Franco
MANZONI
Franco Manzoni è nato nel 1957 a Milano, dove vive, collaboratore del “Corriere della Sera”. Ha pubblicato le raccolte di poesia: imperatore! (Edizioni Le Cinque Vie, 1987, con disegni di G. Maura), Esausto amore (postfazione di R. Mussapi, Crocetti, 1987), Totò (presentazione di A. Sala, Fonèma Edizioni, 1989), Stanze d’argilla (testo critico dì G. Finzi, Prova d’autore, 1989), Padania (prefazione di R. Sanesi, Centro d’arte Edizioni, 1990, con disegni di A. Cattaneo), Verso la seta (nota critica di M. Collura, Fonèma, 1991, con disegni di F. Alto), Faccina (prefazione di V. Guarracino, Book Editore, 1991), Lettere dal fronte (Schema, 1993), Figlio del padre (postfazione di G. Oldani, Book Editore, 1999), Angelo di sangue (Edizioni Pulcinoelefante, 1999, con un disegno di A. Casiraghy), la Marisa (Gli Specchi edizioni, 1999, con un’incisione di G. Dradi), En sombre de grito (prefazione e traduzione in spagnolo di E. Coco, Devenir Editore, 2001), Casa di passaggio (Signum edizioni, 2001, con disegni di G. Marchese), in fervida assenza–trent’anni di poesia (Raccolto edizioni, 2010). Come paroliere, su musiche di O. Prudente ha scritto testi per Christian, Loretta Goggi, Formula Tre, Viola Valentino; su musiche di G. Liguori ha composto le parole di alcune canzoni per le fiabe I tre porcellini e Cappuccetto Rosso; ha firmato il libretto dell’opera lirica Viva Verdi su musiche di A. Bassi. Dal 1984 fondatore e direttore responsabile della rivista di poesia e cultura Schema, ha diretto la rivista Nuova Prosa, ha redatto l’houseorgan Triennale Notizie.
POESIE
da IMPERATORE!
voleva dirti…
voleva dirti addio
per questo
anno
o meglio mettiti
in vestaglia
riconoscimi
diversa al tocco della filigrana
si è versata
tutto è veglia
dietro la grata
è casta così
solo così
dove tiene il cielo orientato
pare una donna di dio
nella febbre del dio
dove s’annida…
dove s’annida tutta nera
tremava nel ghiaccio del viso
supplica gelosa
fango declinato
nessuno ha interrotto il tuo pianto
ti sei introdotta
stupita
nello squarcio spietata
non potrai morire per la bocca
che gorgheggia
estremo dono perduto
pare un velluto nuovo
da ESAUSTO AMORE
felici liquidamente
felici liquidamente
gocce sottili
fra vapori
stavamo a misurare
dove ogni cosa ci assalirà
dietro negli occhi
so che volevi
in un soffio di terra
togliermi la veste
s’udiva profumo di mani
nel bianco del mantello
saremo superstiti
notturni forse inattesi
semientrando
sfiorami l’esterno del fianco
la cara ira della pelle
già era vicina pretesa
abdicazione minima
leccami le caviglie
ogni stagione in un colore
nessuno sorride dell’acqua
che si fa ramo
e uncina la prima strada
verso il bosco
perditi il sogno…
perditi il sogno
resina animale
profumo che porto
nella notte di angustia
comprendi
è la carezza vagabonda che
tira la testa
celeste e con un soffio
la carezza gentile è lei
è lei mi beve
ti sei fatta vento…
ti sei fatta vento
di lontananza marina
silenzio
quando soffi
scendo a chiudermi
nel cuore della terra
per non tremare di ricordi
asciugami…
asciugami
la voglia la frangia
il punto oscuro della noia
senti sabato scoppia
mistericamente fiorirà un nome
la canzone l’immagine
tua
dalla ferita ferita
sta mutando il giorno gelsomino
in festa al fine in festa
da TOTÒ
Dove inizia un altro tempo
ci penseremo
insieme credendo
un’immagine di noi sibilanti
torni
così stretti nel lamento
mi penserai
quando l’ora tempera il cervello
e quattro luci nella stanza…
acerba fuggitiva
prese le scale
dove inizia un altro tempo
papà…
papà…
se sapessi…
il tuo orologio mi funziona…
come dirtelo piano
all’orecchio
da vecchie foto aeree
sorreggendoti le palpebre…
trascinarti a me
nella pianura dell’oro
e lentamente
togliere le ossa
all’ora
rimanendo figlio
dentro
e al polso la tua voce
Polpa
bosco che s’inclina
una strada d’acqua
sottovento
chiedimi tenacia
tra le foglie della trafittura
e fiorisci tutta vicinanza
orlo di nuvola
oltre le mura
della città antica
versami la polpa di ciliegia
rossa rossa
il nettare sul petto
così sangue pare
tra le dita premute
il groppo lucido dei frutti
mentre sorridi
e accenni nel morso
un’infinita accoglienza di dolore
da STANZE D’ARGILLA
di abitarti…
di abitarti girarti svegliare
l’età dei ventinove anni farti
il segnale quello all’angolo dell’occhio
nella vasca dell’appartamento sulle spalle
gonfiarmi dal sottopasso alla luce
strapparmi le ultime contese il ritegno
bianco treno setacciare i seni agitati
grandi di levigarti le labbra
ne ho fatto una sacra abitudine
meglio restare amici saperci
uguali appartenerci un po’ per pochissimo
come è…
come è
tenerti così
sillaba
fra i denti
serva di dio
nei seni della notte intiera
credimi solo
gemi per sempre
veloce
pagina
indica il passaggio
avvicinati goccia
da PADANIA
nel fango…
nel fango
biancheggiano l’urlo delle rane
