Claudio Damiani è nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo, in Puglia, da dove la famiglia si è trasferita cinque anni più tardi a Roma, e vive a Rignano Flaminio, in provincia di Roma. Le sue raccolte di versi: Fraturno (Abete, 1987), La mia casa (Pegaso, 1994, prefazione di Emanuele Trevi, Premio Dario Bellezza), La miniera (Fazi, 1997, Premio Carnet-Il miglior libro dell’anno), Eroi (Fazi, 2000), Poesie (Fazi, 2010), Il fico sulla fortezza (Fazi, 2012), Ode al monte Soratte (Fuorilinea, 2015), Cieli celesti (Fazi, 2016). Suoi testi teatrali: Il rapimento di Proserpina (Festival di Villa Medici, 1986), Ninfale (Lepisma, 2013). Nel 1980, con B. Salvia, A. Colasanti e altri, ha fondato la rivista romana “Braci” (1980-84), e collaborato attivamente a “Prato Pagano”. Nel 1992, con F. Sargentini, ha curato un’antologia di artisti e poeti contemporanei: Almanacco di Primavera. Arte e poesia (L’Attico). Nel 1995, per l’editore Fazi, ha curato il volume: Orazio, Arte poetica, con interventi di autori contemporanei. Sue poesie sono apparse in varie antologie, tra cui Nuovi poeti italiani contemporanei (a cura di R. Galaverni, Guaraldi, 1996), Ci sono fiori che fioriscono al buio. Antologia della poesia italiana dagli anni Settanta a oggi (a cura di S. Caltabellota, F. Peloso e S. Petrocchi, Frassinelli, 1997), Contemporary Italian Poets (Modern Poetry in Translation, King’s College, 1999), e quaderni collettivi, tra cui Poesia contemporanea. Secondo quaderno italiano (Guerini e Associati, 1992, prefazione di F. Buffoni). Ha pubblicato il saggio La difficile facilità. Appunti per un laboratorio di poesia (Lantana, 2016).

cldamianicl@gmail.com

http://www.claudiodamiani.it/

https://it.wikipedia.org/wiki/Claudio_Damiani

TRANSLATIONS

POESIE

da LA MINIERA

ELEGIA
Gli ippopotami dolci che nell’acqua
erano tutti immersi (si vedeva
solo la punta della schiena) amore
te li ricordi? Oh come erano teneri
e dolci. E tu dicevi: “Dove sono?
Perché mai dici che son belli se
non si vedono?”. Oh, amore, erano
nell’acqua e forse non sapevi il nome
italiano quand’ io dissi: “Tesoro!
ci sono gli ippopotami che tornano
giustamente nell’acqua dopo avere,
con gli altri mammiferi dal mare
emancipati, visto il mondo”. E quando
uno dei due riemerse, il dolce tiepido
dell’acqua e i baci della sua compagna
lasciando, per respirare e per mordere
un po’ la mota all’argine (che schifo!
pensammo, e io dissi: “Deve proprio avere
la bocca sporca!”) e fece uno sbadiglio
spalancando d’un tratto tutta quanta
la bocca, oh come era candida e rosa
con gli zannoni! E tu come improvvisa
per lo stupore in un moto dolcissimo
subitaneo scattasti!, e quanti baci
t’avrei voluto dare, ma dovevo
andare avanti, ché le altre macchine
s’erano tutte accumulate dietro
e erano un branco minaccioso e stupido.
*****

