Alessandro Parronchi è nato nel 1914 a Firenze, dove è scomparso nel 2007. Coetaneo di Luzi, Bigongiari e Betocchi, da quest’ultimo furono presentate le sue prime poesie, nel 1938, sulla rivista “Prospettive”. Il suo esordio in volume risale al 1941 con I giorni sensibili cui seguirono I visi (1943) e Un’attesa (1943), un trittico dove si dichiara la sua adesione alla poesia pura e simbolista dell’epoca. Il tono della sua poesia muta nel dopoguerra: L’incertezza amorosa (1952), Per strade di bosco e città (1954), Pietà dell’atmosfera (1970), Replay (1980) e Climax (1990), tutti Garzanti. Successivamente sono usciti l’autoantologia Diadema (1998) e la raccolta dell’intera opera poetica in due volumi (2000). Gli è stato attribuito nel 1994 il Premio Lerici alla carriera. Come professore universitario ha dedicato studi importanti alla pittura e scultura del Rinascimento, con particolare attenzione all’opera di Michelangelo, celebre il saggio Studi su la dolce prospettiva (1964). È stato traduttore dal francese di poeti come Mallarmé, Nerval e De Guérin.

https://it.wikipedia.org/wiki/Alessandro_Parronchi

http://www.treccani.it/enciclopedia/alessandro-parronchi_(Dizionario-Biografico)/

 

POESIE

da CORAGGIO DI VIVERE

A che pensi?
— A che pensi? — La tua voce mi coglie
mentre guardo il paesaggio rispecchiato
sul buio della stanza. Per un poco
l’eco delle parole si sospende
al silenzio che le fa più gravi, poi:
— A che pensi? — E il tuo viso si fa triste
per sapere, indagare…
Penso ai giorni
d’aprile che non io ma un altro certo
ha vissuto come in sogno, ora richiusi
sigillati dietro un vetro trasparente
in un verde irraggiungibile deserto.
Penso a tutto ciò che sfugge dal presente.
Penso a quando sulla terra sarà come
noi non fossimo mai stati, a quel vibrare
delle tremule nell’aria, a quegli odori…

A mio padre, in sogno
Sorridi un poco e te ne vai pensoso.
E ad un tratto con lacrime mi chiedo
quanto tempo è che al petto non ti stringo
non afferro da amico quelle braccia.
La memoria ha insensibili naufragi.
Scolora come il cielo di settembre
sotto il vento si popola di nubi.
Te ne vai. Quante cose all’improvviso
mi ritrovo da dirti… E resto muto.
Ma perché nell’istante che mi volto
non sei più là? Ci sono tante cose
da dirsi… Ed io ti chiamo ancora, e credo
che non può certo, questo, essere un sogno.

Camminando insieme
Dove cambia la luce del semaforo
il tramonto si perde.
E camminiamo insieme
(camminavamo insieme) in un paesaggio
di fabbriche, deserto,
tra stridori lontani
e rombi che c’inseguono, in un mondo
che ci esclude — ci avvolge
nel caffè dove si entra un’aria ostile —
e tuttavia sorride:
sul ferrame contorto che tra l’erba
di riflessi s’accende,
in arpeggi di sibili dai fili,
e sullo smalto degli isolatori
che il cielo bacia — mentre tra le nubi
quella lama di luna esita, come
una lacrima che non sa più scendere
dalla mandorla bruna dei tuoi occhi.
Traversati i binari
muta il paesaggio. Sono ora profondi
giardini, tutt’intorno alto difesi
dal biancastro dei muri
tetri in quest’ora. E benché in me il passato
urga a scaldarle, incerto è, nel segreto
di queste case solitarie,
se di vita un barlume ancora, o morte
già le invada. La luna
piove intenso bagliore sulla strada.
Tu a me ti stringi
(ti stringevi!) e mi dici:
« Andiamo. » Ed io m’accorgo che tornare
tra la folla che si urta è necessario,
anche se dovrà perdersi
tra mille ombre la tua.
Nel tram dove, spingendoci, ho sul viso
il tuo respiro, il caldo della gota,
siamo vivi: tu a me di nuovo ignota.

da REPLAY

Un’altra piccola croce
La morte ha invaso la vita
-di Staglieno, del Père Lachaise, di Arlington
e del paesino della più remota campagna –
non c’è più posto nemmeno per la più piccola croce.
Lo stesso nel mio cuore. Quante volte la nenia
judicare saeculum per ignem
ho udito per l’uno o l’altro parente od amico.
Dapprima mi turbava, ora non più.
Ora, in italiano, ha un suono crudo,
non sveglia echi, risonanze profonde.
Sono stanco della morte.
Ma se vuoi, madre, che scriva qualcosa
per la bimba che è morta,
non dirò di no.
Come l’astronomo scopre un’altra piccola stella
tra le miriadi di cui non sa che farsi il cielo,
farò brillare a notte un altro lume
per lei tra le meteore.

da IL RISPETTO DELLA NATURA

Ti guardo dentro gli occhi
Ti guardo dentro gli occhi e non ne trovo
il fondo e vo a tuffarmici in un giuoco
di farfalla che impazzita ritorna
a bruciarsi al tuo fuoco.
Forma riemersa dalla notte, forma
d’un respiro leggero inconsistente-
mente mosso al tuo transito frequente
che in me non lascia spirito che dorma
salvami, la dolcezza mi riprende
questo vedere solo in te la fine
d’ogni mio desiderio, ecco ti perdo
nella notte di prima.
Tu negata mi sei, quand’anche in riso
volte per amor tuo l’ore, un inganno
i pensieri, alla mia povera vita
contraddicano gli anni.
E in questo buio io non potrei volere
che tu fossi diversa, come il vento
trova sempre le stesse alte spalliere
di verde e le ribacia eternamente.