Gelsomina
PERILLI

Gelsomina Perilli è nata nel 1979 a Calvello (Potenza), dove vive dal 2024 dopo aver vissuto a Varese per un ventennio. Ha pubblicato di poesia: La vita a piccole dosi (Booksprint, 2010), Sui miei passi in-versi (Booksprint, 2016), Calligrammi (Monetti Editore, 2021); un saggio filosofico, Tra ombra e luce… Tra Innamoramento e Amore (Booksprint,  2016, 2a ediz.) e una raccolta di aforismi Parola? Presente! (Monetti Editore 2020). È presente con i suoi testi in cataloghi e antologie come la collana “Orizzonti” (Aletti Editore, 2017), il volume d’Arte e Poesia Biennale Milano Art Meeting (Mondadori, 2019), la rassegna Universum Basilicata (Universo Sud Edizioni, 2025). Ha ricevuto numerosi riconoscimenti per le sue raccolte poetiche tra cui il Premio Internazionale Città di Cattolica Pegasus Literary Awards, il Premio Salvatore Quasimodo, il Premio Internazionale Il Federiciano – Il Paese della Poesia. Nel 2024 il volume di poesie visive Calligrammi risulta tra i vincitori della Biennale di Letteratura a Sondrio e del Premio Nazionale G. De Lorenzo.

gelsominaperilli@gmail.com
https://gelsominaperilli.wixsite.com/scrittrice
https://www.unilibro.it/libri/f/autore/perilli_gelsomina

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POESIE

da CALLIGRAMMI

Cos’è?
No, non è l’altalena!
Troppo virulenta come un’arena.
No, non è l’abbraccio!
Troppo largo come uno spazio.
No, non è la vetta!
Troppa pena come una vendetta.
No, non è la via!
Troppo solinga come la malinconia.
No, non è lo studio!
Troppo smarrimento come un sotterfugio.
No, non è una sola cosa!
Troppo acervo per cogliere una rosa.
Essa è il pensier che oscilla come un’altalena
e rincasa in un abbraccio.
Essa è un Dio che si leva come una vetta
e illumina la piana via.
Essa è la sofferenza che arricchisce lo studio
di una sola cosa, l’esistenza.
La Poesia!

Luna
In questa notte un furfante nugolo
ha inghiottito la tua corona regale
e io vado cercando a mo’ di frugolo
i tuoi diademi dall’ugola di cicale.
Deh mia unica e sola amica
ti sei dissolta al cantar del gallo
come lo spettro di Amleto in ballo
tra la morte e la vita nemica.
Salpa con me questo pelago notturno
e attracca il sorriso in riva alla mia loggia
dove ogni notte si distende la mia piaggia
e mi lascio baciare dal tuo sole diurno.
Desio incoronare il tuo capo d’alloro
di liriche coltri che imbottiscono il mio letto
accompagnate dal tuo chiarore sonoro
come a Giulietta gonfiarono il suo petto.

A Isabella Morra
In su dalla ruina e selva incolta
stride la ricordanza d’intriso dolore
ne’tuoi aspri fiumi traghetta un fiore
e’l petal srotola l’ode tua sepolta.
Va governando l’etra di cilestrino
col guardo egro e’l gentil petto affranto
per coniugar la frale alma al suo destino.
Deh! S’è ver che il talento si ruba al pianto
Come ogn’ore a Dio l’eterna luce
è speme il tuo musicar in questo mar infranto
là, dove la musa spira e pari al ciel riluce.
D’in su l’immortal vetta echeggia il canto
Come, ivi, il mio poetar può negar
commozione e vanto?

La morte
La morte è la vita d’un vestito
che una sarta pazientemente cuce
filo dopo filo come un prato fiorito
e ora dopo ora ruba al capello la luce
per enfiar di nettare il suo ventre ingrato
ch’è pe’l più bel fior il destino truce
spogliandol del respiro e coglier ad amato.
Sforbicia la trama il ciel di primavera
e rammenda i buchi d’un cuor scordato,
attaccando allo stelo i bottoni in balera.
Allunga le maniche il nugolo d’inverno
come l’ore pe’l poeta la fiamma della sera
che sazia la sua anima dal petto materno.
La morte è la vita d’un vestito liso
che brucia lentamente nell’inferno
e ruga dopo ruga scuce il sorriso.