ALBIO
Albio è il piccolo noce che è a sinistra
della strada salendo dalla casa
al cancello. Passando stamattina
l’ho guardato e ho veduto che aveva
fatto delle nocette, a coppie, già
grandine, verdi lucide, un po’ rade,
non tante ma bellissime e ho pensato
che l’anno scorso non le aveva ancora
fatte, e quest’anno era la prima volta
che le faceva, e anche guardavo
le foglie chiare perfette ovali
senza neanche una macchia, senza un punto
o un buco, niente, e anche i piccoli rami
alti fino giù al tronco snello nitido
bianco e la forma perfetta gentile
di tutto quanto l’alberetto dritto
nella luce, e pensavo: tutt’intorno
i meli il pero il susino i due poveri
cipressetti piegati dalla neve,
le rose, addirittura la gramigna!
sono malati, e tu sei così sano
invece e lucido e bello e pulito
Albio e stai in piedi nel tuo dolce angolo
nella luce; e pensavo ( e mi sembrava
che stesse come aspettando qualcuno
o qualcosa), pensavo: tutti hanno
qualche male, non c’è nessuno che
non abbia niente, e io avrei dovuto sì
curarli, dargli dei veleni, i rami
potargli e invece non ho fatto niente,
non ho potuto, non ho fatto niente,
e anche la casa e tutto questo presto
dovrò lasciare e i due cipressi piccoli
e Antenore che primo nel pometo
fiorisce e il fico e l’abetino morti
e le rose e l’erbaccia che ricresce
senza posa e il giardino del mio amore
tutto dovrò lasciare, tutto, e tu
Albio sei così bello, oh ma perché
perché sei così sano e bello Albio?
per chi? pensavo, per chi?… e il suo respiro
lieto e quieto sentivo quasi e un’ombra
che si curvava e nella luce un lume
già via cacciavo, già più non volevo
vederlo, e via per la strada tornavo
e non sapevo la tua gloria invece
non la sapevo, non sapevo niente,
e mi venivano, agli occhi, le lacrime.
*****

PRIMAVERA
nuvolo nido neve

rondine rivo ramo
Beppe Salvia, Primavera

E’ questo il tempo che il mio amore miete
i fiori onore del campo. E’ mattina
presto d’intorno e dorme la casina
con le persiane chiuse (io sono sveglio
sotto il susino – non c’è più la casa…
ma io mi ricordo – dorme il mio tesoro
ancora). Quando ad un tratto si sente
un rumore e di certo è il mio amore
che s’è svegliata. Ora è scesa e mi chiama
e sale lenta la stradina bella
al campo dei papaveri. Io la seguo
e giunti io colgo dal pruno selvatico
qualche bacca ancor viola. Il mio amore
è un lume d’oro acceso tra i papaveri
e gli altri fiori di mille colori,
e avanza. Quelli la mente distolgono
dalle faccende loro e al mio tesoro
sola indirizzano i capi e gli steli:
questi ai suoi piedi intorno si raccolgono,
quelli alle mani, questi si avvicinano
alla bocca e ai capelli, quelli toccano
le sue ginocchia, quegli altri la veste…
Ma tutti restano immobili pure
nel fuoco, restano quieti sereni
ai lati del mio amore fino al monte
in corona raccolti. C’è una luce
dentro e d’intorno infiniti colori,
e è una figura tranquilla serena.
*****

Stradina, il tuo pensiero è lucido, la tua bellezza è nuova,
la tua età è senza fine, esistevi
già prima d’essere concepita.
La tua grazia somiglia una fanciulla
che si rivolta e si tira su, con le mani, i capelli.
Tu scendi e sali e non ti riposi mai
ma ecco a volte, tutt’ad un tratto, ti addormenti:
le tue ciglia sono socchiuse, le tue labbra appena schiuse,
sui sassi bianchi riposi e è tutto immobile intorno,
gli uccellini abbassano la loro voce,
gli alberi stanno immobili muti;
tu respiri piano e dei sogni dorati
entrano lentamente nella tua mente
con moti pieni di una speranza nuova.
*****

“Sei bella – le dico – perché sei così bella?”
e vado avanti e la vorrei prendere
ma lei va su sempre più su a zig zag,
gira così veloce le sue curve e riappare
sempre ogni volta dietro la curva che sale.
“Fermati un momento, ti voglio baciare!”
ma lei va su con i suoi piedini bianchi,
con i suoi moti celesti e mi sfugge sempre.
Ed ecco poi, tutt’a un tratto, si ferma.
Mi guarda e dice: “Non sono una fanciulla,
perché vuoi prendermi, perché vuoi baciarmi?”.
Ed ecco io mi siedo; le sue parole mi vengono
e io leggo il libro della sua sapienza infinita;
i suoi pensieri sono baci sulla mia bocca e sul viso
e il suono delle sue parole è una musica che mi fa piangere.
*****

