Sara Fruner è nata a Riva del Garda (Trento) nel 1978. Si è laureata in Inglese e si specializza in traduzione letteraria. Ha lavorato come traduttore, consulente editoriale e revisore di classici per Giunti e per altri editori. Ha pubblicato le raccolte di versi: Bitter Bites from Sugar Hills (Bordighera Press, 2018), Lucciole (Supernova, 2019); il romanzo Macondo (Bollati Boringhieri, 2020). Sue poesie sono in riviste e antologie come Graphie, Poeti nelle Cinque Terre, Librobreve. Interessata alla letteratura postcoloniale di lingua inglese (Caraibi, Africa, Canada) ha tradotto autori quali Dionne Brand, Monique Truong, Sello Duiker, Raj Rao e Don McKay. Dal 2017 vive a New York. È docente di italiano presso la New York University e il Fashion Institute of Technology. Con la scrittura, ama frequentare cinema, arte, letteratura, e i suoi articoli sono apparsi su La Voce di New York, CinematoGraphie, Magazzino 23, Brick. Collabora come traduttrice e performer con la Magazzino Italian Art Foundation e il Center for Italian Modern Art. È Membro dell’Authors Guild e delle PEN America Women.

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POESIE

da LUCCIOLE

Lucciole
E ancora il panico
gli incidenti quotidiani
una pentola che spacca una faccia
una bomba che cambia la vita

le mani del mondo
tentano un rammendo
china è la fisica
sul lavoro del secolo
velocità fratto tempo
l’aereo coltiva intrecci
di gambe e lingue
la grammatica ghiotta
degli amori distanti

crediamo sempre
che il futuro aiuti
e anche tetti

paraspigoli
sciarpe di lana
le cure stroncate
dalla prevenzione

sopra uno specchio
che sfrego tremante
un verso sfuggente
siamo lucciole
in palmo alla notte

L’istante
succede nell’alba albicocca

o poco dopo l’una di notte
le membra in cerca di letti

succede dove non pensi

quando non parli
e la luce spira nera
nell’angolo dei no

può essere l’idea di un amore
il verdetto di una lotta
il germe di un bimbo
o il caso che dal nulla
disegna un destino

su quel punto
di bianco celeste
di forza carnale
schiude la vita
la vecchia valigia
e ritirato lo scettro
e l’indice dritto
dio si rannicchia
ai piedi dell’uomo

Il pettirosso
guardo attraverso il vetro
delle ali di una mosca
ringrazio la penna verde
che traccia piccole mappe
sulle foglie dei pioppi
ascolto una ciglia annaspare
nel mare di uno sguardo
l’arsenico in grammi
cui l’invidia ricorre
per oscurare la fiamma
dell’umano sentire
dentro puoi essere
manicomi deserti
cantieri non finiti
spiagge piene di nulla
o fucili senza la caccia

ma alle due e trentotto
un pettirosso corteggia
due tetti e un terrazzo
è il modo che ha il cielo
di sanguinare bellezza

Horror pleni
il falco e un occhio guercio
uno stivale in lacca
sopra un piede monco

l’humour nero di una calza
che funerea spunta
dalla bocca di un cassetto

il sudore del caos
assediato dall’ordine
l’orco bianco delle idee

lo spazio stilla ricordi
il buffone ride incurante
accucciati invochiamo le stelle

Cervo nero
ti svegli un mattino
la certezza assoluta
di un giorno vergine da
iniziare alle gioie non del
sesso ma di te stesso
la carezza del caffè
le planimetrie del sé
e del caso tracciate
fitte sui marciapiedi

ma una piega strana
s’infila tra le ore
un cervo nero scruta
la neve e ghigna

uffici e anticamere
pulsano febbre e gente
un morbo condanna
alla cecità vicoli e viali
i ponti gridano di dolore
da sponda a sponda
la cipolla ti trascina
in gironi infernali

torni a letto la sera
chiudi occhi e pugni
in attesa che il sogno
macelli il boia del giorno

Ancora
un cielo arancio
spremuto negli occhi
le masse umane
frugavano il tempo
l’emicrania urbana
che ammalava il mondo

sogni minacciati
da mani chimiche
i semafori strabici
fissavano biechi
le volontà meccaniche
di cocopro e quadri

la bestemmia di una bimba
il ghigno fiero del padre
balene assalite
da un mare di cancri

dentro gli angoli rotti
del secolo violato
ospitare l’aria in petto
e fare magie
ancora

Delizie proibite
Raccolgo i frutti
cresciuti la notte
ne ricamo il cuscino
e chiedo perdono
non dovresti
visitare quei posti
saccheggiare la terra
con barbara lussuria
non dovresti
portarli indietro
donarli al mondo
come niente fosse
un gesto di classe
è per zittire
questa voce carceriera
che riempio dispense
di nera confettura
stamane
ho lasciato un cesto
davanti all’alba
sorta alla tua porta
sperando ti conceda
un peccato di gola