Pioggia
Questa fitta pioggia pettina l’aria
stira tostamente i miei crespi pensieri
dirada il mio capo a opra statuaria
chiude la mia cella alle arti e ai mestieri.
Questa fitta pioggia innalza prigioni
ai festosi augelli bramosi di volare
ai ratti uomini desiosi d’arrestare
le lancette del tempo dei loro padroni.
Questa fitta pioggia m’obbliga a udire
che l’accento più forte è quello del Signore
ché con l’altre genti è vezzo a stordire
e il nostro senno è il primo detrattore.
Dietro una finestra accendo la tua rabbia
m’urli a perdifiato la tua sacra sofferenza
ti beffi di me avvistandomi in gabbia
scordandoti ch’io canto la tua onnipresenza.
Questa fitta pioggia ha dipinto a righe
nel petto sconsolato delle mie ferite
i fantasmi invenduti nelle botteghe
e denudandoli colla tua acqua le ha guarite.

Dove ti sei nascosta?
Mai avrei creduto di salir su per il monte
con gambe ormai mollicce e vista velata
a cercar come i dannati su le rive d’Acheronte
di passare tra fusti e fronde in siffatta nottata.
A guisa di Creta navigai nelle mie lacrime
contando d’incontrar come Dante il suo poeta
che guidò l’intelletto e’l cor a passo unanime
dacché scappai a inseguir lei, la mia cetra meta.
Scelsi le cinque punte a rischiarar il bosco
ché maledetto fu il suo desio d’aprir rostro
e spartir la luna in opulenti spicchi al fosco,
tostamente il suo baglior divenne mostro.
Deh mia musa, dove ti sei nascosta?
Prima di spingermi qui aprivo la tua posta
e cantavi la tua nenia sotto il mio cuscino
che partoriva sonetti come il dente d’un bambino!

Sono, non sono
Sono

Una poesia celata
——-Una pagina accartocciata
——-Un fiore calpestato
——-Una foglia arrotolata                                   
——-Una nuvola scongelata
——-Una stella bruciata
——-Un talento sprecato
——-Un inchiostro svuotato
——-Una fiamma capovolta
——-Una parola slacciata
——-Un mare asfaltato
——-Una sorgente inaridita
——-Un amore sfiorito
Non sono

da SUI MIEI PASSI IN-VERSI

Pozzi d’incoscienza
Sommossa insurrezionale nella valle secolare
Popolata di respiri anche senza lavorare
Royalty mondiale per dante comodato
I figli dei briganti avete scomodato
Che indossano sulle spalle le valige di emigrazione
E secernono dai loro occhi lacrime di rassegnazione
In onore ai propri cari che partirono dal Meridione.
Decenni son trascorsi da quei fiumi peregrini
Ma oggi il Settentrione ha dislocato per caricar quattrini
Colossali marchingegni irradiano ora la vallata
Fortunato a chi un giorno potrà dire l’ho scampata!
Un tempo era ignota a tutta la nazione
La terra che oggi ha calpestato lo stesso terrone
Politici che avete venduto l’inferma speranza
Sarete un dì trivellati come pozzi d’incoscienza
Dai quali avrete pur sì estratto l’oro nero
Ma destinato tutta la vostra gente al cimitero.

In sogno
Tu che calpesti il mio orto recinto
e semini tempeste nel mio cuore dipinto
di orrori invisibili sotto un manto aperto
perché camminano a volto scoperto
i tuoi passi che nella notte scostano la coperta
E spogliano la mia anima di polvere deserta
E prosciugano le mie lacrime in grani di sabbia
E vestono i miei occhi di paura e rabbia.
Tu che consoli la mia vigna matura
e raccogli gli acini della mia mietitura
di lodi ed inni in un cielo nebuloso
perché odono solo in covo rugoso
i tuoi orecchi che vagano su Elisi algenti
E raccolgono le mie gocciole da stelle cadenti
E riparano i miei gemiti da moto furibondo
E vangano i tuoi bisbigli nel mio giardino moribondo.
Tu che rintani la mia materia tra queste mura
e cavi dalle mie lucerne trecce di tessitura
Io che attingo vita dai sogni durante la sepoltura
perché a proteggermi non basta la mia sola impalcatura.
Tu che conversi con le rime di un saggio
e nelle tenebre m’infondi il coraggio
di una distanza giammai seppellita
perché il tuo ricordo è per me battesimo di vita.

