Antonio Donadio è nato a Cava de’ Tirreni nel 1949 e vive a Bergamo. Studi classici e laurea in Filosofia presso l’Università di Napoli. Tra le sue pubblicazioni in versi: Segni (con illustrazioni di V. Avagliano, Il Cortile, 1987); Indicibilmente Vita (con litografia di A. Vitale, Il Cortile, 1991); Per le terre di Grecia (prefazione di V. Guarracino, Book, 1993); L’alba nella stanza (con una nota di M. Luzi, Book, 1996, Premio Circe Sabaudia, Premio San Domenichino); Un’amore con l’apostrofo (Book, 2008, Premio Mediterraneo), Il senso vero della neve” (Morcelliana, 2019). In antologia: Donadio, al-Haudary, D’Angelo, al Wasity Poeti sotto il cielo di Napoli (a cura di J. Capriglione, Università di Napoli, 1994); L’altro (pres. D. Maraini, Centro Alberto Moravia, 1996); La traccia e il verso (a cura di A. Cappi, Tracce, 1998); Il verso all’infinito – L’idillio leopardiano e i poeti alla fine del millennio (a cura di V. Guarracino, Marsilio, 1999); Il pensiero poetante (Genesi, 2001); In laude Larii laci-poemetto di Roberto Sanesi e 20 poesie a lui dedicate (Lietocollelibri, 2002); Poeti e poesie nei giardini dell’anima (Zanetto, 2004); “L’amore dalla A alla Z” – I poeti contemporanei e il sentimento amoroso (2014). Tra i suoi lavori critici e curatele: Poesia/Poesia, Schede critiche su alcuni dei maggiori poeti italiani del Novecento (1990/91); Omaggio a Salvatore Quasimodo (1991); Su Torquato Tasso (1994); Il ferreo corsier – La bicicletta in alcuni poeti italiani (1997); Versi d’amore, 100 poesie d’amore di poeti italiani del ‘900 (2002); La vita al quadrato Saggio sulla poetica di Mario Luzi (2014); Calcio d’autore. Da Umberto Saba a Gianni Brera: il football degli scrittori (2016); Turoldo – Capovilla Nel solco di papa Giovanni. Lettere inedite (con Marco Roncalli, 2017). Tra le sue traduzioni Poeti latini tradotti da scrittori italiani contemporanei (1993); La traduzione come invenzione letteraria (1994); Legenda Maior, Vita di San Francesco di San Bonaventura (2006); Poeti cristiani latini dei primi secoli (2017); Tagore Come uccelli in volo (2012).

anto.donadio@gmail.com

POESIE

da PER LE TERRE DI GRECIA

“Correrò
le terre di Grecia nudo”

Niente dirò della Grecia. Tutto è noto da tempo.
Dirò solo del mio andare senza mente di scienza
né di gesta ed epopee immortali.
Dirò della Grecia, Terra di poesia. Terra di amore
e di bellezza. Da sempre.
Umile e spoglio ricercherò il

“respiro
sotto passi di polvere secca”

*
Mi hanno detto che andrò
per le terre di Grecia
siederò coperto di mirti
e ombre di lauro tra le sacre
are. Udrò mi hanno detto il respiro
che smuove dal mare le fronde
pudiche vestali dal canto
sottile sinuoso
per vesti riottose.

Correrò
le terre di Grecia nudo.

Senza sandali d’oro pellegrino
muto di versi
ascolterò l’eterno canto
sconfitto da barbari accenti
vittoriosi. Gemerà il respiro
sotto passi di polvere secca.
Veglierò la luna che sorge ad oriente
come regalo ultimo d’ore.

Nessuno mi vedrà percorrere
le terre di Grecia
già mille e più mille volte percorse.

***
Scoprirò Talia sorridente
inseguita da Satiri
invitarmi al canto.
Tacerò impaurito in questa notte delfica.
Una luna eterna di secoli
riscoperta e nuova
illumina la valle del parnaso.
non oracoli cerco né vaticini
nascosti.

