I “RICORDI DI ALZHEIMER” DI ALBERTO BERTONI

I “RICORDI DI ALZHEIMER” DI ALBERTO BERTONI

A me, che non sono un critico e nemmeno un poeta, la poesia di Alberto Bertoni ha dato soprattutto il senso di una incredibile fisicità, e ovviamente si può parlare per i suoi scritti di profondità, umanità, coinvolgimento conscio e inconscio che afferra il lettore e lo tiene incollato alla pagina. Questi Ricordi di Alzheimer  (Book Editore,  terza edizione) descrivono il rapporto del poeta con il padre malato e prossimo a scomparire, fino alla conclusione che apre il libro: “Commiato”. Si tratta della vicenda dolorosa, tragica, di una famiglia modenese, di una vicenda come tante, che in quanto tale, cioè come frammento biografico, “importa poco o pochissimo”, secondo l’opinione dell’autore; quante famiglie, quanti documenti, quante riflessioni psicologiche o psichiatriche accompagnano la malattia! “Se questo stesso libretto – scrive Alberto Bertoni – giunge ora alla sua terza edizione, fatto raro e singolare per un testo poetico, è perché è stato presto adottato dagli esperti toscani (medici, psicologi, parenti di malati) come una specie di piccolo vademecum”. Ma se pensiamo all’opera, se ci fissiamo sull’opera, il quadro cambia. Ogni scrittura ha radici nel vissuto, proviene da un’esperienza, eppure tra i due lati s’insinua un vuoto, o meglio una trasformazione misteriosa: perché la vicenda è in sé concreta, particolare, la creazione letteraria invece intensifica la vicenda e la rende universale, nel senso che chiunque può riconoscerla e riviverla in se stesso. Goethe voleva sì uccidersi negli anni che precedettero la stesura del Werther, tuttavia il romanzo è assai lontano da quei tentativi (piantarsi un coltello tra le costole, gettarsi dall’alto di un campanile) cui l’autore aveva già rinunciato da qualche tempo. Alberto Bertoni stesso è consapevole che il padre e il figlio di cui parla sono dei personaggi, che la descrittività psicologica o psichiatrica è bruciata, perduta nell’opera: forse, afferma ironicamente, io non ero quella brava persona (preoccupazione, timore, rispetto) che appare nella poesia, e d’altra parte il padre vi appare “più compiuto, più coerente, in definitiva più credibile” di quanto non fosse nella realtà. Occorre riflettere sul fatto che nella falsa autobiografia (ad esempio il Davide Copperfield), come pure in quella che pretende di raccontare una verità (le Confessioni di Rousseau), il soggetto che parla, l’io narrante, è una funzione interna al testo, una parte dell’opera, mentre l’autore è per definizione esterno, in quanto è il creatore, il produttore dell’opera. “A ripercorrere via via – scrive Alberto Bertoni – quasi sempre nel corso e nel contesto di letture pubbliche, le tre successive edizioni di Ricordi di Alzheimer ho finito per rendermi conto della radicale scissione fra le persone anagrafiche e i personaggi veri ma al contempo finzionali che agiscono e si rappresentano in forma linguistica”.

Guglielmo Forni Rosa

L’immaginazione

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