Ma che ne sai tu
Tu che vieni da una terra agiata e fertile
Dove ai campi di grano supplisce la moneta facile
E da fanciullo i doni non fluttuano solo da una calza
Tra le cinte adombrate di una preghiera in sobbalza
Col l’anelito nel cuore e l’amuleto in tasca
Di un futuro venturoso e privo di burrasca.
Ma che ne sai tu
Di quando l’etere ottenebrò le stelle
E da ogni inerme anima strappò la pelle
Cingendo l’ignudo corpo in un bruno mantello
E rintanando con perpetuo riposo il petto in un baccello
Che tenzona furioso sull’uscio il suono latrante
E scaglia s’un letto di morte il dolore accecante
Ma che ne sai tu
Di un padre che affossa i sensi sotto la terra
Con la corporea salma di una vita già estinta
In tana col grugno ma il sospiro in guerra
E qualcuno pensa che sia pure per finta
Ma che ne sai tu
Di un convoglio che ha disseminato le fitte vesti
Di un nucleo già infermo quanto Tu ci crocifiggesti
Sradicando ciò che Madre Natura ha congiunto
In una Sacra Scrittura feconda di lemma defunto.

Lesti versi
Nel buio mi picchiettano in testa,
mi rincorrono come gocce in una tempesta
quei versi che non ce la fanno ad aspettare,
perché s’agghindano di china e bramano di crogiolare
tra il suono di corde che faranno vibrare
e il taglio del cordone sino a luce generare.
Come una cascata sgorgano troppo in fretta
che a dislocare di baracca mi vedono costretta.
Si adagiano sul papiro come una marmotta fa in letargo
e guidano il gruppo come un veliero prende il largo
Rischiarati da lume fioca di una storta candela
ringalluzziscono ad inverarsi come forma
s’una bianca tela.
E quando hanno imbevuto tutto il corvino inchiostro
reclamano la scena e uno chapeau tutto nostro!

Nel buio
Vorrei solo la mente assopire
E nel sonno la trama costruire
Di un castello e un principe azzurro
Che partorisce una fiaba con un sussurro.
Oh vieni a me manto di stelle
E illumina il mio cielo e apri le celle
E copri le ferite sulla mia pelle
E scoprimi le fessure che oramai quelle
Imprigionano insetti diventati elefanti
E serbano odori divenuti maleodoranti.
Oh vieni a me cupola di sole
E assolvi le mie pene se sono colpevole
E frantuma questi specchi che mi vedono riflessa
In cunicoli sotterranei e in balìa di me stessa.
Ma il buio conserva le viscere ancestrali
E di me dipinge variopinte volte floreali
Con petali staccati e scagliati al vento
E steli solitari come colonne in un convento.

Io
Salirò in cima ad un viride colle
per spargere le ceneri della mia vita folle
Coglierò nel mio palmo la rugiada d’un fiore
per rinvigorire il mio brolo dal suo pallore
Stringerò tra le dita il filo d’un aquilone
per librare il mio sguardo su un campo di piantagione
irrigato da speranza e passione inaudita
in passato arato da una mente esaurita.
Schioderò due legni che biforcano il sentiero
e siederò alla Sua destra con orgoglio fiero
Getterò dai miei occhi le lacrime amare
e spazierò i miei iridi di vedute chiare
Spoglierò le mie vesti dal sapore lercio
e sazierò la mia pelle d’amore fradicio
Scenderò dalla collina a piedi nudi
con tutti i miei averi e i saperi crudi.

da Parola? Presente! Aforismi

La poesia si arrampica dalle spine e fiorisce in una rosa.

La poesia è la bellezza della parola che narra, molto spesso, una brutta vicenda.

Le poesie nascono da una benedizione o maledizione del cielo.

L’unica poltrona libera per il poeta è quella della libertà. Le altre sono già state occupate.

Molte penne a stantuffo di scrittori contengono alcool anziché inchiostro.

Occultare la giovinezza migrata equivale ad ostentare una maturità mai approdata.

Quando una persona stolta e una intelligente si incontrano
una delle due deve per forza far finta di aver capito.

Ci sono persone che per mettersi in mostra si lancerebbero da un grattacielo.

Il pregio di esser stolti è di non saperlo.

L’artista è vittima del suo dolore,
succube del suo talento,
donatore del suo dramma.

La felicità è temporanea perché l’uomo è incontentabile.

Soffrire è un atto di coraggio che non tutti sono in grado di compiere.