Veniva ai vetri un’alba luminosa,
m’ero svegliato, non so come,
ma come se ancora dormissi
o come se non ci fosse stato trapasso,
vedevo ai vetri l’alba, e mi pareva,
ora nella memoria a ripensarci,
vedendo la mia stanza di ragazzo
con il tavolo, i libri
e alla finestra le tendine bianche,
e mi pareva che come girasse
come sospesa, come se nel vento
senza fermarsi andasse…
Ma ancora vedo la stanza, c’è luce,
fuori stupisce il canto degli uccelli
e la rete di ferro delle rose
e l’orto di Marsilio, e in quale albero
gli uccellini? Nel bianco della luce
ora svegliàti, in quale albero sono?
In quale ramo saltano? Io la luce
vedo, io li sento, ma loro non vedo.
E va nel vento, s’allontana la stanza
nello spazio più azzurro e più profondo…
E tu uno a uno li vedi e li prendi
nelle tue mani luminose d’oro.
*****

Non dire che la mia casa è triste,
Non dire che la mia casa è sola.
Io l’ho lasciata, io non sono a lei più tornato
ed ecco lei è rimasta abbandonata.
Prima il tetto è caduto
poi anche i muri hanno incominciato a incrinarsi,
i mattoncini rossi del parapetto della scala
li hanno portati via,
hanno tolto le pietre ai gradini del patio.
Sono venuti i militari,
ne hanno fatto una piccola fortezza,
hanno messo del filo spinato, hanno sparato dei colpi,
tutto questo ha dovuto sopportare la mia casa.
Ma gli alberi intorno a lei sono cresciuti,
nel silenzio frusciavano le foglioline,
le ombre delle foglie accarezzavano i muri.
Ogni mattina l’alba, ogni sera il tramonto
sul patio la lonicèra profumava,
i fiori ancora fiorivano.
Il tetto lentamente cadeva, ma quante cose d’intorno,
quanta vita segreta che nessuno vedeva,
che nessuno sapeva,
facevano lieta la mia casa, riempivano la sua vita.
*****


Camminare sulla tua via,
o sei tu, sentiero, che cammini dentro di me,
o sei tu la creatura
e io un cammino, una via.
Perché tu, come sei intero,
come sei fatto bene, e formato
in tutte le tue parti.
E quando ti incontro, mi sembri vivo
ché ti fai incontro a me, felice,
o quando ti batte la pioggia, e stai immoto
come le mucche, senza cercare un riparo,
e già chiacchiera l’acqua
e diventi un ruscello.
*****

Caro piccolo anatroccolo
adesso è notte, tu ti sei addormentato,
ti sei messo non so se sull’acqua o a terra sulla riva
forse tra le canne nascosto, tra le foglie secche.
Hai chiuso gli occhi, piccolo tesoro,
hai visto la sera venire,
prima farsi rosea la luce poi diventare buio,
un refolo di vento s’è alzato, l’hai sentito?
ed ecco le cose erano diventate nere,
hai sentito tiepide le pietre della riva,
hai avuto paura di qualcosa, non so di cosa,
ma poi hai giocato con una foglia,
col becco volevi affondarla nell’acqua.
Le mani del mio amore erano lontane dalle tue piume,
non ha potuto vederti, non ha potuto baciarti,
ma un dolce sonno è sceso nei tuoi occhi
e ti sei addormentato,
non so se sull’acqua, o a terra sulla riva.
*****


Che bello che questo tempo
è come tutti gli altri tempi,
che io scrivo poesie
come sempre sono state scritte,
che questa gatta davanti a me si sta lavando
e scorre il suo tempo,
nonostante sia sola, quasi sempre sola nella casa,
pure fa tutte le cose e non dimentica niente
– ora si è sdraiata ad esempio e si guarda intorno –
e scorre il suo tempo.
Che bello che questo tempo, come ogni tempo, finirà,
che bello che non siamo eterni,
che non siamo diversi
da nessun altro che è vissuto e che è morto,
che è entrato nella morte calmo
come su un sentiero che prima sembrava difficile, erto
e poi, invece, era piano.
*****

Qual è il tuo nome?
Qual è il tuo nome.
Qual è il nome di quell’uccellino
che s’è posato ora sul marciapiede
e becca qualcosa dal terreno?
E adesso a scuola, mentre le ragazze scrivono
guardo sul registro i loro nomi
che non avevo ancora visto.
Ed ecco, per alcune mi sembrano strani,
come diversi da loro;
e penso tra me: ragazze, io vi avrei dato un altro nome,
ma non dico queste parole.
E guardo la loro libera gioia
come una cascata luminosa
che per il tempo si sparge,
come semi che si dividono
e tutti insieme poi si raccolgono.
*****