Alla mia follia saltellante
sorridono le ombre intorno
nello strano gioco notturno.

Danzerò
fino all’alba ai tuoi piedi
o Talia. Ti vestirò di suoni
e colori munifici.
Né il sonno di Leonida
né il suo dolore
sanno smuovere la polvere
né i pensieri né il canto.
Cantami
metti ambrosia sulle tue labbra
e vedrò le Muse
presso la sacra fonte invisibili
al pellegrino di passi
invitarmi tra i boschi d’ulivo
e tessere una lunga veste.

Verrò
domani al sacro tempio, o Apollo.
Negli occhi
leggerai il mio canto. All’alba
mentre tutti dormono ancora.

da L’ALBA NELLA STANZA

Prologo
Chi mai a lei, alla più piccola avrebbe detto
del suo nascere lento e fermo
in una notte di luna immobile e solitaria?
Chi mai fanciulla l’avrebbe presa per mano
E condotta per campi ed orti di sassi?
“mai lo saprà come fu per noi”.

*
Mi troverai al tuo fianco
quando crederai d’esser giunto, me
come clandestino a bordo,
inutilmente tenterai
di sciogliere queste mie catene, deciso
m’indicherai la via del ritorno
dicendomi che non potrei restare
“in nessun modo, amico”
in un viaggio appena cominciato.

Muto
come sa solo chi ama
senza chiedere amore,
ti lascerò andare
guardandoti scomparire in fretta in fretta
nel tuo abito dei giorni di festa.

Saremo allora troppo grandi entrambi
ma troppo tardi,
e sarai tu, clandestino
al mio fianco, a chiedere
di questo luogo che non sai
di questa gente che tace sguardi
nascosti. Indifeso smetterai
senza rimpianti
questo lungo abito dei giorni di festa
che ti fu regalato soltanto per gioco.

***

Stazione N. 5 – L’amore –
“Ci troveranno, vedrai” e gli occhi smarrivano

paure e bugie di inventati sorrisi.

“ Avrò un amore anch’io?” “ certo l’avrai”
“avrò dei figli anch’io” “ certo li avrai”:
ribolliva l’acqua serena in attesa
come fu sempre nelle notti di luna.

Pazienti come capre solitarie
in attesa allo steccato chiuso.

*
Sarei venuto con te in questo pomeriggio
d’aprile fattosi ardito
nei lampi sognanti di notti ormai spente
che sottili s’infittiscono sotto la pelle
tornata fresca primaverile
” mi vuoi?” e ti avrei raccontato delle lunghe ore
passate alla finestra a guardare
attraverso la cortina di foglie sempre versi:
non c’eri tu ancora ad aspettarmi
lungo il sentiero della chiesa vecchia
ormai odoroso di fumi
non c’eri e né sarai più nuda
scalza a rincorrere timide onde
schernitesi al tuo abbraccio fanciullo.
Sarei andato con te nel sole fresco
fino a sera sera fresca come d’aprile
mi avresti riempito gli occhi e le mani
di carezze e lunghi baci silenziosi.
Ti avrei parlato preferendo tacere.

Sarei tornato dal lungo andare ormai già a sera
stanco deriso da membra
non più solenni come fanciulli smaniosi
di corse senza fiato né sguardi per via.

Ho dimenticato non ricordo né posso ancora
la canzone che cantasti per via fino a sera
parlava di un amore lontano rincorso:
ho sorriso ai tuoi bianchi denti.
Sfioriranno fra labbra di baci e note
senza armonia d’accenti separati
nella danza non più devotamente ascoltata.
Ho dimenticato davvero la tua canzone:
”separa queste carte dal tuo rosario di fogli
disperdili giù per gli scaffali di polvere
separa le vocali dolci dalle aspre
gli accenti forti e teneri”.

