Gregorio
SCALISE
Gregorio Scalise è nato a Catanzaro nel 1939, vive a Bologna, dove è scomparso nel 2020. Ha pubblicato, di poesia: A capo (Geiger, 1968), L’erba al suo erbario (Geiger, 1969), Sette poesie (In folio, 1974), Poemetti (in Quaderni della Fenice N° 26 1977, Guanda), La resistenza dell’aria (Mondadori, 1982), Gli artisti (Lunario nuovo, 1986), Danny Rose (Amadeus, 1989), Poesie dagli anni ’90 (Orizzonti meridionali, 1997), La perfezione delle formule (Stampa, 1999), Controcanti (Quaderni del circolo degli artisti, 2001), Nell’ombra nel vento (Art, 2005), Opera-opera poesie scelte 1968-2007 (Luca Sossella, 2007), Le parole non sono mai esatte (disegni di Massimo Dagnino, Edizioni L’Arca Felice, 2014), Nuovi segni (disegni di Massimo Dagnino, Algra, 2017); di saggistica: Bruciapensieri (Il cavaliere azzurro, 1983), Ma cosa c’è da ridere: un pamphlet contro la comicità (Synergon, 1993), Talk-show system (Synergon, 1995), La contraddizione iniziale (Magenta, 2006); di teatro: Grazie vivissime per il ricordo (1978), Il pupazzo azzurro (1979), Vita di Carrol (1979), Ultima lettera allo scenagrafo (1981), Io e Manattan (1983), Segreteria telefonica (1983), La Donna allo specchio (1985), Dove sei W`lly Loman? (1986), Milena risponde a Kafka (1986), Marylin 5 agosto (1988), Racconto d’autunno (1991), Servi di Scena (1992), Boite à conduire (1998). Si è occupato anche di poesia visiva e di critica d’arte.
https://it.wikipedia.org/wiki/Gregorio_Scalise
POESIE
Le nuvole
1.
Racchiuse nella città invisibile
le nuvole non hanno frctta
c’è sempre una slogatura
per la lucentezza di chi scrive,
con quel verde che inonda le porte
mentre guarda un oracolo
inconcludente.
Se quello è il luogo
in cui filtra la storia,
quando con sicura disperazione
ritorna primavera,
un pensiero in distanza
scende con la speranza di un giorno:
quei gesti di una identità personale
si associano ad un rumore di fondo:
in quelle linee che ricoprono il corpo,
muore anche l’amicizia.
2.
Le nuvole olandesi non sanno dove cadere, vivono sempre nei cieli larghi,
quando smettono di ragionare
occupano strati di cielo
approfittando della forza del vento:
si dispongono in file trasversali
come una idea teologica:
credono in dio mentre rimbalzano
verso l’orizzonte: come quei mulini
sibilanti; spesso sono scure,
liricamente corrotte,
giungono dove nessuno presume di essere:
e ci sarà sempre un incanto
nella loro forma
come una profonda rimozione.
3.
Per quel segmento che riporta
il punto al luogo di partenza
volano nuvole rimosse:
avere l’anima negli occhi
è il loro sogno continentale:
aporia degli alberi
come una cassaforte che esercita l’ingegno sgomentando grigi pallidi:
(tutto dovrà ricominciare
quando si sveglierà fra le pietre
l’angelo del mattino).
4.
Ci sono nuvole di sabbia
(momenti di un idillio fra primavera
e ceneri del novecento)
e la sintesi delle stagioni
afferma ehe non ci saranno più guerre:
due volte l’uomo assomiglia alla luna,
i boschi non mandano splendore
quando tutto è falsopiano;
il corpo, è noto, è pesante
si installa al centro del fumo
facendo rieorso alle arti
della convenzione:
fra quei portoni la malinconia rapina il corpo
con una lunga prefazione
che parla del sogno.
5.
Quando sono alte le nuvole
perdono ogni diritto,
grondano sudore e rabbia
sui boschi cheospitano dei parassiti:
di nuovo a loro agio in quel eorridoio
guastano la varietà
di un lato geometrico:
una scena rapida
come una catena mentale:
è un poema ehe si apre
con l’insicurezza della mano:
ogni nuvola dice che
l’uomo è sempre meno disabitato:
mentre ritornano sui propri passi
dimenticano le parole che si possono scrivere
in una città d’estate dai gesti caricaturali.
6.
