SULLA STORIA D’AMORE DI FERNANDO PESSOA di Sandro Naglia

La strana storia d’amore che legò Fernando Pessoa alla sua unica fidanzata conosciuta, Ophélia Queiroz, è stata molto dibattuta. I due si incontrarono nel 1919 nella sede della ditta di import/export di Lisbona dove Pessoa lavorava come traduttore di documenti commerciali. Lui aveva 31 anni, lei 19. La più piccola di otto figli, Ophélia avrebbe voluto diventare insegnante di matematica, ma trovò lavoro come dattilografa nell’azienda per ottenere una maggiore indipendenza dalla famiglia. Aveva studiato francese e inglese; le piaceva leggere, andare a teatro e socializzare; frequentava artisti come Almada Negreiros e Teixeira de Pascoaes, e suo nipote era il poeta Carlos Queiroz. Fu la stessa Ophélia, molti anni dopo, a raccontare il primo incontro con Fernando, proprio il giorno in cui si presentò per il colloquio d’assunzione. Lo vide salire le scale del palazzo, e «mentre camminava, sembrava che non toccasse terra». La loro relazione ebbe due fasi distinte: dal 1° marzo al 29 novembre del 1920 e poi dall’11 settembre 1929 all’11 gennaio 1930. Pessoa infatti non voleva niente che ostacolasse la sua missione letteraria, e questa fu perlomeno la giustificazione ufficiale per la prima rottura. Il 29 novembre del 1920 con un messaggio lui pose fine al loro rapporto: «L’amore è passato… Il mio destino appartiene a un’altra Legge, la cui esistenza Ophélinha ignora, ed è sempre più subordinata all’obbedienza a Maestri che non permettono né perdonano…». Quasi nove anni dopo, fu proprio il nipote di Ophélia, Carlos Queiroz, a rimettere in contatto i due, e la storia riprese fino a quando, ancora una volta, Pessoa la interruppe dichiarando a Ophélia che non poteva (o non voleva) sposarsi, a causa delle difficoltà che la missione di scrittore imponeva alla sua vita, non escluse quelle finanziarie.

Conosciamo la storia di Fernando Pessoa e Ophélia Queiroz tramite le lettere che i due si scambiarono, e che nei decenni seguenti la morte del poeta furono pubblicate in più edizioni successive. Quarantotto lettere di lui furono inizialmente pubblicate nel 1978; seguirono altre edizioni man mano arricchite da ulteriori missive nel frattempo reperite. Le lettere di lei furono invece rese pubbliche solo nel 1996, cinque anni dopo la sua morte. Nel corso degli anni, la visione del rapporto tra i due è profondamente cambiata. Inizialmente le lettere sembravano adombrare una versione del loro namoro, come si chiamava in portoghese la fase del corteggiamento e dei primi approcci dei futuri fidanzati, piuttosto casta, con un Pessoa dolce, ironico, a tratti geloso di una gelosia un po’ infantile, che trova continuamente nuovi vezzeggiativi per la ragazza e progetta itinerari tortuosi nella città per poter passeggiare più a lungo con lei. Man mano, però – anche grazie alla pubblicazione dei diari – è emersa una componente molto passionale nel loro rapporto, con toni talvolta erotici del resto non inediti per Pessoa (si pensi al suo Epithalamium), tanto da far parlare qualche critico di «infantilismo perverso» anche riguardo alle lettere apparentemente più innocenti.

A fare il punto su questo amore, sia pure in chiave narrativa, è ora il romanzo di Paolo Ruffilli Fuochi di Lisbona (Passigli Editori). Il suo protagonista arriva a Lisbona per partecipare a un convegno su Fernando Pessoa, e quasi subito conosce la responsabile del meeting, Vita. Scoppia immediatamente una passione furibonda in lui, che finisce col travolgere anche lei: «Una forza ignota mi attirava. Ma lei appariva fredda, ritrosa, anche superba. Eppure, nel suo primo stringermi la mano, avevo colto l’irresistibile richiamo. Qual era il suo mistero? Dentro quel muro, pieno di ghiaccio, dovevano bruciare la voglia e la passione». Entrambi sposati (in apparenza felicemente), i due protagonisti cercano invano di capire origine e motivi di questo subitaneo legame, mentre la passione deborda al di là di ogni considerazione razionale, andando lentamente a intrecciarsi, nel ricordo che affiora anche attraverso citazioni di versi e di scritti, con la relazione che Pessoa ebbe con la giovane Ophélia: «E, mentre le parlavo, per la prima volta un pensiero mi si era infilato nella testa. Che lì qualcosa e che qualcuno mi stessero aspettando. E per la vita mi si andasse preparando un’altra prova che non avevo ancora sospettato. Chi poteva avermi steso la rete e ordito quel disegno? Chi era il responsabile tra me e il destino?»

Tra il protagonista di Fuochi di Lisbona e Vita c’è la stessa differenza di età – lei più giovane di dodici anni – di quella tra Fernando e Ophélia. E apparentemente una storia sembra ricalcare l’altra, che in quegli stessi luoghi era accaduta più di un secolo prima. Ma si tratta in realtà di una specularità asimmetrica, se è permesso usare questo ossimoro: nonostante gli accessi di passione carnale espressi per iscritto, il cerebralismo di Pessoa ebbe sempre la meglio nell’inibire un rapporto durevole e concreto con Ophélia, mentre il protagonista del romanzo si trova, al contrario, a vivere pienamente questo amour fou, pur cercando di sviscerarlo nel pensiero. Ed è una asimmetria feconda: la maggiore profondità del romanzo risiede infatti proprio nell’analisi di questa situazione per certi aspetti tipica, nell’indagare i recessi psicologici di pulsioni irrefrenabili ma nondimeno testimoni di un legame – per quanto irrazionalmente – solido. La rinuncia alla vita a favore dell’arte – un tema che collega Pessoa a Pirandello e che, a quanto pare, segnò l’esistenza del poeta portoghese – qui viene come ribaltata, con la vita che irrompe e che richiede alla scrittura di essere narrata, non per l’art pour l’art, ma perché resti una traccia che impedisca alla memoria di sbiadirsi, anche quando la vita stessa avrà costretto a scelte dolorose ma inevitabili.

Quello di Ruffilli è un romanzo dalla scrittura vertiginosa, in cui cerebralità e carnalità si fondono insieme. È «un trattato sull’imperscrutabile», come lo ha definito Antonio Tabucchi in una nota di lettura della prima stesura del libro, risalente al 2012, acclusa nel volume a mo’ di postfazione. E infine c’è Lisbona, altra silente protagonista, realtà e sogno, pronta a confondere i piani temporali e a creare il labirinto (come, non a caso, accade in altri romanzi come la Storia dell’assedio di Lisbona di Saramago o L’inverno a Lisbona di Antonio Muñoz Molina): «Che mi si stampasse sulla retina. E che mi tracimasse, l’anima intera di Lisbona, oltre il profilo fin dentro i miei precordi. Mi avrebbe tormentato per il resto della vita. Accendendomi dentro il desiderio. Per me, insieme, della città e di Vita. Ci avevo fatto l’amore, con Lisbona. Non lo sapevo ancora. Pensavo che si trattasse solo di una donna. Ma Henrique preferiva non svelarmi niente. Me ne sarei accorto presto, io, da solo».

Sandro Naglia

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