FRANCO FORTINI E L’IMPEGNO

 

FRANCO FORTINI E L’IMPEGNO

Il poeta italiano in qualche modo emblematico della sofferta e stratificata scelta dell’impegno è Franco Fortini, la cui produzione in versi, pur essendo quantitativamente limitata, è importante. La poesia di Fortini si colloca, nella più complessa sua esperienza critico-narrativa, dentro la prospettiva di una denuncia drammatica della “realtà sottoculturale” del mondo borghese italiano e il suo impegno nasce da un versante propriamente di consapevolezza intellettuale. Ecco perché, al di là dell’idea di poesia come “strumento di lotta” e di intervento reale, l’esperienza di Franco Fortini affonda le sue radici nella più profonda autenticità, in un nucleo problematico che è quello della tensione interiore. Ma non basta. Di Franco Fortini, ha detto Andrea Zanzotto che “troppo profondo è il suo impegno per ridursi soltanto a una delle varianti del famoso o famigerato impegno e le sue parole sono troppo intense perché si limitino ad essere solo comuni parole, per quanto efficaci. O meglio, al di sotto di quel suo dire che si vuole azione, all’interno di esso (e perfino contro), nasce il dire che è atto poetico, invenzione di forma.” Il discorso insomma va portato sulla qualità stilistica della poesia di Fortini, che è senza dubbio una qualità alta, non solo intensa, e perfino sofisticata, nel senso di elegante e raffinata. Il centro stimolante e contraddittorio della poesia di Franco Fortini è il rapporto tra natura e storia, riportato allo specifico della quotidianità del suo autore, cioè alla realtà del suo vigile lavoro intellettuale (e che Fortini sia stato una delle poche serie coscienze critiche del nostro tempo lo ammettono oggi anche i suoi nemici): Il riferimento di Fortini è drammatico e va alla presunta ricchezza spirituale e morale di quella società che, sulla pelle dei più, costruisce le proprie cattedrali. Il grido che si leva dalla poesia di Fortini è di indignazione per l’indifferenza tragica in cui si consuma il gesto continuo di chi non solo è defraudato, ma tenuto ai margini di quella considerazione e di quella giustizia che sono (o dovrebbero essere) la sostanza rigenerante per tutti. A Oreste Del Buono che gli chiedeva quali fossero le sue più care verità, Franco Fortini ha risposto: “Un rapporto tra gli uomini in una prospettiva che dovrei chiamare comunista. Siccome oggi viviamo una grottesca liquidazione del passato, riaffermo ciò che conta. C’è un Piave. Io sono su questo Piave, pur sapendo che nessun redentore, nessuna rivoluzione cambieranno l’intero mondo e neppure qualche sua parte.” E non a caso l’ultimo libro di poesia di Franco Fortini si intitola Composita solvantur (Einaudi): “si dissolvono le cose composte”, un verso tratto dall’epigrafe per il filosofo Francis Bacon che richiama una memorabile esclamazione del Mefistofele di Goethe: “Gli elementi congiurano con noi / e tutto corre ad annientarsi.” Può darsi che sia stata un’allusione di Fortini al dissolversi della sua stessa salute: una precognizione della fine e della morte. Ma, come è in tutta la sua produzione, il pessimismo riguarda solo l’intelligenza e non già mai la volontà, secondo l’affermazione di Gramsci che gli era cara. E, anche nelle ultime poesie, la consapevolezza della luce che si attenua di fronte alle tenebre non cancella affatto il desiderio (o il sogno) di una lotta senza quartiere per salvare il salvabile, cioè sempre “tutto.”

Paolo Ruffilli

Il Resto del Carlino

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