Cesare Ruffato è nato nel 1924 a Padova, dove è scomparso nel 2018. Le sue raccolte di poesia: Tempo senza nome (Rebellato, 1962), La nave per Atene (Scheiwiller, 1962), Il Vanitoso pianeta (Salvatore Sciascia,1965), Cuorema (Rebellato, 1969), Caro ibrido amore (Lacaita, 1974), Minusgrafie (Feltrinelli,1978), Poesia trasfigura (Campanotto, 1982), Proposizione Ellittica (L’Arzanà, 1982), Parola bambola (Marsilio, 1983), Trasparenze luminose (Società di Poesia, 1987), Padova diletta (Panda Edizioni, 1988), Floema della pietra (Panda Edizioni, 1988), Prima durante dopo (Marsilio, 1989), Parola parola (Biblioteca Cominiana, 1990), El sabo (Biblioteca Cominiana, 1991), I bocete (Campanotto, 1992), diavoleria (Longo, 1993), Lo sguardo sul testo (Campanotto, 1995), Etica declive (Manni, 1996), Scribendi licentia (Marsilio, 1998), Saccade (Libroitaliano, 1999), Il poeta pallido (Marsilio, 2005), Salterio Bianco (Mimesis, 2006).

https://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Ruffato

 

POESIE

da TEMPO SENZANOME

Vedo le luci dell’altra riva
avvicinarsi lente sulle acque
e sento il loro tremare nel mio sangue.
Questa notte è solo parole
che varcano sponde.
Le membra sono ulivi
la bocca è una valle le mani un vento.
II mondo non sa il mio segreto
ma tu conosci i miei approdi.
Il tuo volto esce dall’acqua
soave come un’onda.
Preghiamo il tempo
che ci porti lontano.

Un tempo senza nome
Sciogliere nel sangue
questa roccia tanto amica.
Ora che sono vicino alle nubi
e il cielo mi annega
so di capire il tempo
che mi sta intorno senza nome
puro come la voce d’iddio.
Mi segui nel mare di vento
che intristisce la pelle
e crei la mia opera.
Restare così fissi
ascoltando le mani
che cercano il vuoto la pietra.

da LA NAVE PER ATENE

Contrazione rapida (Delfi)
Dentro la pigra mitosi
dell’inverno abbiamo attinto
il grido schiumoso del fuoco
gli aromi, il sibilo di lunghi
viaggi. Dalle cime un caldo
solcava smerigliava
le rovine prestigiose
il cilindro della nostra estate,
qualche suono-cinabro ai cipressi.
A soqquadro quelle pietre
ci parvero esate,
parole sulla soglia,
astrusi trofei scherniti
dagli aghi di pino.
Fummo tempuscolo di fuoco,
contrazione rapida, aquila
accorta sinapsi.
*
Sulla losanga del gabbiano
nei cristalli glissa, s’affila
dei frutici fatua
supinazione lacunare
diaframma-mare.
Negli archi il mio dorso
nudo, giungla d’arenaria,
gomiti seni liquidosi, foglia
d’un volto di barca, cruna
drepano-luna.

da VANITOSO PIANETA

Le valli planano rondini
plancton sulle strisce di fieno,
varicosità nelle dita, curve
stridenti nell’asma della sera.
Il fiume-luna gremisce nella città,
il diapason dei grilli distilla
storia anonima oltre serre
di fumo, muove i gatti ai camini,
il dorso dei prati
ai nodi d’amore.
Nel pulviscolo afoso perisce
l’incognita, ogni acerba costante.

*
Nelle frange l’estate ha colori
aridi, strappati alle rondini.
In questo giorno
purezza d’un segno, tu porti
la croce dell’airone in altro
strato, più vero, chiaro
arteria della pietra.

da CUOREMA

In testamento consegnare il cuore
a un dabbene metamorto non compos sui
così nel fragile esistenziale
non c’è più stile ma metavivere
in attesa di farsi dono o di riceverlo
e veramente un nostro frammento
potrà legarsi monile
tessera della banca degli organi
elevazione dell’indice sopravvivenza
i miei vasi si venderanno all’asta
non mi preoccupa il prezzo
ma le mani del venditore
e le case degli acquirenti
Un po’ di noi si continua morendo
io in te o tu in me sarebbe tenerezza
perseguire astutamente fine bellezza.

da PAROLA BAMBOLA

La sera sull’altro versante dell’avventura
proprio trascurabile nei vezzi
mistici della lontananza.
Nell’insieme cappuccetto vermiglia
il bosco di doni eumei.
Rade e men. Tedio assurdo
reca rivoli pigmei e satiri.
Un po’ di pioggia morbida marmi mani
lagrime marie
scendendo sul nero sulle pieghe del vento
cambiano e cumulano seduzione.
Colori superflui talora
sui minori idilli di precisione.
Notte di felicità che non muti paese.

