Marco
FAZZINI

Marco Fazzini è nato ad Ascoli Piceno nel 1962 e vive a Vicenza. I suoi libri di poesia: Nel vortice (1999), Driftings and Wrecks (prefazione di Chris Wallace-Crabbe, 2010), 24 Poems (con una nota di Douglas Dunn, 2014), Riding the Storm: Ten New Poems (introduzione di Douglas Reid Skinner, 2016), Canto dell’isola (con scritti di Alberto Casadei, Valerio Magrelli, Andrea Molesini, Gian Ruggero Manzoni, D.R. Skinner, Flavio Ermini, 2020), Poesie scelte (2020). Ha tradotto alcuni dei maggiori poeti contemporanei di lingua inglese, tra cui Philip Larkin, Norman MacCaig, Charles Tomlinson, Hugh MacDiarmid, Douglas Dunn, Edwin Morgan, Kenneth White e Douglas Livingstone. Le sue conversazioni con poeti di lingua inglese sono riunite nei volumi: Conversations with Scottish Poets (2015) e The Saying of It (2017). Tra i suoi volumi di saggistica: Crossings (2000), Alba Literaria: A History of Scottish Literature (2005), Canto un mondo libero (2012), At the Back of My Ear (2020). Ha ricevuto il Comparative Literature Association Translation Prize (Londra) nel 1995, e il Premio Internazionale Alpi Apuane/Voci d’Europa nel 2016. Insegna Inglese e Letterature Postcoloniali presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, ed è l’ideatore e il direttore artistico del festival di poesia e musica “Poetry Vicenza”.

marcofazzini@hotmail.com

FrançaisEnglish

POESIE

da NEL VORTICE

St Andrews
Ho camminato lungo questa spiaggia
un pomeriggio, e poi ancora un altro

smuovendo i piccoli segreti
di conchiglie abbandonate
dentro un fiordo.

Domani saranno forse sabbia,
o detriti che la storia avrà dimenticato.

Un grande corvo sopra un palo
mi scruta dentro il vuoto.
Domani sarò già partito.

Welwitschia mirabilis
Un assegai piantato tra dune
e venti e ritorni di dune
gravita ora nel tuo occhio
di conifera nana pulviscoli
di carne e di osso annotati
dal tempo sopra fogli di nebbia.

Bevendo, bevi tristi battaglie,
fondi d’attese, millenari kraal
deserti, motivi pizzicati sull’arco
d’un boscimano solo che s’attarda
sul tuo cuscino di foglia e trema
nella scheggia d’un sogno.

da DRIFTINGS AND WRECKS

Andrò domani
Andrò domani a un altro porto,
dove sono già stato, dove sono già morto.
Vi tornerò. E, di là, guarderò l’ultima rotta,
un destino perduto, una vena d’acqua
che le mie mani hanno goduto.

Tutto scorre in ruote di mistero,
un verso difficile che ascolto di lontano.
Ma cos’è quella distesa di onde e luce,
dove l’occhio cuce vegetazione e sangue,
la pretesa d’un astro che muove piano?

Difficile amicizia la malinconia.

Un’onda
C’era un’onda che non dormiva;
era ladra e assassina
fino a notte fonda. Del vento
si cibava, e della pioggia,
sotto la luna, e con il ventre gonfio.
Digrignava i denti sulla spiaggia.
L’ascoltavo frantumare detriti
e rottami, ingoiare
quello che non ricordava più
la sua natura: roccia, vegetale,
umore minerale della terra.
Qui il reale
trasforma le sue parti,
ma tuffando una mano
tra le pietre
il sangue balza ancora
dal vortice del tempo.

Rimango un poco
Rimango un poco
fermo a largo.
La solitudine del mare
è calma, impenetrabile,
come la foschia
che infine s’alza
all’orizzonte
a disvelare i volti,
le linee del porto
verso cui dirigo.

L’ostinazione del tempo
salpa l’ancora
e allora mi lascio
trasportare alla deriva,
con un carico d’errori,
un fremito pressante
nelle ossa,
le lacrime,
e un otre sorridente
di vino nella stiva.

Ma di che parlo io se non di barche?

da 24 POEMS

È sullo specchio
(per Seamus Heaney)
È sullo specchio speleologico
D’un pozzo che m’affaccio, cercando
un segno del passato
che nel presente porti
luce e strada a futuri eventi.

Dal tuffo dentro il tempo strombato
in questa storia d’acque
emerge dunque il reperto favoloso,
onda, amore e sonda d’oltre i sogni,
un’era ormai a riposo.

Da qui lontano un bosco,
un volto una cornice
amplificano l’oscuro enigma
sepolto dentro la pupilla della sera.

Ogni cosa
(su una foto di Eugénio de Andrade col suo gatto)
Ogni cosa su quel tavolo
mostra la sua aureola di luce,
il vino, il pane,
quelle olive cariche del sole
dell’estate ormai declive.
Il gatto è là, la coda
tanto nera, accesi
i suoi occhi tanto grandi,
creatura attenta che dormendo
guarda, e guardando
rischiara la mano del poeta
che corre sopra i fogli,
cresce pagine del libro,
traccia la fiumara
d’un nodo ardente di luce
che su una stella va smorendo.

Alla poesia
Alla poesia non giungi
se non per il candore
d’un gabbiano che ride
su labbra, o nuvole.

Non c’è ora altra strada.

O per il canto d’una dea
che sopra al foglio scuro
intona a squarciagola
il suo buongiorno alle stelle.

Così volevo
Così volevo la poesia:
materia bianca, accarezzata.
Piuma, petalo o carta
al limitare di un’alba.