Sarei venuto oggi lungo il mare
senza chinarmi a raccogliere sassi
nella mano stretta ormai dimenticati.
Non avrei ascoltato né onde né vento
di lontane armonie
forse non t’avrei baciata né stretta
come notte di luna sbadata
”mi ascolti?” ti avrei stretto la mano.
Avrei taciuto stringendo la mano.

“Lontano o vicino che importa al calar della sera?”.

Saresti festosa di gioie e battiti arditi
di pelli sfiorate “tornerai ancora”.
Tornerai con me come questo pomeriggio d’aprile
che ritornato ancora caldo sfrontato
sorride vedendomi ancora sognante perduto
fra siepi
“la baciai teneramente ai piedi del colle.”

Sarei venuto con te in questo pomeriggio d’aprile.

***
Stazione N. 12 – Canzone per domani –
E fu il bacio che chiuse gli occhi

nel riposo già lungamente atteso.

*
“Regalerò alla notte nuovi colori
nell’invidioso giorno da ombre rapito
disegnerà il buio suoni sereni rincorsi
nei traditi pensieri della spaurita sera

nessuno tremerà come foglia attesa
nella danza di solitari venti. Gioiranno
ombre nei gai colori mascherate
senza corpi padroni né silenzi

senza fuochi di lontani bivacchi
nel respiro di lunghe tenebre nude.
Sapremo rivestire occhi e cieli
di sogni perduti di dipinte stagioni.”

da UN’AMORE CON L’APOSTROFO

da A` moi. L’histoire d’une de mes folies” di Artur Rimbaud
Donna fanciulla
in un’eco offertasi piano.

Rimbaud segreto. Poiein o forse nulla
in una notte stellata ancor di nuovo.
Sogno datosi in dono.

Senza colori le vocali né suoni: nude
ardite sfrontate come giovani seni
spuntati all’improvviso
su pianure distese senza reti.

Piccola misera follia
nata povera
lungo strade ormai ricche
di echi mai più sonori.

9
E poi ritornare significava
ritrovarmi ancora
guscio di mallo sempre
verde odoroso di mandorlo
a primavera di là dal muro.
E a sera insieme.

E questa solitudine che si fa
memoria di voci e volti
m’induce a ripartire
senza desiderio più di ritornare.

E’ troppo credere di poter andare
se tu non vai su per i tuoi sogni ancora
indifeso là
dove nulla è il dare

e il non partire è morte prima.

11
Il libro ormai letto non ha più parole
dondolanti né braccia la bionda bambola
di cartapesta.

Ha rubato il sole la dissennata notte:
ora tace. Ancora trattiene
gli occhi e le mani e la bocca di lei.
Ha corse perdute tra boschi
e lungo il mare d’estate a sera
tra invidiosi falò.

Padrone ultimo servo.

da VERSI D’AMORE – CENTO LIRICHE DI POETI ITALIANI DEL NOVECENTO

L’antica pazienza
E tu mi guardi cercandomi.

E forse sei tu a perderti. T’inseguo
fin dentro le stanze
e trattengo il respiro

e
inciam-
po in conso-
nanti e vo-
cali.

So che non è l’ora.

So che dovrei vergognarmi
e
sfilarti l’antica pazienza
come guanti velati alla signora
giunta da poco.

Inedita
Verranno raccoglitrici di olive
Verranno raccoglitrici di olive
a cantar nenie imbrunite dal fumo
si danzerà sui pensieri silenziosi
che odorano di terre addormentate
s’imprecherà a lunghe fughe e abbandoni d’ore
sfiniti alla morta chitarra di sempre.

Sale il fumo
mascherandosi di nuvole beffarde
sale l’odore di lontane giunchiglie
piovute dal mare
su deserte scogliere. Piove.

Al gioco inventato di nuvole e fumo
brontolano le maschere
portate dal vento. Coprono il monte.