*
Stormire dormire il tesoro a un palmo
e tagliato il cielo.
La corsa
si disperde sale sul pelo
di piccoli diletti e cicale.
Il loro palpare minuto e amici di strada
nel principio ecologico da salvare.
È da ripetere il miracolo
dell’acqua plena.
Nelle ragnatele scalmanate quasi uguali
di poco conto
sino al gusto della trama.
Tardano a trovare la luce e riperdono le ninfe
del mattino o il dono. Narrandosi ancora…

da TRASPARENZE LUMINOSE

Diversamente l’infanzia nei boschi
riflette valori più seri
nelle rime del sogno e delle interrogazioni.
I segnali esplorano le sequenze di entrata.
Si scopre con umiltà la curva degli specchi
che rimanda con molta cura le apparenze
indesiderabili e la solitudine vertiginosa

*
All’inizio smarrimenti omerici e splendidi
nomadi tagliano la tela, invisibili
e più veloci della luce, esclusi
dalla foto di gruppo.
Rifondano stime particolari.
Il binocolo aggiusta i materiali fedeli

*
Il futuro li penetra nella paura del vuoto.
La metafora del mondo interpella gli alberi

*
Afferrano i profili con disagio
fra ostacoli e domande. Le istanze
del possibile si ostinano in legami
strani. Utopia il ritorno dallo sfondo.
Si dispongono all’umore impeccabile
come ideografie per un libro d’amore.
Pare sia sempre
il centro a mollare per primo

*
Una sintesi pianissima.
In tante piccole esche
una forma superflua di contatto.
Indossano proprio bene il fantasma.
La pagina aderisce alla vita.

*
Il mattino sbilenca le solite illusioni.
Puntano dove non sono che testo
o festa o evenienza. Si squadernano
nella direzione verbotortile che lascia
udire il precipizio l’intervallo.
Palco poetico senza corone.
Disperdono vasi di creme ed edemi
in un viaggio nell’anima linguistica

da PADOVA DILETTA

La pagina ancora una volta sta stretta
non regge l’orbita la costruzione
la riga strabica è lontana
nuoto a rana bradicardico
fra polvere emozioni e scadenze

Uccelli e le luci
Sei quasi spettro carenato con ossa
pneumiche tra poco ce la fai a decollare
Icaro fasullo prodotto dell’ingegno
e di colpo il vuoto mi perfora
non ho adipe da perdere 1’ombra lunga
della scabra identità mi intimizza
cogli intellettuali volanti
nell’estro surreale del nuovo regno.

da PRIMA DURANTE DOPO

Preludio alla vita
Non sai assegnare nomi alle cose
e bleffi la tua origine veloce
con la smorfia del mandorlo in fiore

la ragione è chiara: le collisioni blu
spampanano lo sforzo
di cogliere le voci della luce
e i riflessi delle ombre.
Forse ti attieni al fenomeno
che rincorre i profili del pensiero

quindi il respiro inventato dal principio
tensioattivo, talora strazio
nella culla termostatica.
E le ombre che non entrano negli occhi
ma furtive rappezzano divaricano
le gambe strofinano le posture

di Francesca
Era un giorno di vento
le foglie cadevano sincere.
Era buio ma c’era il sole
o forse no, non ricordo.
Poi sono morta
col sorriso sulle labbra,
E ora cosa m’importa che il cielo
mi copra, che la terra mi soffochi?
Io sono morta. Niente conta più.
Dopo aver scoperto che chi era Dio
è un uomo che vive, pensa, soffre
sogna, dopo che ho bevuto le sue parole,
le sue lagrime si sono fuse colle mie.
Ora sono morta morta. È bello morire
sorridendo. E anche se non vivrò più
che importanza può avere ora che so?

da SCIARADA MALINCONICA

Guarda quegli alberi neri di tramonto, come incrinano il cielo curvo e come stillano colore – senza fiato assorbivo 1’ora i muri spugnosi della strada deserta il viola e l’arancio riflessi tra le mani, e mi sentivo solo. Col mio nome, col mio essere binario, la mia paura di reagire. Quella volta – e tante altre – avevo sorriso ma avrei pianto volentieri…

da PAROLA PÌROLA

Parola Droga
Parola pìrola pàrola nel scuro
doping scorpion sbate sul muro
specioso colabrodo la sfibra
sangue servelo figà langue
in bivachi imbriagoni infumega
magna fora tuto ingrassa giro
losco smorsa l’istinto de vita
vis-ciosa calamita stracopa 1’anema
brusca al fiele la boca.
De la socia ben altro torente
xe stà dito scrito contrito.