Le nuvole si allontanano dall’aria
la loro perdita è ai limiti
della riscrittura, sfiorando tetti d’inverno bloccano quel pensieri
veloci come la retorica:
la passività del volo
è ai limite del rimorso,
giungono dove esiste una formulazione precisa:
attraverso aspre assonanze,
i segmenti travestono
la loro elemosina:
è per conoscere il passato
senza chiedere a nessuno l’età del mondo.
POEMETTI
DORA MARKUS E I SUOI ATTORI
Molti inverni sono trascorsi
con una sensazione generale:
nelle biografie si vedono i diavoli
stesi fra i fili del cortile:
la loro insana allegria sfiora
i capelli grigi: Dora Markus
in un giorno disadorno
suonava il piano con sottigliezza esistenziale.
Vivevano lungo argini fioriti
e delicate disfatte i ragazzi viennesi
col gibus e scarpe di seta:
un pattinatore scivola fra quelle cianfrusaglie agitando gli oggetti di sua proprietà.
La mente cerca immagini a caso:
non vorrei che facessero
la loro descrizione.
Per tutto il pomeriggio abbiamo navigato
in un rito europeo: l’aria colpisce
una zona desena e traccia attorno
alle figure una luce
metafisica e un po brilla.
Il ciabattino del teatro
risponde che siamo usati per vivere:
batte le mani ai poeti provenzali,
li ha condotti sin qui fra delicate perifrasi.
Per la continuità della specie
le rose non hanno né inizio né fine:
brucia un sassofono nel paese
dove nessuna opera è spiegabile:
si parla badando a non far scricchiolare l’alfabeto: i suoi capelli sono un cliché,
ardono al centro della terra.
Ha dovuto affrontare nemici ben piu forti.
Anche lo schema di una nuvola
sfiora il selciato: fra nostalgia e vissuto
una donna al caffé è una semplice idea:
con i capelli ingialliti
accende le candele di Natale:
la sua casa conosceva l’avanguardia
ma la claque di un racconto d’inverno
ha reso esatta la sua violenza.
Il suo volto era apparso
fra grandi palazzi:
ora guarda i vestiti sulle sedie,
vi sono giorni scarni come tempeste
che non lasciano niente d’intatto:
forse la biografia
sbiadisce con un nome particolare,
e con la magia degli occhi
la sequenza di un sillogismo
si riflette nell’ombra dei vetri.
Fra una distesa di rami verdi
cantano i poeti elisabettiani:
siamo alle origini della luce,
l’errore del vento sospinge una coscienza religiosa, le radici crescono
come lingue che abbiano indossato
i vestiti migliori.
I fori sono gli attori
che meditano una parte difficile
crescono per strane visioni
e fra spazi leggeri la vita
diventa segno di malizia:
giungono alle soglie di un laboratorio
dove la luna presta il segno preferito.
Con lo scarno distacco dalla parte
il vento alloggia gli emigranti.
Se scrivere è il segno che avevano pensato nessuno puo chiedere alla poesia
di essere simile a quel segno.
Uno specchio si appanna
riflette angoli falsi,
prima di fare un ragionamento
si crede orribile o folle.
Gli attori recitano con nuove citazioni,
cigolano le porte delle scale
e nelle pozzanghere risplende mezzogiorno.
KAFKA A BOLOGNA
Abbiamo camminato per tutta la città
per sapere dove risiede l’inganno:
la stagione si apre con una polemica
contro gli stoici e il giorno è contro
quegli argomenti: il nome che durava
sino al confine con la pioggia
esprime con grandezza di stile
una vicenda conosciuta da tutti.
Di tutte le soluzioni vi sono scarse
tracce, la parte superiore dell’esistenza
non ci appartiene: l’albatros
senza nuvole è una macchina con semplici regole, gioca con l’upupa
a inceppare il passato.
Ho visto inverni precedenti
sfuggire a questo scopo:
salivano lungo solitudini involontarie
tracciando linee sopra coni d’erba.
Non si puo recepire altro di nuovo:
il suo alter ego in questa proiezione
trasforma il bosco in una zona culturale:
fra i gesti della notte
un esercizio di virtu è narrabile
con medie parole: vengono le rondini
a visitare il corpo di Kafka.
Non aveva mai pensato che la storia
potesse essere diversa.
Per un sistema di errori
i destinatari riassumono questa macchina
nel linguaggio di una fabbrica:
gli oggetti futuristi si devono
adulare o spegnere.
Assorti in una credenza popolare
alcuni scienziati raffigurano la società
con i fili della memoria:
cercano di tenerla assieme
ma la sua vocazione è disgregarsi.