Il buonoanulla
non distinguo un’equazione
da un bracciale egiziano
stronco ipotesi e maggiorana
pesci rossi e conversazioni
ignoro l’etimo di Hamas
le cime lepontine
l’algoritmo che sostiene
ogni buona bouillabesse

quello che so
lo dico con segni
di una civiltà sotterranea
presente e mai estinta
insolita e sfuggente
so che un incrocio di scie
il mirino che tracciano in cielo
fanno del mondo un cecchino
a caccia di predoni e dei
so che ospedali e postriboli
brulicano amori e microbi
mentre carceri e uffici
preghiere e promesse
origami in davanzale
e cappi di lenzuola

c’è sempre qualcosa
anche solo una cipolla
due sogni spiegazzati
nella tracolla

del buonoanulla

da LA CHIAVE NEL MAZZO

Tu
tu
briciola di cielo
che cadi bisbetica
su questo tavolo
tra gola e chili
d’ignari commensali

non ti ho cercato
ti ho solo voluto
ma senza immaginare
le chimiche barbarie
ordite e poi compiute
dal bello dell’amore

La donna
un giorno
la bellezza disse no
alle fredde lusinghe del marmo
alle lacrime di gioia dei colori
infilò una spina dorsale
dieci ottime dita
per biscotti e tastiere
poemi e ceffoni
calzò un paio di piedi
non sempre intonati
la voce si schiarì
per dar carne al verbo
e la donna fu

da BITTER BITES FROM SUGAR HILLS

Embers
the distance
a smile rides
to bring solace
on a broken face

the time taken
by a nod on a pact
by a head shaken
afore the frown of a fight

the patience of trains
their lilts of to and fro
love and its syrup
when a yes fools a no

consider them all
these fiery embers
as your foot lingers
on the brink of null

Subway Semantics
the leak of beer
the lake it feeds
the feet close-by
the face beside

in rush hours
arms and legs
flood with elegies
stairways and trains
having no ideas
of all the pages
they leave behind
in the bustling cloud

the lingos on air
the careless looks
the horny hand
the broken film

subway semantics
overturns aesthetics
sounding like music
but chanting no ethics

Solo Dancer
graffiti gargoyles
greet you guys
in the cave of beauty
the den of decay

molded carpets
failed quartets
bodega bags
carrying cargos
of personal mess

you are a solo dancer
shouts the madman
on the KFC corner

you must dance solo
in this city in the world
don’t wait for the nod
for the green go go

no one will save you
no plastic no botox
no shrink no pill
mind the madman
his rotten bill

Lady Longing
a lace of longing
on a cake of steel
is the gift
you
just-landed
get back
if laying your hand
on her neck

you tiptoe-dance
miles and miles
from Grand Central
to City Hall
you
unsatisfied lover
who does not dare
to enter a mall
for the fear of missing
one sigh no one look
from your mistress
wiggling around you

your finger ends up
tracking runs
on her tights
holes under armpits
her morning breath
can cook epics
of chili and rye
cold hair and deep fry
at dark you can get
a gold piss pool
as a good-night kiss

success can be too sweet
and mine your smile
so you are off and hunt
for the spotless mouth
of broken souls

an there you walk
the carpet of splinters
seeded from South Ferry
all the way up
to Pelham Parkway

you can’t collect every bit
of shattered dreams
can’t bring home
the unspeakable face
the death of a look
the dismay on a pace

you walk side by side
your beauty and bully
the city is no liar
the city is no joker
she just does the favor
to turn her eyes away
pretending not to see
the time she wastes
by playing around
with her silly devotee

Harlem Loop
Cotton-candy hair
on sugar-cane heads
their non-stop bop
on a fairy-tale rap
this is what you meet
on 125th Street

overflowing trolleys
of good and bad
three-pointed sticks
along limping gaits
chasing pavements
or just searching

you may think
a golden smile
is a figure of speech
here is the claim
of millennial fops
playing with teeth
instead of frocks

desire is the air
you breathe
on 125th street
white girls’ mania
digging rasta hairdos
black men’s daydream
of zeroing family weirdos

history here
is fresh and stale
you feel its gaze
blank and still
its rugged nail
getting paired
the morgue of its mouth
sealed as death
on the day of birth

The Remedy
to make Coney Island
drop its sad smile
I would set up a bonfire
collect paper petals
paint them with poetry
—Dante, Neruda,
Dylan of course—
sprinkle them down
the skimpy fabric
of its clown pants
and have dimples
button its cheeks

to make your tears
swim back to sea
and have your chest
be washed again
with rays of light
days of delight
I would bring your body
your pangs and distress
afore the restored cheer
on Coney Island’s shore