Parola pìrola pàrola al buio/fa doping scorpione sbatte sul muro/specioso colabrodo lei sfibra/sangue. cervello fegato, langue/in bivacchi etilisti affumica/sperpera alimenta giro/losco, spegne l’istinto di vita/vischiosa calamita distrugge l’anima/pota al fiele la bocca./Della ribalda ben altro torrente/è stato detto scritto

da EL SABO

El sabo discoteca psichedelica
Luna afrodisiaca in covo
oci paonassi, peoci ratrapíi
mulin de fandonie, lambada alcolisà
tabacae de velen
crack e ecstasy che i cani no snasa
spicioli micidiali
albo de bolidi fracassai
clinamen de fantasmi al metadone
ore picole sonambule
de psicomedesine. No serve gnanca
a consolare i bruschi el mistero
del rito nel proprio specio scuro
viliaco. Epure a corpo morto
se insiste nel delirio prometeico
forse a robare el vero
che se sa ‘na falsità del pato
socíale che tien su la vita,
forse la sfida finale
de l’anema soto un cielo
che bisogno ga de purga.

Il sabato discoteca psichedelica/luna afrodisiaca nel covo/occhi paonazzi, pidocchi contratti/mulino di fandonie, lambada etilista/tabaccate di veleni/crack ed ecstasy che i cani non annusano/spiccioli micidiali/album di bolidi fracassati/clinamen di fantasmi al metadone/ore piccole sonnambule/di psicofarmaci. Nemmeno serve/a consolare i foruncoli il mistero/del rito nel proprio specchio oscuro/vigliacco. Eppure a corpo morto/si insiste nel delirio prometeico/forse a rubare la verità/che si sa un falso del patto/sociale che sostiene la vita,/forse per la sfida finale/dell’anima sotto un ciclo/che abbisogna d’essere purgato

da I BOCETE

Na frana da diluvio
un buso nero tra cei europei
e quei del mondo poareto
co quarantamila morti al dì,
prima del domila sentosinquanta
milioni ris-ciarà la fine per fame
da sterminio evitabile co pochi schei.
Più de meso milion a l`ano
orbo, più de diese milioni
miniprofughi e un milion xe orfani
nati da mare col virus de l’Aids.
La strage famosa dei inosenti
se scancela al cospeto de ‘sta qua
genìa ruinosa de erodi
in grana bravae e petrolio.
I spetri killerini che desso
discola strepito mitra cortci
co grinta mafiosa vien fora
da ‘ste pignate turbie
che infanga impapina sassina l’aura
de l’infansia che no capirà mai.

Una frana da diluvio/un buco nero tra hamhini europci/e quelli del mondo povero/con quarantamila morti al giorno,/prima del duemila centocinquanta/milioni rischieranno la fine per fame/da sterminio evitabile con pochi soldi./Oltre mezzo milione all’anno/cieco, più di dieci milioni/miniprofughi e un milionc sono orfani/nati da madri col virus dell’AIDS/I.a famosa strage degli innocenti/sparisce di fronte a questa/masnada rovinosa di erodi/con soldi bravatc c petrolio./Gli spettri killerini che ora/fanno discoli rumore mitra coltelli/con grinta mafiosa escono/da queste pentole torbide/che infangano rendono esterrefatta assassínano l’aura/dell’infanzia che non comprenderà mai.

da DIABOLERIA

El dialeto
Lo scometo neta biologia
dei bocete e de la vita calante
alcova rinverdia de scritura
de l’età maura. Nel sesto decenio
el me xe spanìo da vero sincero
smissià coi libri de le docense
foto zale scartofie de pension
gnancora definia po sinque ani,
coi spasmi del precordio e pression
el me nitzanana anca nel troto
roto senile eI me liga aI conereto
cavandome i selegati sensa sigarme
par sgorbi de acenti e ortografia
nel voIerlo maridare co la lengua
matricolada. EI m’intiva sempre
versendome l’eden e I’Eva fruà
de la langue. Me smissio inretoricà
sensa idee ciare e co passiensa
voria riscrivare tuto ma me lasso
parlare segnare da bon ad libitum.