Mentre i ragazzi fanno il tema
e le loro teste sono chine sul foglio
la stanza della classe riposa quieta
e brilla come una luce intorno ai loro capi.
Io li guardo, e la loro forza mi punge
– una ragazza è venuta a chiedermi una cosa
e nei suoi occhi celesti sprofondo -,
alcune delle fanciulle sono meno belle
ma nei loro tratti rivedo la gloria
delle donne latine,
i modi augusti e i lineamenti noti,
– penso a giovani donne prenestine, antichissime,
ornate di monili, eleganti,
e a povere fanciulle, a contadine a pastore
dei secoli più bui -,
e anche i ragazzi, quanta gloria sui loro capi.
E in tutti, quanta attesa, quante speranze
– loro di tutti i miei allievi sono i più grandi, sono già grandi –
e penso: come non ho detto niente a loro!
come non ho fatto niente! – non avrei potuto? –
solo preoccupato di fare il professore,
nella fretta in cui sono sempre, e distratto,
come se non mi fossi mai accorto di loro.
E mi stupisco di essere stato capace
pure di galleggiare in questo abisso di luce,
di essere rimasto illeso, salvo, tra tanta forza di flutti,
tra tanto mare calmo come un cielo celeste.
*****


Ripenso adesso a come amai interamente
quand’ero ragazzo,
e a come ero sicuro che il mio amore era un angelo,
a come anch’io ero un angelo,

a come eravamo uguali
(ma lei era più uguale di me).
E adesso non dico: tutto questo è falso
perché la vita è diversa, la vita mi ha cambiato;
adesso invece dico: era tutto vero.
Nasciamo angeli e interamente amiamo,
con tutto il cuore del nostro amore ci innamoriamo
come dei bambini che non conoscono il mondo
e interamente moriamo.
*****


Chi passeggia sopra di me?
L’erba mi cresce accanto,
gli uccelli sui rami cantano,
la loro voce mi calma.
Ma tu perché non ci sei?
Perché ci sono tutti
e manchi solo tu?
E come farò a superare la tua mancanza,
come farò a continuare
ascoltando il suono degli uccelli
come un carillon
o l’erba crescere
come un tic-tac?
*****

SUL MONTE BELLO
Qui su questa rupe dove sono giunto
non viene mai nessuno.
C’è un castello diruto
dal quale si domina su uno spazio ampissimo.
I sentieri erano chiusi.
E’ strano che non salga nessuno.
Le spiagge sotto sono piene di gente,
le strade sono percorse da infinite macchine,
tutta l’isola brulica di gente,
ma qui, in questo posto splendido
non viene nessuno, e io sono solo,
sulla torre più alta mi distendo, e prendo il sole.
Per quanto la massa possa crescere
ci sarà sempre spazio per la solitudine,
per l’uomo che abbraccia da un solo punto le cose,
e capisce che solo la gentilezza c’è data
e che la vita vale viverla
per essere gentili,
rovesciando perfettamente come un guanto
l’egoismo in cui siamo nati.
Ho quasi le vertigini, disteso
sopra la torre più alta a strapiombo
sul mare azzurro.
Le pietre bianche mi fanno compagnia,
tutte rotte a pezzetti, come se un sommovimento
della terra avesse scosso il castello
e avesse sparso le pietre.
C’è un muro con finestre ad arco ed edera
giovinetta che sale virente
come fosse stata messa ad arte.
Ho la sensazione che tutto sia distrutto
e tutto sia intero, perfetto.