In silenzio l’occhio nudo
qui vi splende, si pettina di luce,
perché il desiderio
s’infatui d’orizzonti.

Bilancia
Il corpo d’un poema
bilancia a malapena
il carico di vita
all’altro piatto.

Solo l’inganno
dei pesi
pareggia il conto
con le stelle.

da RIDING THE STORM: TEN NEW POEMS

Alla luna
Luna che t’alzi, luna che torni,
Dammi il tuo volto, un giovane volto,
Benché tu sia morta, e conto i miei giorni.

Amica di sempre, di mille soggiorni,
Cambiami il volto, questa vita che ho colto,
Benché tu sia morta, e conto i miei giorni.

Ho a lungo vagato, sognato ritorni,
Ma i misteri di sempre mai ho risolto,
Luna che t’alzi, luna che torni.

Lo so che c’è poco ormai da propormi
Mi perdo nel tempo ch’è lento e m’è tolto,
Benché tu sia morta, e conto i miei giorni.

Odo frusciare e un richiamo di corni,
M’illumini spero nel bosco ch’è folto,
Luna che t’alzi, luna che torni.

A un finto sognare non voglio più espormi
Ma sono felice quando qui io t’ascolto,
Luna che t’alzi, luna che torni,
Benché tu sia morta, e conto i miei giorni.

da CANTO DELL’ISOLA

6
Tutto questo, forse,
non ha una vera consistenza,
l’oscuro, come i fumi della mia esistenza –
questo m’affanno a drenare, questi grumi
di vita dissipati lungo i lustri
vivi come lampi d’un faro
dentro una memoria dormiente,
una memoria da cui non mi separo,
in nulla, io scrivente,
altro da quella non essendo,
da quella e dai suoi mostri.

19
Era da molto
che coltivavo in me
questo canto, questo sorriso
che il mare mi ritorna con la spuma,
col luccichìo delle madrepore,
in un lento sollevamento
delle acque profonde del sogno,
in emersione con àncore e gomene,
un ribollire di movenze
senza altre appartenenze,
luogo e regno
d’un abisso insondabile.
Ma poi, sempre basta
rimanere un poco
seduti in veranda
per ascoltare la vita,
pensare che il mare sta là,
sempre pigro dal sonno,
mentre il sole è rapìto
dentro ai rami,
e dura il corso
della lacrima luminosa
di nessuno.

20
Ave Maria,
Stella maris,
tu sei benedetta,
vergine singolare,
astro fisso, porto salutare,
non permettere il nostro naufragio,
e sempre supplica per noi il Salvatore.
Stella di mare,
di vita un varco rivelatore,
intercedi per noi con le Sirene,
adesso e nell’ora
del nostro approdo finale.
Amen.

TRADUZIONI

ainsi je voulais
Ainsi je voulais la poésie :
matière blanche, caressée.
Plume, pétale ou papier
à l’orée d’une aube.

L’œil nu, en silence,
y rayonne, se coiffe de lumière,
pour que le désir
s’éprenne d’horizons.

À LA LUNE
Lune, toi qui te lèves, toi qui repars,
Donne-moi ton visage, un visage jeune,
Bien que tu sois morte, et je compte mes jours.

Amie de toujours, de mille séjours,
Change mon visage, cette vie que j’ai cherchée,
Bien que tu sois morte, et je compte mes jours.

J’ai longtemps erré, rêvé de retours
Mais jamais je n’ai résolu les mystères éternels
Lune, toi qui te lèves, toi qui repars

Il y a peu désormais, je le sais, à m’offrir.
Je me perds dans le temps si lent et qui m’est enlevé,
Bien que tu sois morte, et je compte mes jours.

J’entends un bruissement et un appel de cors,
Tu m’éclaireras, j’espère, dans la forêt épaisse,
Lune, toi qui te lèves, toi qui repars,

À un semblant de rêve, je ne veux plus m’exposer.
Mais je suis heureux quand je t’écoute ici
Lune, toi qui te lèves, toi qui repars,
Bien que tu sois morte, et je compte mes jours.
(Traduction  Louis-Philippe Dalembert)

 

Welwitschia Mirabilis
An assegai planted among dunes
and winds and recurring dunes
now gravitates into your dwarf
conifer’s eye, the dusty pollen
of flesh and bone recorded
by weather on pages of fog.

Drinking, you drink sad battles,
aquifers of waiting, deserted thousand-
year-old kraals, tunes plucked from the bow
of a solitary bushman who lingers
on your cushion of leaf and shivers
in the splinter of a dream.

St Andrews
I strolled along this shore
one afternoon, and again on another

stirring up the small secrets
of shells abandoned
in a bay.

Tomorrow, they might be sand,
or detritus that history has forgotten.

A large crow on a post
stares at me in the emptiness.
Tomorrow, I will be gone.

This is How
This is how I wanted poetry to be:
white, caressed matter.
Feather, petal or paper
on the edge of a dawn.

In silence, the naked eye
shines here, is combed with light,
because desire
is infatuated by horizons.

Island Canto: 6
All of this, perhaps,
has no real consistency,
is obscure, like the fumes of my existence—
which I’m anxious to drain away, these clots
of life dissipated over half-decades,
alive like lighthouse flashes
inside a sleeping memory,
a memory from which I cannot separate myself,
in nothing, the I who is writing,
being nothing other than the writing,
nothing but it and its monsters.

Island Canto: 20
Hail Mary,
Stella maris,
thou art blessed,
all-excelling Virgin,
fixed star, welcoming harbour,
keep our ship from foundering,
plead for us always with the Saviour.
Star of the sea,
lighting our way,
intercede for us with the Sirens,
now and in the hour
of our final landing.
Amen.

Torna in alto