Lo scommetto netta biologia/dell’infanzia e della vita calante/alcova rinverdita di scrittura/dell’età matura. Nel sesto decennio/è in. me sbocciato proprio sincero/mescolato coi libri delle docenze/foto gialle scartoffie della pensione/non ancora definita dopo cinque anni,/cogli spasmi del precordio e della pressione/mi fa la ninna nanna anche nel trotto/rotto senile mi lega al concreto/strappandomi i segreti senza sgridarmi/per errori di accenti e d’ortografia/nel volerlo maritare con la lingua egemone. Sempre mi indovina/aprendomi il paradiso e la Eva consunta/della langue. Mi mescolo retoricizzato/senza idee chiare e con pazienza/vorrei tutto riscrivere ma mi lascio/ parlare segnare per bene ad libitum.

Spasemanti
Da quando el volante m’insende
incapo neí posti batui dai pedoni
qualche sparuta farfala incredula
me rasenta e slissega la mente
de ‘ste moche no se sa più gnente
qualche muceto de parole ciare
pesae forse ciamae lemmi e rare
me dà el naturale ma no le toco
gnanca le scrivo, finta de no saverse,
no le me magna e in busìa veniale
el naso se slonga e m’impinocio.

Da quando il volante mi nausea/mi ritrovo nei luoghi percorsi dai pedoni/qualche farfalla sparuta incredula/mi sfiora e scivola il pensiero/non si sa più niente di queste moine/qualche grumetto di parole chiare/ponderate chiamate lemmi e rare/mi dona il naturale ma non le tocco/nemmeno le scrivo, si fa lo gnorri/non mi divorano e in bugia veniale/il naso si allunga e divento Pinocchio.

da ETICA DECLIVE

L’intorno del sogno
Un cavedio ecologico di sogno
la luna si specchia nell’argento
di parole. Paranoica tensione
stizza la luce della ragione
il volo amico in Sicilia annusa
la cicoria della mafia.

Nella voce visiva qualcosa
tra loro fa lo gnorri e non c’è posto
per le lagrime filaccie. L’impazienza
subbuglia un cuore cionco di confronti.
Il delay esegetico forzerà
le porte della mente.

La flora incalcolabile sulla cima
del colle esplode foto ghiottona
scatta il sole smagliante sul fiume
verbigerano umori di poesia.

La voce subdolamente porta via
spaziotempo, vento che irretisce
dall’aereo energia di luci e domande
arrotolate. Una supercorda regge
concetti eleganti culmini del cuore
ghiotterie gnaomosce di pronuncia.

Valori di quiete diffondono
nelle mani quando Pilato è lontano.
L’editore raccomanda di bozzare
le tabelle ormai per il prossimo mese
se l’atmosfera è cordiale. Un libro
piomba in visione sul cranio
la traduzione potrebbe anche andare
tra inspiri profondi e furti di sonno.

da SACCADE

II fiume patisce i panorami adattabili
la probabile fine vicina nel cemento
serpeggia icastico magra stringa
invidia le nuvole. Pedoni del verde
e dell’azzurro intitoliamo
sassi strani e ciò che scrive
la loro sosta. Sul greto neoAlice
col piede cortese li muovi in meraviglia
vesti schive ti segnano emozioni.
Mi richiami il muco di lumache
nella brezza pesante trafficata
che si affanna a levarsi a raffinare.

*
L’occhio attempandosi strabuzza
con ironia nervosa. Controllo l’occhiale
e il ticket prima che si elevi
a quote sovrane. Scorgo sfumati
la chimica della mente a tentoni
l’alone del caos alle spalle
i provinciali tronfi pellegrini
tra pizze e cestini, la citrulla
muffa politica. Mi restano intimi
le rondini disperse la miope primavera
qualsiasi finta e sintomo muto
in vecchi libri da restaurare.

*
Il glicine arboreo con viavai
di formiche se ne va nel restauro
permissivo dell’ambiente. I fiori
belli discosti agli dei troppo cari
girano intorno inverosimili
colori e un altro giorno.
Alle ceneri di stelle luttuose dedico epilobio d’oblìo
e il mio resto nelle nebbie
smogate della pianura devastata
che il mio passo ancora un po’ sdipana.

Al centro volante e cloche cerebrali
ricerca disperata di comfort
d’una idea di partenza continua.
Nel cruscotto sonycassette psico
l’antifurto il bottone per l’aria
luminosità e spazio degli interni acuiti.
Bollo ed assicurazione a rischio
uno spray alle ascelle, un mascara
rompicollo, il corpo foudatz che sa ove
si può arrivare pure nel sonno.
Un baby nel cuore del rnotore
un colmo portacicche megafiltro
carte bancarie più ville e casette
in condono protetti dal solido
corrotto per trucchi e spese di gestione.
Omnia animalia tristia per questi
italiani perfetti al hop in Europa.