Poesie inedite
Quando mi rividero gli alberi piansero.
Non dovete piangere, dissi loro,
possiamo essere indifferenti, continuare a esistere
senza pensare a niente,
posso essere accanto a voi, e guardarvi esistere
senza pensare a quello che è morto.
Posso stare fermo, sotto le vostre fronde
completamente immobile.
Posso guardarvi nella vostra bellezza di visi quieti,
come quando guardo Domitilla, quando la prendo in braccio
e sento la sua guancia tenera accanto alla mia,
sento la sua bellezza intera adiacente a me
di bambina già grande, di ragazza,
di donna anziana, di anima perfettamente intera
che non muore più.
*****

Quando oggi ho accompagnato Giovanni
alla scuola materna, lui voleva farmi vedere
i giocattoli, voleva dirmi delle cose
che c’erano nella classe, e io vedevo,
mentre li guardavamo, come erano poveri i giocattoli
e come erano sporchi anche,
e poi lui voleva che io lo prendessi in braccio
e guardammo i pesci che avevano appiccicato
sopra dei fogli (e vidi che i pesci
erano delle foglie molto belle di una pianta strana
di cui non so il nome, e sembravano proprio veri)
e guardavo il foglio di Giovanni molto semplice e spoglio
e mi piaceva molto, con solo due pesci
che scendevano giù verso il basso del foglio,
e chiesi a lui quale era il suo, e lui mi indicava
sempre il disegno di qualcun altro.
Io dovevo andare al lavoro, così lo deposi
e lui s’avvicinò a un tavolino dove la maestra tirava fuori
dei puzzle, e lui disse subito: “Io voglio questo!”
(con una prontezza che io non avevo mai avuto).
La maestra glielo diede e lui cominciò a sparpagliarlo
poi tutto solo cominciò a mettere i pezzi,
e stava chino con la testa, e non mi guardava ora,
e io potevo andare, ma mi veniva da piangere
perché pensavo che o lui non sentiva quello che io sentivo,
o se lo sentiva lo nascondeva,
e, sapendo che io dovevo andare via, non alzava il capo
verso di me (che l’avevo chiamato alla vita
e l’avevo messo di fronte a questo strano gioco)
ma rimaneva solo
con il capo leggermente inclinato
intento nel suo gioco.
*****

Giovanni, tu giustamente dici
meglio stare qui che nel cielo
quando saremo morti
perché qui sei con i tuoi cari,
sai dove sei, anche se non sempre sei contento,
qualche volta sei triste, qualche volta arrabbiato,
invece in cielo non sai con chi sei,
non si capisce bene come e dove si starebbe
e ti fa un po’ paura di stare così in alto,
e non si capisce dove si poggerebbero i piedi.
E anche io penso: Giovanni, in cielo, ti rivedrò
o non ti rivedrò?
Ma certo, certamente ci rivedremo,
io ti aspetterò e tu verrai,
e poi staremo lì, anche se non si sa bene in che modo,
anche se non si sa bene, non importa.
*****

– Ma quando crescerò, tu diventerai piccolo?
– No, diventerò vecchio…
– E poi andrai in cielo?
– Sì, e tu diventerai vecchio.
– No, io non diventerò vecchio.
Ma è vero che dal cielo si può riscendere?
– Beh…forse…Ma non serve, perché in cielo si sta bene…e quando io sarò in cielo, ti aspetterò. Poi verrai anche tu e staremo insieme in cielo. Sei contento?
– … Ma perché non possiamo stare qui?
– Beh…
– Ma che, diamo fastidio a qualcuno?
*****

Ecco che ci trasporta il tempo
come il Licenza ingrossato quell’inverno
travolse il poggetto con l’ampio salice
e la bella conca d’acque tranquille verdi,
lui che era così mite.
Così ci trasporta il tempo
dividendoci a pezzetti
come tronchi separati a grande distanza nei flutti,
ma poi non uno se ne perde.
Così smembrati galleggiamo nella corrente
e ci lasciamo trascinare
perché altro non si può fare.
Guardiamo le rive scorrere,
le canne che resistono,
i fiori ricoperti d’acqua ma ancora intatti, ancor vivi,
come insetti nell’ambra.
*****

Sono steso sul letto
e tu mi accarezzi,
tu mi lavi come un eroe morto
e mi cospargi d’olio.
Piangi sopra di me,
nei tuoi occhi non sai tenere le lacrime,
escono le lacrime dalle tue ciglia
e un singhiozzo ti scuote il petto.
perché piangi? Non piangere,
io non sono morto.
Sto camminando su una stradina bianca
contornata di alberetti giovani,
sento le foglie che sfiorano le mie tempie,
sento la brezza che mi accarezza