Diego Valeri è nato a Piove di Sacco (Padova) nel 1887. È morto a Roma nel 1976. Le sue raccolte di poesia sono: Le gaie tristezze (1913), Umana (1915 e 1921), Crisalide (1919 e 1921), Ariele (1924), Il Campanellino (1928), Poesie vecchie e nuove (1930 e 1952), Scherzo finale (1937), Tempo che muore (1942), Terzo tempo (1950), Metamorfosi dell’angelo (1956), Il flauto a due canne (1958), Poesie (1962), Verità di uno (1970), Calle del vento (1975). È autore di studi e saggi: Poeti francesi del nostro tempo (1924), Montaigne (1925), Scrittori francesi (1937), Saggi e note di letteratura francese moderna (1941), Littérature français (1949), Il simbolismo francese da Nervard a De Régnier (1954), Da Racine a Picasso. Nuovi studi francesi (1956), Tempo e poesia (1962). Come traduttore ha pubblicato, tra l’altro: Romanzi e racconti d’amore del Medio Evo francese, Antichi poeti provenzali, Goethe, Cinquanta poesie e Lirici tedeschi. Scritti in prosa: I colli Euganei (1932), Fantasie veneziane (1934 e1953), Guida sentimentale di Venezia (1942 e 1955),Città materna (1944),Taccuino svizzero (1946). Di teatro: Soregina (1958).

http://www.diegovaleri.it/

https://it.wikipedia.org/wiki/Diego_Valeri

 

 

POESIE

Nuvoladoro
Nuvoladoro, principessa lontana,
lo so che siete una forma bellissima a vana
del mio sogno: una chiara una dolce parola
d’illusione – e null’altro: null’altro; ben so…
Ma pure è per voi, per voi sola,
che il mio cuore smarrito si consola
e alla vita non dice no:
per voi, fiore d’isola perduta,
per voi, riso d’oasi sconosciuta,
amore che ignoro e tanto amo,
amore che disperatamente chiamo:
Nuvoladoro!

Aprile
Per sapere la gioia dell’aprile,
bisogna, amici, uscir per i sobborghi,
mirare il cielo, le vie dorate e gli orti,
e i colli che traspaiono laggiù.

Serenità divina! azzurro e azzurro! …
I carrettieri passano cantando;
si rincorrono i bimbi strepitando;
Stan sull’uscio le donne a comarò.

Una gallina ci attraversa il passo,
e becca ai nostri piedi un verme rosso;
gli anitroccoli biondi accanto al fosso
si spulciano con gaia alacrità…

Prime foglie tremanti su la rama
nuda, o lucenti sulla terra bruna!
Si vorrebbe baciarle ad una ad una,
piangendo di dolcezza e di bontà.

Ecco un pèsco fiorito, più soave
di soave fanciulla adolescente,
ecco un ciliegio più forte e splendente
dell’uomo arriso dalla gioventù.

Una distesa d’orti. In primo piano:
selvette d’insalata ricciolina,
viali d’aglio, qualche testolina
di fagiolo che spunta a far cucù;

dietro: tappeti di varia verdura
distesi in simmetria, tende pezzate,
molli trapunte scure fiocchettate
di verze gialle e cavolfiori blu;

nello sfondo: robinie che la guazza
ha ingioiellato di puri diamanti,
un filare di pioppi palpitanti…
e il cielo azzurro… la serenità!

Si va col passo dei conquistatori,
col cuore acceso nell’aperta mano.
Vogliam gettarlo, amici, al ciel lontano,
o al balcone che primo s’aprirà?

Paesaggi di Primavera
Torna nell’aria quel soave lume
di perla, tralucente
dal torbido velario delle brume.
E torna il pianto dolce
dei muri scalcinati,
degli alberi impietrati
dei vuoti occhi dei morti.
E quest’alito fresco di viole
che si sfila dal groppo umido amaro
dell’odore di terra. E le Cincette
posate in cima al ramo umido e chiaro.

Maggio
Maggio, eterno amor del mondo,
per guardarti, per goderti
si vorrebbe trattenerti
arrestando il giro tondo.
Lascia almeno che odoriamo
le tue rose inebrianti,
benedici tutti quanti
con quel tuo fiorito ramo!

Estate
Un fresco sussurrio d’acque correnti:
è il pero che stormisce sul mio capo,
tocco appena da un alito di vento.
Levo lo sguardo dalla bianca pagina
su cui da’ rami piovono fuggevoli
occhiatine di sole abbarbaglianti.
Intorno a me non è che un dondolio
lungo di steli dalla grossa testa
e uno svolio di vespe e di mosconi.

Null’altro vedo dal mio letto d’erba,
se non, in cima al colle. un filaretto
d’azzurri ulivi, dentro il cielo candido.
Ma sento, sento che un’immensa gioia
e un’infinita pace è in ogni cosa,
che in ogni fibra e in ogni infinitesimo
atomo vivo è penetrata e regna
la tua felicità, divina Estate …

Sentimenti dell’Autunno
Labile autunno: la foglia sospesa
al ramo nudo, mortalmente pallida;
la nuvola distesa,
bianca sopra l’azzurro; i fiori gialli…
Appena mosso, il vento è come voce
d’acqua che lenta vada alla perduta
sua foce.
Labile autunno: la foglia è caduta.

Sereno
Spiove; e dispare di là dal colle
l’ultima ombra del temporale.
Tutto immoto, dentro un’eguale
dolcezza, pallida e molle.
Ma tutto vivo con gioia nuova:
l’albero aperto all’immenso cielo,
il fiore drizzato sullo stelo,
l’erba ingemmata dalla piova,
e quel nuvoletto color di gaggia
che beve il sole calato tra i monti,
e questo parlio modulato di fonti
che invisibili scorrono via.
Non c’è più un alito di vento;
più non si vede ombra di morte.
Tutte le cose ferme ed assorte
nel prodigio d’un ricreamento.

Piccola mano
Momi, tu vuoi ch’io tenga la tua piccola mano
(oh calda e molle e dolce, come uccellino implume),
così, nella mia mano tutta raccolta e chiusa;
però ch’io son la forza onnipotente e buona
che funga il male tristo e le fosche paure,
e comanda alla vita, e regna sul destino.
E non sai, creature mia, che il tuo babbo grande
è un bambino anche lui: un piccolo bambino
smarrito fra i terrori della terra e del cielo;
un povero bambino che dentro sé si strugge
di non poter posare nella mano di Dio
la sua mano impotente e il suo fragile cuore.

Pazza città
Ma mi dite che cos’ha
questa sera la piccola città?
Si direbbe che il profumo
della glicine e del tiglio
le abbia messo lo scompiglio
nel cervello.
Nella piazza
è un tumulto di bambini
piccinini:
un concerto stonatello
di grilletti canterini
cui fa il basso la campana
del castello.
Ma mi dite, ma mi dite, che cos’ha
stasera questa pazza di città?
Ma mi dite perché mai
questa saggia bottegaia
sempre grave e intesa al sodo,
fa la matta a questo modo?
Certamente io mai non vidi
il mio truce salumaio
stare in ozio
come adesso,
su la soglia del negozio
e sorridere a se stesso
così gaio.
Certamente il calzolaio
non cantò mai come canta
questa sera,
delicato appassionato,
e mia sposa sarà la mia bandiera
Avvocato, buona sera!
Avvocato, come va?
L’avvocato non fa caso
non mi vede, né mi sente,
e mi passa sotto il naso
fischiettando allegramente,
e rotando a mulinello
la sua mazza.
Ma mi dite, ma mi dite, che cos’ha
stasera questa pazza di città?