Ottiero Ottieri è nato a Roma nel 1924 ed è vissuto a Milano, dove è morto nel 2002. Ha lavorato nel mondo dell’editoria, all’inizio, e in quello dell’industria poi, assunto all’Olivetti, testimoniandone l’esperienza nella sua narrativa con la quale si è fatto conoscere già negli anni cinquanta. Ha sempre scritto anche in versi, nella forma della singola poesia e in quella del poema, e ha pubblicato: Il pensiero perverso (1971), La corda corta (1978), Tutte le poesìe (1986), Vi amo (1988), L’infermiera di Pisa (1991), Il palazzo e il pazzo (1993), Storia del P.S.I. nel centenario della nascita (1993), Diario del seduttore passivo (1995), Il poema osceno (1996). I suoi romanzi sono: Memorie dell’incoscienza (1954), Tempi stretti (1957), Donnarumma all’assalto (1959), L’impagliatore di sedie (1964), I divini mondani (1968), Il campo di concentrazione (1972), Contessa (1976), Di chi è la colpa (1979), I due amori (1983), Il divertimento (1984), Improvvisa la vita (1987), La psicoterapeuta bellissima (1994), De morte (1997), Una tragedia milanese (1998), Cery (1999).

https://it.wikipedia.org/wiki/Ottiero_Ottieri

http://www.ottieroottieri.it/

 

POESIE

da IL PENSIERO PERVERSO

la depressione può essere ammirata,
come profonda sonda nell’esistente…

…Sii implicito, sempre più implicito.
L’ansia non offende nessuno.
I contenuti dell’ansia, sì…

…La fantasia non fantastica
più (tranne repressi barlumi) rischia,
bellezza e dolcezza.Teme unicamente/
il repentino cambio da sentimento a ossessione/
da desiderio a disperazione,
l’oggettivo attrito:
e il suo nero mito/
…Integrazione di libido e destrudo/
unica speranza!
(Fu a lungo arato il rimosso,
erpicata la prassi)

…Si illude?
Il rimosso affiorato,
il miasma evaporato, la fogna
visitata, non danno certezza.
Predittivo è l’ossessivo; se lascia
il pensiero ossessivo, positivo
diventa, o sparuta paura!

…Finito il compiacimento che si prolunga
a coda di sorcio,
armonia, armonia, tutti dell’armonia sono grati
seccati dalla distonia.Corrono voci
di pietà, di condanna o follia:
quanto disgiunta è l’astratta foia,
la libido, l’investimento durevole
dalla illuminazione tenace
durevole, fitta, pervicace,
sovrano è il meccanico sconforto noioso.

Quanta paura patisce.
La fine del mondo è niente
rispetto alla paura del passo:
Egli cammina o giace dentro una pentola,
vive la pena di morte senza attendere morte,
s’imbuca in una tana lunghissima,
esce scoperto alla salita bianca,
ribalta il mondo,
che resta diritto.
Ciò è l’inganno
della psiche orripilata, ciarliera.

Ma ha giaciuto all’indietro troppe volte
e solo,
anche camminando ha sostenuto coi denti
l’anima quotidiana sfondando il fango,
gli è troppo familiare il quotidiano aggirarsi,
il darsi da fare fintamente normale
dopo la blessura mortale
e il peso affondante del corpo,
o l’aggirarsi sferzato,
agghiacciato e svanito cupamente,
il balzo a scatti, l’urlo,
o la disperazione fissa, sdraiata.
Il mondo è pieno di lupi.
È una lupa che gli ha stretto il braccio?
Allatta, giocherella, è matta?
Sì ha colpa o non si ha colpa
dell’amore
terminante in orrore:
è fato o colpa?

…Nel crepaccio del costante segreto
non tollera, cela
nascosto nel fondo di un tubo
la barzotta vela
della tensione permanente.

da LA CORDA CORTA

Mi sveglio. Non ho flebo (né, come te,
vene sulle mie fusibili braccia),
ho qualche buona pastiglia.
Mi alzo tardi, faccio il bagno
e telefono a te quando non hai
né Sponsetti né notaio Magnaghi,
non perché tu, attaccato all’albero
della chimica viva, solitudine temi
ma perché abbiamo
l’attesa della vita
divenuta col farmaco vita.


Sveglio come un uccello del mattino
scendevi subito negli immensi intestini
sotterranei della wraitiana
struttura orizzontale,
prendevi il caffè da una macchina
che lo offriva zuccherato od amaro,
con una sirena di gioia. Adoravi il mondo.
Squillava nel tuo petto un acuto,
solo guardando l’ante-lucano Giuseppe
venuto da Matera a tirare lo straccio dei vastissimi
vuoti spazi profondi della struttura.


Tardi al mattino
ci chiamavano al telefono interno
senza fretta, senza ansia.
Per te miracolo! Per te
cui già in sé il telefono
suscitò in casa, nelle cabine
degli apparecchi di tutta la terra
un’ansietà che spaccava il petto
ed esplodeva come una tromba
d’aria nelle gonfissime meningi.

da VI AMO

Tra i montarozzi di neve marcia
e i lenti spalatori del sud,
io vi amo non voluti figli,
figli non voluti dei figli.
Vi amo voi stessi perché esistete
e come strumenti che prolunghino
i pensieri buoni delle mie menti,
mi aggiornino sulla perduta
gioventù, sul mondo
che cavalca il Duemila.

da L’INFERMIERA DI PISA

Aveva fatto della clinica un mondo,
del mondo una clinica.
Libertà va cercando ch’è sí cara,
libertà va cercando.
Sveglio presto, addormentato tardi
sognava libertà ad occhi aperti.
Libertà da tutto.
Dalla stanzetta, come una gabbietta
senza foce nel mondo,
dai misteriosi seni
dell’infermiera di Pisa,
in cui pur voleva ingabbiarsi.