Roberto
SANESI
Roberto Sanesi è nato nel 1930 a Milano, dove è vissuto ed è morto nel 2001. I suoi libri di poesia: Il feroce equilibrio (Guanda, 1957), Rapporto informativo (Feltrinelli,1966), L’improvviso di Milano (Guanda, 1969), La cosa scritta (Guanda, 1981), Recitazione obbligata (Guanda, 1981), Il secondo profilo di Alterego (Seledizioni, 1982), Téchne (Scheiwiller, 1984), La differenza (Garzanti, 1988), Senza titolo (Book Editore, 1989), Dialogo di Yuste (Book Editore, 1991, teatro in versi), Visible (Book Editore, 1991, scrittura visuale), Mercurio (Scheiwiller, 1994), L’incendio di Milano e altre poesie 1957-1989 (Book Editore, 1995, antologia a cura di Vincenzo Guarracino), Il primo giorno di primavera (Book Editore, 2000), L’interrogazione infinita: Roberto Sanesi poeta (a cura di Giuseppe Langella, prefazione di Giovanni Raboni, Interlinea, 2004), Dieci poemetti (La Vita Felice, 2009). I suoi libri di prosa: La polvere e il giaguaro (1972), Malbianco (1980), Lettera seconda (1980), Carte di transito (1989). Come traduttore si è occupato di Dylan Thomas, T. S. Eliot, Byron, Blake. Ha curato le antologie: Poesia inglese del dopoguerra (1958), Poeti americani 1900-1956 (1958), Poeti inglesi del ‘900 (1960), Poesie scelte di Salvatore Quasimodo (1960), Poeti metafisici inglesi del Seicento (1961), Poemi anglosassoni (1966), I centouno capolavori della letteratura inglese (1966), Le 100 poesie più belle della letteratura italiana (1990).
https://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Sanesi
http://centromanoscritti.unipv.it/collezioni/archivi-letterari-2/37-fondo-roberto-sanesi.html
POESIE
Epigramma
Tranne l’arte, che è già da tempo dannata
dalla curiosità degli inferni o dall’indifferenza,
gli angeli mi disturbano, ma
non mi colgono mai di sorpresa quando vengono
a offrirmi frutta di cera perfettamente imitata.
Quanto a me preferisco una mela bacata
alla loro solenne, presuntuosa pazienza.
Il martin pescatore
A colpi d’ala ho visto
ridurre una nuvola al grafico
d’una sezione di nuvola, segmenti
tratteggiati d’azzurro e la parola cielo
scritta a inchiostro di china al limite più alto:
mi sono chiesto come potesse muoversi in ascissa
su quelle alture geometriche se il vento
aveva già deciso la sua direzione.
Verso l’inverno
Sempre in accordo con la mala cosa
le canne del bagno risuonano
di pomeriggi fauneschi, e la paura
tutta sghimbescia come un allegro bastardo
fa il verso a un piovasco di secoli. Ora
non posso più dubitarne: quest’Europa trotta
verso l’inverno con un piede solo.
Arco di luce
Traccia un arco di luce alla finestra, un volo bianco
di passeri, inverno, che non rifuggono mai
da queste mura, e un fiore bianco, una natura morta
nemica fatta a immagine di noi. Rifiuta il fuoco
snello sopra le alture, il bucaneve
di Dio, ma esisti con gli oggetti, unisci
filo a filo la favola e l’idea, aria di libertà
creata e ricreata a un solo scatto
dei tuoi rami pesati dalla neve. Ascolta
come il silenzio brulica alle imposte, e come geme
la pietà in questo freddo. Se Minerva
non discende la notte coi sinistri
occhi d’intelligenza, accuseremo il cuore
della sua gravità che ci conduce al centro della terra.
Improvviso n. 3, le scale
Che il pozzo non si apra: guardare: tra le foglie
scure a forma di fiamma e lanceolate, negli angoli
liberty delle scale, ad ogni pianerottolo, aperte
tra le lampade azzurre di cristallo: guardare:
e si vedrà nei vuoti la mascella, un calidarium
funebre quando il passo arranca sulle scale
con le suole di gomma.
