Michele
GENTILE
Michele Gentile, paroliere, aforista e poeta, è nato nel 1972 a Ostia dove vive. Ha pubblicato di poesia: Sassi nel Fiume, Lungo il Sentiero, Io abito qui, d’Amaro e d’Amore, Ordalia, Nomenclatura di un tramonto, Aforismitudine, Il Dono, Ostia, L’urgenza della pioggia, Come il mare, Io dal mare, Mi costituisco a Modena. È l’ideatore e il fondatore della nuova corrente poetica del “Melinconismo”. Laureato in Lettere, è ideatore e organizzatore del premio internazionale di poesia per bambini e ragazzi “Un Mare di Poesia”, ideatore e curatore del Festival Nazionale di poesia “La Rocca dei Poeti”, ideatore e organizzatore della rassegna culturale “Lettere in Viaggio”, ideatore e organizzatore di “Versi Liberi” laboratorio di poesia per Istituti Penitenziari, ideatore del Premio nazionale di poesia inedita “Stefano D’Arrigo”, ideatore fondatore e promotore della Nazionale Italiana Poeti.
POESIE
Per ogni mia solitudine
Esistono un mare, un popolo e una preghiera
per ogni mia solitudine.
Una guarigione
e nessuna salvezza.
Esiste un presagio, esistono sciagure che ostentano
callide promesse
per ogni mia solitudine.
Un amico che parte
l’inverno che torna,
le mani di mia madre che pronunciano lacrime
le labbra di mio padre che tremano.
Così a volte torno
per non farmi trovare
e questo ruvido,
straziante sapermi ancora vivo
mi divora l’anima.
Esistono prodigi, verità e notti che sanguinano
per ogni mia deriva.
Le chiavi di casa,
l’odore della pioggia
una poesia che chiede d’esser taciuta
mentre l’ultima luna
mette radici nel mio petto.
Ultimo
Sono l’ultimo della mia stirpe
Rupe di mare.
Sulle mani
vene che non ho scritto
ma che mi attraversano.
Un giro intorno alla memoria
che si finge cieca e muta
al passaggio della mia storia.
Sembro. Divento. Sono.
E lo devo ai sogni.
Mi perdo e non mi perdo niente.
Come il mare
Come questo mare
mi strazio
mi tormento
mi accanisco
mi lacero
mi logoro
fremo
poi
mi placo.
E ancora
infurio
mi frantumo
mi dimeno
mi contorco
irrompo
quindi
mi abbandono.
Come il mare
non so darmi pace,
come questo mare
non mi lascio stare.
Mi ignoro
mi chiamo
mi violento
mi infrango
mi anniento
e
urlo
rimbombo
calpesto
fracasso
devasto
rovino
soverchio
mi pento
me ne vado
mi cerco
mi vedo
infine
mi perdo.
Nessuno sa
Nessuno sa quanto ti amo
non il cuore mio
distratto com’è dall’amore.
Nessuno sa come ti amo
nemmeno i miei occhi
attenti come sempre
al tuo sguardo.
Non le parole
che ti raccontano
né le stagioni
che ti assaporano
nessuno immagina quanto ti amo
neppure queste labbra
a te devote.
Non sapevo si chiamasse mare
Lo conobbi prima di incontrarlo.
Lo chiamai pace, inquietudine
poesia, moltitudini.
Non sapevo si chiamasse mare.
Dalla sua voce imparai il silenzio.
Dai suoi orizzonti la liberta’
nei suoi abissi il mio approdo.
E le tempeste, le furiose onde.
I venti, la risacca, isole lontane.
Non sapevo si chiamasse mare
ma grazie a lui smisi di cercare
Fragile
Non ti accorgi, non sai
quanta poesia indossano i tuoi sguardi.
Quando corteggi i vasti orizzonti
che s’inchinano al tempo,
lembi d’azzurro derisi dal vespro
null’altro che misera grandezza.
Non vedi, non puoi
comprendere quanti giorni
doni al mio passato
quando plani sul cristallo della sera
e dipingi la perfetta traiettoria
in direzione dei miei abissi.
Tu,
maestosa vela
spiegata verso il rimpianto,
non sai, non ti accorgi
di come io sia,
senza il tuo amore,
la più fragile delle notti.
E piove
Resto ancora un po’
su questa riva
a farmi compagnia.
L’orizzonte è una lacrima
che s’inabissa
a largo delle mie ciglia,
il vento spazza via
l’approdo delle labbra.
Tutto tace
dentro
e fuori di me.
Mi perdo
nella geografia
di questo vetro,
Mi vedo tornare
tremendo,
senza tempo
come una maledizione.
E piove.
Al quinto giorno di vento
Me ne andai senza una scusa.
Sull’orlo delle labbra
si strapparono parole d’addio.
Volarono via come foglie secche
dal ramo. Un foglio ingiallito
rimbalzava per il vicolo
oroscopi e defunti.
Ero dove mi ero lasciato,
in verticale attesa di un brivido
che ricucisse il mio intimo abbandono.