieri,
scarpíe de ragni
ingatia stropèri,
el punèr tase,
ciacola i lanpi,
sbatola le çigale,
giósse pì grandi,
l’aria s’inboressa,
el faldín xe muto,
canta la racoléta
l’istà in un sangiùto.

Estate. Dentro il cortile / inchiodo ombre, / mi guardo all’indietro / pisciano le gronde, / un temporale di gocce / battezza l’estate, / i miei occhi corrono / sul prato bagnato. / Una sedia d’anni / munge pensieri, / ragnatele di ragni / aggrovigliano salici, / il pollaio tace, / chiacchierano i lampi, / discorrono le cicale, gocce più grandi, / l’aria ride a squarciagola, / la falce è muta, canta la raganella / l’estate in un singhiozzo.

Io grappolo d’uomo
Io grappolo d’uomo
della vigna del tempo
negli anni che sono
la mia vita dentro,
colorata maturazione
sfidando la peronospora,
l’umana mia stagione
ai temporali esposta.
È giunta la vendemmia
nella lasciata vite,
deposto in una cesta
ad altre riunite,
pigiato in una tina,
reso liquido primordiale,
sono un’altra ribollita
di verità ancestrale.

Rapsodo del tempo
Rapsodo del tempo
nel connubio amore e morte,
soffermo il momento
avuto dalla sorte,
il tempo epico
della mia esistenza,
nel dubbio amletico
la presenza assenza,
la toccata e fuga
del vissuto evento,
l’orma d’una ruga
d’incessante tormento.
Rapsodo del tempo
il mio essere uomo,
canto l’immenso
nel sentirmi solo.