Alberto Di Raco è nato a Roma nel 1940 e vive a Torino, dove ha lavorato in ambito industriale e dove è stato docente di comunicazione in Master post-universitari e nel corso di Scienze della comunicazione. Ha pubblicato le raccolte: Il silenzio intorno (Rebellato, 1968); Le Urbaniche (Cappelli, 1971); Rurbaniche (Lacaita, 1975, prefazione di P. Volponi); Metàmeri (Mondadori, 1978); Poema – Reparto Anime (Edizioni del Leone, 1994). Nel 2005 ha pubblicato il poemetto La stagione delle piccole piogge in Il cerchio – omaggio a Paolo Volponi (Grafiche Fioroni). Dal 1970 è apparso in numerose antologie e riviste di poesia, fra le quali Nuovi Argomenti; Almanacco dello Specchio Mondadori; Il pubblico della poesia; Poesia italiana oggi; Poesia erotica italiana del novecento; Poeti del Piemonte; Verso Roma, Roma in versi; Almanacco Odradek. Ha pubblicato i racconti La battaglia delle ombre (2001), La sedia del diavolo (2006, con postfazione di G.B.Squarotti) rielaborati in Le strade della collina (2011) e il labirinto narrativo Del bosco e del tempo (2016). Ha pubblicato saggi di sociologia e di comunicazione organizzativa nell’impresa.

alberto.diraco@libero.it

www.albertodiraco.it

 

POESIE

A CLAUDINE CHE SCRIVE DA PARIGI
Il tocco del suono claustrale, che a fatica
Smuove l’aria ad ondate, semina
Disordine nella lenta agonia notturna,
interrompe il nostro discorso lanciando
cunei di luce al neon fra i nostri
sguardi, strade oscillanti, occhi verdi e canti
di sirenight. E noi nuotiamo, in un mare
abbandonato dal sole, cerchiamo di
ritrovarci con le parole, Claudine, di
tagliare l’aria senza turbarla,
come si fa con la vita.

DA UN CANTO NAVAHO
La voce del tuono;
la voce dei grilli;
sul cielo, ed in basso.

Tornato dalla guerra, o cari,
-la voce del tuono-
Fra voi sperduto ormai non rimasi:
tornato dalla guerra, o cari,
-voce di grilli fra i campi-
Ripresi uno zaino
E mi staccai come unghia da carne.

Quando  tu, fratello, udrai la voce del tuono
Quando  tu, fratello, udrai
Fra le messi la voce dei grilli,
pensa al tuo fratello più vecchio
che non seppe condurre la vostra vita
pensa al tuo fratello
il cui passo non ha mai pace.

DALLE TORRI MERLATE
Dalle torri merlate s’alzano nubi e portali,
nella valle ingoiata dal buio scorrono
città antiche e strade sempre le stesse
dai mille volti rifatti scorrono luci
e automobili ai piedi di ignote montagne,
ed il forte, rinchiuso nelle sue spalle,
ancora guarda il nordovest sbarrando
la Dora irta e gelida, scrutando orde
nemiche ormai scomparse nel vento
e nella terra; ancora le torri guardano

attente il fondo della valle, ma nessuno
risponde sotto la torre ventosa; né i passi
sotto le volte e gli arazzi mostrano l’ansia
dell’attesa, ma solo il ricordo cerca la vita,
disperato sospiro dalle ferite dei muri.

Queste sono le pietre, le stesse, e queste
sono le cime e le ferite del ghiaccio
queste sono le nubi ed il vento.
Rinchiuso fra le mie squamepiume nascosto
dal sole smorente tra i fumi e la nebbia

ancora attendo su questa torre il volto
che mi ha generato il passo della madre
dietro la porta sull’autostrada immota
lampeggiante scendendo da un tempo mai
nato. Ormai le mie squame rilucono

al tramonto nebbioso le mie piume s’arruffano
al vento, e tu, madre, sei più forte del mio
ricordo, più forte del vento e del tempo pulsante
nel ghiaccio, spinto contro la valle sgomenta
sotto il cielo vuoto di mondi e del tempo.

