FRANCESCO LEONETTI

FRANCESCO LEONETTI

… Di Francesco Leonetti una volta Maria Corti ha ricordato l’imperversare incontenibile (sino a farsi, com’è facile immaginare, non meno che esasperante), appunto alle affollatissime riunioni di redazione di «Alfabeta»: «con quei suoi grandi occhi tondi ci fissava, parlava più di tutti e gli piaceva provocare accesi dibattiti fra noi». Ecco, la voce di Leonetti: nessuno che l’abbia ascoltata la può dimenticare. Non a caso darà alla propria bellissima autobiografia (pubblicata da DeriveApprodi nel 2001) il titolo La voce del corvo – ricordando forse l’episodio in assoluto più memorabile del suo lunghissimo percorso: quando prestò la sua voce gracchiante, calabro-emiliana, dalle vocali strascicate sino all’inverosimile, appunto al corvo-grillo parlante che accompagna Totò e Ninetto Davoli in Uccellacci e uccellini, girato da Pasolini nel ’66 (e recitò in altri suoi film, Leonetti: nel Vangelo secondo Matteo, in Edipo Re, nei Racconti di Canterbury). Ma una «voce» inconfondibile è, altresì, quella di Francesco Leonetti scrittore: «uno sperimentatore tra i più precoci e agguerriti del secondo Novecento», lo ha definito Clelia Martignoni. Il suo primo “romanzo”, fra molte virgolette, glielo pubblicò nel ’56 Vittorini nella collana einaudiana dei «Gettoni», col titolo Fumo, fuoco e dispetto. Virgolette d’obbligo: nel testo erano cuciti, con sussultorio filo autobiografico, ben trenta brevi libelli filosofico-sociali che Francesco Leonetti era andato scrivendo in quegli anni: e questa linfa di pensiero, e di polemica, resterà sempre il collante della sua prosa. Come ha scritto Guido Guglielmi, «tutto quello che utilizza Leonetti lo rinomina, lo traduce in una propria lingua mentale», in una costante carica espressionistica «sempre sotto il segno dell’antigrazioso» (Guglielmi paragonava il peculiare “tono” di Leonetti a quello del grandissimo Clemente Rebora: il poeta che, dalla guerra precedente, era tornato col suo medesimo trauma; altro paragone spesso evocato è quello colla poesia filosofica, aspramente materialistica, del conterraneo Tommaso Campanella). Di una delle sue ultime raccolte di versi, La freccia pubblicata da Piero Manni nel 2001, aveva scritto lo stesso Leonetti nel risvolto: «il libro è simile, ahimè, ad una “freccia del Parto” quando è sconfitto o morente, voltandosi all’improvviso, nella leggenda…». Per aggiungere «e però il movimento di base è ora ricominciato nel nostro mondo», e perplesso concludere: «(Poi tutto s’imbroglia?)». Ecco: questa doppia correzione in clausola, e questo punto interrogativo finale, esprimono bene la sua anima sintattica, il suo temperamento cogitante, mai pago delle proprie stesse conclusioni. Era rimasto l’ultimo intellettuale organico del Novecento: quando da decenni, ormai, non era rimasto più niente cui essere organici. Di questa contraddizione era ben consapevole; e tale condizione paradossale ha espresso con una risolutezza amara, uno stoicismo, un’allegria feroce che gli si possono solo invidiare.

Andrea Cortellessa

ilSole24Ore

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