Fissa il suo gioca con astuzia
mentre un filo di luce cade sulle foglie.
Offre motivo di ripensamento
un programma con giornate di negligenza:
la folla lucente ha un piede
nell’ombra, quelli che parlano di lei
diventano raffiche di un’epoca:
la pretesa degli sradicati
sfocia nel mito e un doppio filare
fa dondolare le sedie nel tinello.
Il chierico cammina fra dialettica
e struttura: scuote i rami al tramonto,
non sa che il nulla è un sillogismo:
e una coppia insidiosa
conduce una idea centrale ad un carro barocco:
a causa della sua solitudine
vive solo due volte.
La lontananza nasconde quei moventi,
i difetti agiscono nell’aria,
aveva concepito un disegno importante
ne ha visto svanire le intenzioni.
AMITIE’ AMOUREUSE
L’uomo con una piega sulle labbra
ha il fascino di un erede:
è meglio essere subito delusi,
una escursione romantica guasterebbe
il suo passato: nel movimento
di quel centro le immagini
si nascondono in un portone:
dileguano i giochi del vento
fra le righe di quegli anni,
una mezzaluna registra nel cielo
quella recita involontaria,
e un uccello sconosciuto
porta nel becco un filo di paglia;
con la prerogativa di un discorso
quelle idee iniziali
le ritroveremo un decennio piu tardi.
Scorrero’ la luce di queste costruzioni:
la tesi fondamentale
è che nessuno puo mutarle: in questo luogo
si canta la memoria e il cielo
nel fondo del freddo attende
che diventi più chiara.
Con impersonale rumore
vanno e vengono fra le strutture delle parole, l’aria colpisce a fondo
quella metafora inventata per gioco.
Immerso nei più faticosi particolari
di questa professione
un attore raramente introspettivo
conduce una vita quasi ridente.
I giorni di questa apparenza
ci attendono con un finale di lusso.
Le sillabe ne delineano i contorni.
I viaggiatori fra la folla
scompongono il destino
e Ofelia appare all’improvviso
senza desiderare nulla.
Dall’alto di un tavolo
gli alberi appaiono insignificanti
le idee si ribaltano negli angoli;
alla fine basta un corpo
mentre si lavora.
Per buona parte della notte
è caduta la pioggia:
l’imperatore non aveva voglia
di passare in rassegna la fila:
gli altri non dovevano accorgersi
della sua vecchiezza, pensava che era
inutile mostrarsi intelligente,
non si accorgeva che al suo naso
era apparsa una goccia trasparente.
La sua casa è una agenzia
dove luccicano polvere e luce.
Scrive le sue lettere
fra terra incerta dove la nebbia bagna sassi
e un intonaco copre le stelle.
Il suo linguaggio nel primo giorno
fece il cielo, e nel secondo,
attraverso i volumi, i monti
furono girandole capovolte.
da LA RESISTENZA DELL’ARIA
DIARIO DI UN LADRO
Se sono turbato è per ordine
della natura, le ginestre
sanno che le rappresentano
come le radici di quel suolo,
l’ordine conferma la presenza
dei sudditi, perché le acacie
sono alberi senza speranza:
per il procedimento della sentenza
la polvere ricopre le foglie;
non dovrebbe sorprendere nessuno
che i raggi illuminino le poltrone:
a cavallo di un vecchio mondo
furfanti snodano la penna:
gli uomini camminano con barbe grigie
tornano su vieti racconti ,
storie di solitudine e miseria
collocate al punto più alto della storia:
questa è la materia,
giorni densi di empietà e miseria,
la tensione è ciô che è concreto
o la gioia di quel cibo complicato:
niente è più facile di quelle allegorie
si cerca una figura
per una interrogazione assoluta,
l’unità dei frammenti
non fu mai tanto sola:
ma nessuno pensa di restituire a quegli oggetti l’occhio della memoria
e l’uomo si riscrive fra i vestiti
resi celebri dai ladri.
Quell’esempio suppone che il senso
della vita si perda
oltre il rumore dei passi:
forse è vivo perché scrive
fra queste camere di piombo.
Non ama la materia infiammata
il canto ansioso che appartiene
a mille vegetazioni,
la figura di Panofsky è inspiegabile
ad occhio nudo: ora un inverno
di cristallo sa che fra le sillabe
le parole inferme scavano una nicchia nella norma.
La lingua barocca scarta l’orizzonte
piange sotto la pioggia
e di nuovo domanda da dove venga
quel corpo: le rondini fanno
l’elogio del muro
(cercano un corrispettivo nel linguaggio).