Attendere il respiro,
che il respiro si liberi dal peso, e per un attimo
toccare i ferri a spirale, volute, organismi, una mano
poggiata al legno continuo che si perde, una foglia
nella screpolatura dei muri polverosi, e per un attimo,
ancora,
trattenere il respiro, una mano, attendere il repiro
prima della salita. Guardare: e si vedrà nei vuoti
quella mascella aperta.
Non fatemi una predica. Non ditemi
nulla.
Lo so che arriverò fino alla porta.
Mi accoglieranno.
La poesia non migliora con gli anni
…gli scarichi, le stampelle, lo chagrin, la via crucis,
i palinsesti della ragione, le sanies,
le dramatis personae che si dilettano
con decadenti concetti da caserma, i pidocchi
degli antenati, i monologhi…
anche a voler considerare la pietà e la polvere
stratificate dal vento e dagli accadimenti
fra un elegiaco e un Seneca, e la voglia
di tirarsi la vita sulle spalle, strappandola
a tante malattie della scrittura
…e le rughe, le feci, le trasgressioni, gli umori
infetti, gli amori purulenti, le gaffes, i giullari
con il naso infiammato e le parole a pezzi
e le malinconie dialettiche &endash; freddi
psichiatri naufragati a Capo Horn
secoli addietro
resta fermo il fatto
che tutte queste sono giustificazioni
accettabili prima
ci cadono i capelli
il mattino
delle giunture elastiche, delle visioni solari
nel becco dei merli impazziti, degli occhi chiari,
del gusto della menta nei giardini
inzuppati di pioggia e di intenzioni &endash; le acque
lustrali, si direbbe &endash; non si sa mai
quando comincia a fiorire
…e le gambe
divaricate, i colpi di fischietto, le confessioni, le sabbie
della storia, le ipotesi, le petizioni, le unghie
che non graffiano idee, la lingua che non batte
sulla coscienza…
se è vero
che della vita ti accorgi guardandoti allo specchio,
la poesia non migliora con gli anni.
Cosa si può vedere
Oh le incredibili vecchie, le strepitose
fantàsime dell’aria, stravolte…
poiché talvolta basta un vento secco, un leggero
stridere di cicale fra i baccelli, e subito
fuggono a intrufolarsi in qualche angolo
della tua mente. Pensavi che fossero idee.
Gonfiano invece solo per un attimo
luoghi del tutto impropri, si staccano
come sospinte da un peso verso terra, dove
approdi banalmente. Non è che non vi sia
qualche rapporto: ma la natura si sposta
in modo così rapido, e solo se dimentichi puoi dire
di averle viste davvero.
XI. Frammento, dicembre
Attraverso la neve, dal giardino, sale
quell’aria delle fragole che allora, con fragile
incrinatura, Montale canticchiava con il capo
piegato sopra un piatto di minestra.
Ora che alla finestra il gelo si rapprende,
una minuscola bava spezza il cerchio chiuso
fra le labbra e la voce, ridiscende al vuoto
di un cielo annuvolato di dicembre:
noi restiamo quaggiù, senza più attendere.
La mutazione del vuoto
L’aria istruisce il vuoto, e tuttavia il nome
della sua identità resta sospeso, e la forma
costringe quasi sempre a un compromesso.
Piega, connette, struciola, si inchioda
come la coda d’una rondine nel bosso, e di sera
diventa una lanterna, un pipistrello. Lo sguardo
alla finestra misura con la squadra falsa
qualsiasi fanatismo. È così, lo sappiamo,
l’aria sempre rigenera nel vuoto
le sue perplessità, ma non c’è mai nessuno
a dubitare della sua ragione. Per questo
siedo talvolta sotto gli alberi, e osservo
l’insigne esaltazione delle stelle fisse.