L’AEREA SCRITTURA DI QUASIMODO

L’AEREA SCRITTURA DI QUASIMODO

Nella prima parte della sua ricerca poetica, specie in Acque e terre, Salvatore Quasimodo risente del panismo dannunziano, esalta il legame con la natura unendolo più volte al senso di esilio vissuto nella città. La terra siciliana e il suo mare diventano sue muse ispiratrici. È la fase propriamente ermetica, tutta rivolta al rapporto tra parola-immagine-intimità. I significati sono tutti racchiusi come in un piccolo globo di luce che il poeta tiene racchiuso tra le mani. La terra siciliana dona la sua selvaggia armonia: «Tindari, mite ti so / fra larghi colli pensile sull’acque / delle isole dolci del dio, / oggi m’assali / e ti chini in cuore.» (Vento a Tindari). Il tempo dell’interiorità, quello non cronologico, diventa uno spazio su cui la riflessione e gli affetti del poeta hanno libera espressione e parlano un linguaggio tutto loro. La prima fase della ricerca ermetica di Quasimodo si chiude con il volume antologico Ed è subito sera (1942). Nel 1947 uscì la raccolta Giorno dopo giorno, un’opera che è il frutto proprio di quel passaggio attraverso la guerra; cioè, da questo momento in poi si parlerà sempre (con più o meno ragione) di un primo Quasimodo ermetico e di un secondo Quasimodo, appassionato ai temi civili e sinceramente impegnato a rinnovare l’uomo. In verità, secondo molti critici, questa seconda parte non rinnega la prima, ma semplicemente la completa: l’obiettivo di fondo era per Salvatore Quasimodo la comprensione dell’umano in ogni suo aspetto perché la poesia è «artistica espressione della coscienza popolare» (strano per un ermetico); e «non valida per se stessa» ma per la sua «segreta missione di rinnovare l’uomo». La poesia, dal punto di vista espressivo, certamente cambia. Si fa più aperta, argomentata, esplicita: volta a farsi capire, come se l’ermetismo, compiuta la sua missione di rinnovare la poesia, avesse ritrovato dentro sé quell’impegno civile che aveva rifiutato. Sergio Solmi definisce la poesia di Quasimodo «scarna e immediata, dove l’immagine, colta isolatamente, si affida tutta al tono della voce assorta che la pronuncia, ma in cui, più che l’immagine, più che il verso, l’organismo costitutivo, la cellula elementare è la parola. Ciò spiega come la trama della composizione così spesso s’allenti e si diradi, mentre l’espressione, l’effetto, tendono a raccogliersi nella parola singola, musicalmente insistita nelle sue sillabe; e come gli elementi strutturali guadagnino dalla imprecisione in cui il poeta li lascia, quasi arcate mozze, slanciati frammenti d’aerea scrittura».

Vincenzo Lisciani Petrini

studenti.it

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