SEGNI
Il mondo procedeva senza guerre.
Voglio dire che io ero
mio padre. A gruppi la gente
andava per shopping: non vi vedremo mai più.
E’ facile pensare che la luce
sia un espediente.
Ma devono crescere gli alberi.
Se solo ci fosse uno spazio.
Se tutto questo iniziasse
una vita diversa.
Ogni illusione è una idea di saggezza
non riconosciuta dal mondo.
Come le ombre, come le idee
frantumate dal sasso.
Si apprende presto cio che non
ci riguarda.
Ritorno bambino per equilibrare
cio che è giusto.
La memoria colloca sotto la pelle
la nostra storia:
si impara presto che ogni cosa
è spietata, se è ridotta
alla dissolvenza dei segni.
Trovo nel sogno un futuro
senza controllo.
Divento diverso e rappresento
l’oscenità del tempo.
Un medico condotto ha l’anima
bucata: Baudelaire, non fuggo più.
Se brillano i fuochi.
Il cielo sferzato dalla fretta
procede con logica rigorosa.
Il premio, è un’anima vinta.
Resta l’astuzia.
Principio di sentiero
che porta a muri di rose,
ed è cosi che la costanza
diventa memoria.
Le stelle sono le stelle.
La luce cerca una traccia leggera.
Tutto quello che trovi alla
testa del paesaggio è tuo.
Andiamo in schiere
a trovare mio padre. L’ombra
è docile fra i tetti sporgenti.
Il giardino era colmo di fiori.
Gli oggetti, nella mia casa, hai
lasciato. Ogni idea. Ogni allegria.
Il tempo invecchia, fa invecchiare,
alla luce della presente realtà,
devo dire che tutto è una finzione.
Il freddo è una donna,
ma se ritorniamo, la gente scosta
le biciclette: e ci sarà un tempo
in cui tutto questo sarà utile:
come il sole tra pietre scarlatte,
rose dall’invidia. La nave nel porto,
per ogni illusione.
La curiosità è evidente.
Così testimoniano i bimbi
giocando con l’acqua, prova che esiste
una forma.
Così c’è una poesia alla quale si ritorna:
la ragione unificherà gli elementi
della vita: l’oscurità precede
in questa pestilenza i segni del secolo:
i vigliacchi si guardano allo specchio,
la fantasia ha smesso di dare
spazio allo spazio, nomi ai nomi.
La mia idea sugli uomini è vera.
Ora uscirebbero gli alberi
che ospitano le frange d’aria fredda.
Tu porti ferro sulle spalle.
Forse acquistando l’abitudine di
mentire, follemente mentire,
si puo vivere in allegria: sarebbe folle guardare la gente, senza parlare.
Ma ricominciare da un segno.
Nella notte, ad esempio, estrai dal sasso
l’idea.
Reinvento la memoria per una vita
migliore.
Con flemma tornano le navi,
i negozi chiusi, il nome sulle targhette.
Eppure esiste una verità
la cui pratica porterebbe tutti
in salvo.
Le foglie abbreviano la vita,
considero l’angoscia un elemento del passato.
Non dovremo farci logorare:
l’ordine giunge tardi.
Se di tenerezza è colma la terra.
Il giorno sarà di chi guarda
gli elementi che salvano la pioggia.
Ora canto l’ozio e la vergogna.
Si ricorda che vivi si nasce.
Vorrei riavere i frammenti biologici
della casa dove ho trascorso l’esistenza.
Ero solo in quegli alberghi, la sera.
Guardavo oggetti dalla finestra.
Il niente diventa paesaggio.
Il nulla ha le luci della città.
A tutti capita di copiare la solennità
dagli altri.
Osserva queste cose: ci sono momenti
in cui si dimentica l’uomo.
Si perde contatto con l’incendio,
e la fronte ospita il becco di un passero.
L’uomo ha distrutto la sua libertà
d’invenzione.
I sogni appannano il vetro,
non è facile eliminare il passo
di un interprete.
Fuori dalla punta delle dita,
la faccia ci spinge a turbare la pace.
Per paura del pericolo
si diventa ubbidienti.
Ricoperto da fibre il costruttore,
l’avaro, taglia la lingua ai bigotti.
Amicizia, dice Aristotele, è virtù.
Come quel fondo, che ha terra salata.
Fra i pali della luce
pensavo alla poetica del comico.
Ma per le imboscate della follia,
devo ammettere che tutto è senza senso.