Essere intelligente ha un prezzo: capire le cose.

Chi ha troppo cervello finirà un giorno col rimanere senza.

Se uno scrittore è valido si legge.

Nonostante il surriscaldamento globale il pianeta diventa sempre più freddo.

TRADUZIONI
——————————————————————————————–Inglese
I have learnt
To walk on roofs to shorten distances
To linger in the fog to chop ghosts
To hide among people to numb quirkiness.
I have learnt
Not to cry among the dead to find God in the living
To stroll on graves to resurrect the Savior
To defuse verbal devices to unpin false heroes.
I have learnt
To crawl on the ground to push away closeness
To cover up in light to blind uncomfortable truths
To break sandglasses to retrieve grains of time.
I have learnt all this to save myself from hell
But forgetting heaven has space no more

Raining, still
They are wiggling, rushing, beating
They want to get there first
Soaking the ground and reviving the inorganic matter.
Their sound is piercing
Like wood in a crackling fireplace.
It is like hearing steps of a military march
The soldiers looking up to the sky and praying
Their hand on their hearts and their eyes the color
Of a nation that does not even know them
And in whose honor they would yet sacrifice their own life.
They are skipping, hopping, chasing each other
With the approaching night they want to hide
And yet come back again with the light,
Those raindrops
Wetting my eyes.

Abandonment
Like petals plucked to discover love
along avenues facing stray dogs’ jaws.
Like clothes dripping in too much sweat
among sunrays’ rows digging their adagios.
And they give off whiffs of bitter nectar
soiling skins of a fair color.
The flower lies down on the ground, crushed
The body kneels down on the ground, naked.

Like a sea-less boat keeps rowing
Across lakes of teardrops drenched in antiquity.
Like a fish-free sky heads to pour down
among the ruddy foggy bricks of an obelisk
And the breast gets caught into a fishing net.
(Translations by Sara Fruner)

——————————————————————————————–Francese

À ma mère
À toi que la douleur a consumée
Et comme un tison tu t’es brûlée
Mais jamais tu n’es devenue cendre.
Des ailes de feu t’ont enflammée
Celles d’un ange t’ont sauvée
Et si ton enfer reste allumé
Lui d’en haut a le bras tendu
Et dans sa main la force pour te défendre
Et dans ses yeux le défi de ceux qui ne se sont jamais rendus.
Comme la reine dans une partie d’échecs
Avant et arrière tu remplis et vides les sacs
Qui pèsent sur ton dos vacillant
Soutenu par la dignité et la morale d’une aliénée.
À toi que la vie a voulu marquer
Mais jamais dans le cœur elle n’a pu te changer
Vide de haine et plein d’amour
Pour moi être ta fille n’est qu’un honneur.

De toi je suis plus fort
Je dois l’admettre
parfois cette pensée funeste est incessant,
trépignant comme un enfant avec son visage amer.
Je voudrais justene
pas être prête quand tu souris à mon depart
avec ton air faux et envoûté par l’appétit
Une fois, je te confesse,
endormie et fatiguée, j’ai médité la surprise
que tu aurais gagnée,
mais j’ai serré la plaie enflammée
que tremblante tu as éteinte.
Bien que cela soit atroce et plus funeste,
de cette pensée, je suis plus forte,
déchire mes vêtements et frappe ton visage importun.
C’est pour mes chers que j’empêcherai de te louer,
mort!

La guerre dans les cieux
Cette nuit, le ciel a déclaré la guerre
à toutes ces âmes au cœur en peine
qui chaque nuit se rassemblent en scène
pour crier de faibles gémissements de la Terre.
Il en a assez de se gaver de copieuses victuailles
sur des tables rondes de penseurs en duel,
occupés à conquérir des spectres dans le cerveau,
tombés de cheval et d’arquebuses vaincus.
Ils chevauchent des hippogriffes avec des visages d’Angélique
en fuite du monstre de l’île d’Ebuda
entre une flamme nébuleuse et une flèche nue
en vol comme Ruggiero avec une passion fauve.
Il s’est fait un champ de sanglante bataille
qui dans la mémoire évoque Guernica
avec la peine de mort pour chaque fourmi
quand sur terre elle est combattue à la manière des vauriens.
Heureusement, ce n’est qu’une lyrique chevaleresque
chantée par un tonnerre, un éclair et une foudre
dans un rideau plombé ouvert à la hâte
pour ces penseurs d’un récit féerique.

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