e il dolore marmoreo dei cipressi
per un sentiero
a siepi conventuali
e piano va
verso colline
tacito e turchino
l’uomo del campo
con la sua ombra bara
alla luna
nel tumulto del cespuglio
c’è la smorfia di una rosa
sulle ultime foglie gennaie
che l’olmo campestre staccò
dalla capanna illuminata
esce un’orma di farina
mentre un cane azzurro canta
alla luna del Po
non so più se in croce…
non so più se in croce
lassù è il legno la pietra
o il colore
se il tuo sangue è di plastica
o catrame
anche se soffri
e soffri ancora
cristo morente
nei campi nella sera
da VERSO LA SETA
okay
non c’è poi una differenza
tra il palcoscenico di luce
e il deposito delle marionette
certo
i vestitini sono di repertorio
la meraviglia di una morte aperta
come il libro della sapienza
non può mancare
ma… giù il sipario
sai… si sta bene qui
in questa
ovatta qui
si sta proprio okay
da FACCINA
cosa ci resta…
cosa ci resta
senza terra dove andare
se non salire
senza cielo dove sparire
se non dormire sulla collina
in questo autunno mugghiante
di sonno sugli scogli
se non aprire un varco
per un perduto paradiso
esilio per il nostro coraggio
prezzo del viso in attesa
mostra la lingua del viaggio
appesa a una domenica
cosa ci resta
senza tempo da giocare
se non partire
senza strade da tracciare
se non sparire
senza figli da generare
se non dormire sulla collina
con la bocca sulla bocca
di una morta bambina
potessi venire a prenderti…
potessi venire a prenderti
anche senza braccia come un avanzo
brandelli di carne
sibilando un cambio di destino
oh se venissi a prendermi un sabato sera
starti lì a parlare spiegarti la morte
o meglio farti capire cos’è
quella luce in camera mia
trasformandoci identici
unico sangue piange un amico
il frutto della polvere antico petalo
amore rapidamente in trionfo
tonfo del ghiaccio si sente
portandomi una bianca bara la mente
oh venissi a prendermi stasera
troveresti il pacco pronto
una valigia di fortuna
con la vergogna di una paura grigia
confusi cantando…
confusi cantando
strada del buio
fumando castigo
vinti da nuvole
stretti in catene
martirio di mare
soltanto chiedere
quanto fa bene
saperti tornare
ombra dolcissima
faccina santa
in questa minima
casa sul cuore
da LETTERE DAL FRONTE
delle sere d’estate in Lombardia
ho una nostalgia infinita quasi dolorosa
delle sere d’estate in Lombardia
i nostri laghi la mia Milano
sole che tramonta sul Parco
via della Moscova tutta dorata fino
in fondo ai Giardini dall’asfalto
il fiato caldo del catrame si alza
qui invece seduto su un tronco
solo in mezzo ad una boscaglia
a guardare l’immensa pianura gialla
aspettando l’attacco del nemico
anche la cartolina di Giorgio da Canzo
ripete un tramonto sul lago del Segrino
quanti punti ricordi
la littorina il campo sportivo
forse non vi vedrò più
sospiro a una formica
mi sale piano sul braccio
non sa mica che potrei ucciderla
una carezza sul petto
isolato da tutti
oggi salvo da un’esplosione al tritolo
ho dentro schegge nella carne della spalla
braccio sinistro immobile
una mi buca il taccuino
che porto davanti al cuore
si blocca senti senti in un foglio da 10
esistono gli dei?
una carezza sul petto
con ghiaia fra i denti miei
all’arma bianca
carburante annacquato
poche gallette
tra le dune trincee
sdraiati respirando
roselline del primo marzo
bare di sabbia
circondati dal nemico
domani andremo
all’arma bianca
speranze zero
siamo allo stremo
che io non venga catturato!
Ti prego
prigioniero no!
semmai sbranato
forse saranno questi due lucertoloni sciocchi
che ci dormono accanto come mostri d’amianto
a mangiarmi subito coglioni e occhi
da FIGLIO DEL PADRE
ogni giorno
il mio ruolo
essere solo
ogni giorno muoio
è vero solo in parte
eco d’esistenza
bambolina sola tiepida
eco d’esistenza
gustata pena appena
trepidante mente sospesa
roba che non si rinnova
inizio di una fine la mia
che non sa di terminare
eterno mare via confine
figlio del padre
non vengo per caso da un qualcuno
son figlio del padre di mio padre
figlio del padre servo di nessuno
un grande padre capace di chiedere perdono
sfidare i giorni gridando d’amore
capendo i propri limiti che sono con l’occhio
nello specchio agitato del cuore
figlio del padre servo di nessuno
certo che tutto sia stato scritto già
dannazione dubbi rugose mani di un bambino
aspetta nel silenzio destino del suo sguardo
ciò che sa
da CASA DI PASSAGGIO
bordell
in ‘sta nazion
de cojon
volen stronz
istess che pivion
‘na marmellada
moltiplicada
la manden giò
fina a ingolfass de melgasc
a ingossass de spegasc
sentissela corr giò per i spall
la spuzza de brugna
spuasc de rogna
de quaj slandronna
bordell——-= rovina
pivion——–= piccioni
melgasc——= chicchi di granoturco
spegasc——= aborti o scarabocchi
brugna——-= cimitero
spuasc——–= sputacchio
slandronna—= bagasciona
trottola
senza pietà
vuota
a fatica
pirla la ruota
della mia vita
che se ne va