Vado dove il freddo è più freddo.
Il bambino nell’angolo, il lupo.
La scra comincia, apre un mondo,
non è detto che non sia reale.
Ora in un punto vanno i tuoi genitori
al mercato.
Li vedo affilare pomodori,
bruciare basilico.
Ci vuole fatica, uomini semplici.
Ma nel passato per l’uomo c’è tutta
la notte: lì splendono i resti
della terra, gli acri frammenti
con cui compone il suo presente.
Lo so che la memoria esiste
se non quando vuoi reinventare il passato.
facile dire durante la vita:
” Hai ottenuto qualcosa? “
Se sei il primo, capirai lo stesso.
Nel mondo disabitato l’erba
è il solo pianeta coperto d’ombre.
Tu hai intelletto d’amore, stupida folla.
Come un maestro di magia nera
la folla vive in una libertà sconfinata.
Si entra per una porta,
come per riconoscere la biografia dell’acqua.
Perché perdere rispetto per l’uomo
non è difficile.
Nel quartiere le notti sono bionde
e profondamente inutili.
E si vedono gli uomini
affacciarsi come mostri senza storia
in una stanza che ha il balbuziente
potere d’addio.
La ghiaia solleva le stelle,
rappresenta i genitori.
Apre una strada, la notte che è trascorsa.
Il mondo da questa distanza,
divora con lingua assente
la prova di un dolore iminaginario.
Quando con incosciente distacco
questa nebbia
fa rotolare il nucleo in una fuga
d’oggetti, come un colpo d’ala
la morte lancia oltre i muri
tutto cio che non serve.
E’ una esperienza rassegnata sotto le stelle.
Ma è difficile alzare gli occhi,
alzare un muro sul passato,
pronunciare tutto questo
con indulgenza. Prima di spegnersi
sussulta un fuoco come un brutto
scherzo della cultura: foglie secche,
assonanze fuggenti.
Come la confidenza, o ancora la folla
carica di simboli, antenati della
memoria: la follia di non saperci
riconoscere: solo questo pensiero
ha il diritto della follia.
C’era un tempo in cui
gli uomini e i sassi erano diversi.
Ma non basta immaginare, come non basta
vivere.
Questo febbraio anticipa gli oggetti,
e si rammentano i fatti rispettati
o sdruciti.
La mano attorno agli angoli
rattoppa la notte.
Fa parte della preghiera agire con calma.
Si procede per anatomie, come l’ansia,
le occasioni.
La stupida scusa che non esistevano
paragoni.
Non è colpa nostra se il mondo
diventa orribile.
Brilla lontano la mala erba.
Dirai: ” Byrol “, sposa. ” Guma ” uomo,
o fiume universale.
Oggi anche gli alberi potrebbero trovare
equilibrio fra realtà e sogno.
%
I giorni passano su quel viso
come un antefatto curioso,
scrivono i loro dispacci
nella case dove i bambini
si distinguono per una abitudine
intellettuale: domina una fotografia
scomposta, e offre la sua miseria
come il mago delle parole
che sense il rumore delle donne.
%
Non si sono mai visti uomini così pazzi,
il senso di quei raggi
è l’eccedenza: l’inchiesta si presenta
come un amalgama di elementi,
l’uomo ascolta e vorrebbe complicare
tutto questo:
si compiace di sottolineare il senso
dell’inerzia; come un ramo i suoi brividi
sono seri, esce dall’aria
come una vuota ferita e la figlia
di un nebbioso autunno
guadagna nuova anarchia.
Increspata nella luce raccolta
si isola nella sue verità: l’elegia
del sogno è come la cadenza di quel ritmo.
%
Per saggiare gli stipiti delle porte,
annotano passi di una antica pazienza:
guide pressate dal movimento delle labbra,
la luce illumina simboli
frantumanti in una stanza
o un regno senza re:
quella strada mostra, fra note di lavoro,
una storia personale,
come una nube o una borsa da viaggio:
i bambini, travestiti da verità,
brillano come qualcosa di sbandato.
%
Una passione ruota attorno al corpo
e per un singolare egoismo
la superficie lo coglie in un atto immediato:
ma con i bambini bisogna
parlare dell’ovvio,
e il seguito di questa storia è di suoni d’erba fischiati tra i denti: il viso dipinto
da una mezzaluna conosce
giorni più densi, la grande dispersione
delle foglie dei peschi,
oppure l’incrocio dei tempi
che raggruma atomi di speranza