EPITELIOMA
Nella stanza al secondo piano
L’exeresi chirurgica conosce
L’epitelioma sotto l’acciaio
Papillomi, adenomi, cistomi,
invadendo i tessuti vicini:
nel sangue, è lui, carcinomo.

———Aperta la porta,
fra il secondo piano ed il primo
l’ascensore portò progetti e speranze
ancora luce sugli occhi
e un volto bendato;
i mobili di una stanza, l’ascensore portò
l’avere e il non avere.

———Al primo piano egli ricordò
L’accoppiamento,
guerre e ponti di ferro,
l’emigrazione e il ritorno.

———Dal primo al pianoterra
Egli non conobbe
Né commercio né donna
Ma solo l’acqua,
e la campana sommersa
e il grido del parto.

Al piano terra,
quando fu riaperta la porta,
insieme ai due infermieri,
uscì inaspettata, la morte.

LA CITTA’ DEI MORTI
La città dei morti sinuosa si eleva inavvertita
con le sue onde fiorite di pietra simulacri
di ombrosi pini e ulivi contorti da un vento
inudito. La città dei morti acquieta la pioggia
mentre saliamo lungo i suoi fianchi quante volte
faremo gli stessi passi e gli stessi gesti quante
volte saliremo le scale in cerca di voci sperando
che ad una improvvisa svolta o ad uno sguardo
obliquo ci appaia la morte e sveli ciò che
non può essere svelato dalle pieghe del nostro viso.
Solo fiori e passi affrettati offre la città dei morti
al nostro occhio trapassato dall’attesa di altre
presenze. Le cappelle mute offrono ondate di volti
immensamente lontani e il tuo così vero, fratello
dai molti viaggi, ti colse l’ultimo sguardo
e appartenesti al vuoto immenso della nostra storia
e del cosmo. Così ora le maree ignoti di volti
ti afferrano in un odore di fiori avvizziti per noi
che fra le tombe estraniati incerti torniamo
sui nostri passi mentre gonfi nembi di cielo
si sfaldano con livide spade di pioggialuce
impregnando la terra di questi resti umani
ancora alla ricerca vana della città dei vivi.
Ma è da questo oltreterra, fratello, che ora
cerco il sangue delle bocche serrate cerco
il battito nuovo della mia lingua che scioglie
la cera dagli occhi apre di nuovo la parola
la prima che genera i nuovi suoni inascoltati
fin quando nella città dei morti nel buio
delle caverne ah! risuonato il verbo lo sguardo
nuovo nelle antiche case nuove macerie
la mia parola le sanguina con il suo battito
e la pietra la prima crepa ed il sospetto dell’erba.

PAESAGGIO  DI  LANGA
Lo specchio infranto della valle
alle appuntite melodie dei cieli
si ricompone con le voci sommesse
della sera, e i latrati dei cani
scemano lamentosi verso il buio.

La cenere che ardeva silenziosa
Ora brilla improvvisa e segnala
L’arrivo inaspettato, la presenza
Dell’Altro. Al suono del campanile
Disperso tra i fuochi della notte

Fra i castelli dei picchi boscosi
Il temporale sfugge verso l’Est
La grandine del Diavolo s’infrange
Al clangore spezzato della catena
Nel cortile, e un’Ombra scavalca
A grandi passi i colli delle Langhe.

TRENO DI BANLIEUE
Il treno che dalla banlieue porta a Parigi
trasporta il tuo viso dolce ed altero
attraversa stazioni affogate vetri rotti
e cartacce, sputi, masticate gomme
schiacciate sull’asfalto delle pensiline;
e ad ogni stazione siamo sempre più vecchi
le rughe si aggiungono sotto i tuoi occhi
e sul tenero collo, e noi viaggiamo ancora
verso Parigi chissà se un giorno arriveremo
alle rutilanti luci di boulevard Haussmann
la gioia cieca sempre uguale delle vetrine
dei banchi profumati e le commesse irreali
ah! Parigi non la raggiungeremo mai
invecchieremo su questo vagone
a prova di vandali trasporta sogni falliti
squallore di vite alla ricerca del nulla
ed il tuo viso è ormai un ricordo
le tue amiche sono già scese alla prima
stazione, e noi continuiamo a guardarci
senza vederci, a sorridenti telefonare
nel vagone sempre più vuoto.