Gianni Marcantoni è nato nel 1975 a San Benedetto del Tronto e vive nelle Marche. Laureato in Giurisprudenza, ha iniziato fin da adolescente a comporre versi. I suoi libri di poesia: Al tempo della poesia (Aletti, 2011), La parete viva (Aletti, 2011), In dirittura (Vertigo, 2013), Poesie di un giorno nullo (Vertigo, 2015), Orario di visita (Schena, 2016), Ammessi al paesaggio (Calibano, 2019), Complicazioni di altra natura (Puntoacapo, 2020), Panorama dei lumi (plaquette, Puntoacapo, 2021). Inserito nella enciclopedia dei Poeti Italiani Contemporanei (Aletti, 2017) diviene nel 2020 co-fondatore di Wikipoesia. Sue citazioni e liriche compaiono su diverse antologie, cataloghi d’arte, siti poetici, blog letterari, periodici e riviste, dove è stato anche recensito (La Poesia, Pensieriparole, Scrivere, Frasi celebri, Aforismi Frasi, Poesia, di Luigia Sorrentino-Rai news, Poesia ultra contemporanea, Apparenze, L’Altrove–Appunti di poesia, Inverso–Giornale di poesia, Punto-Almanacco di poesia, L’Ottavo, Cartesensibili, Alma Poesia, Roma Capitale Magazine, Soundcloud, Literary, L’Attualità-Periodico di società e cultura, Shockwave Magazine, Alessandria Today, Leggere:tutti, Oubliette Magazine…). Ospite in alcune rubriche letterarie, ha ricevuto vari premi e riconoscimenti.

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POESIE

da PANORAMA DEI LUMI

Freddo volo
Prende corpo il nulla
dentro un piccolo recipiente,
una tenue luce sparpagliata ci culla,
i raggi gravitano misteriosi
come gabbiani in punto di precipitare.
Vorrei sapere il punto esatto
in cui mi aspetterai, sapere quale mare
mi trascinerà lontano di qui,
sotto la notte funicolare,
capire quale altro sole volerà alto
su queste lingue dispiegate.

Il tempo non ci raggiungerà
– non sarà mai uno di noi
radici di alberi ci separeranno dalla superficie,
il vuoto sarà la distanza di una stella
da un sospiro che degrada,
ma senza staccare nessun’ala dall’onda
e sentendo solo questo velo ruvido sulla bocca,
il vento diffonderà le nostre voci
nel pianeta silente
dove anche gli echi hanno chiodi.

Aversi
Sai che attraversando il tempo
troveremo la nostra forza,
che la vita è un’acqua sporca
da bere a mani nude,
che nella gioia di ringraziare qualcuno
appare una leggera foschia
attorno allo sguardo, in una lucida
fiammata di legname verde.

Aversi senza una ragione
e ricostruirsi nell’attesa,
prima di svanire annientati
dietro la resa di una luce inquieta.

Nella mia vita senza udito
ti ho veduta improvvisamente felice,
scintille di un torrente vivo
sotto al gelo, ma la mia carne
resta un corvo nero
che dimora nei varchi del vento.

da COMPLICAZIONI DI ALTRA NATURA

Ci sono stragi
Ci sono stragi di cuori e stragi solitarie,
fuochi che consumano
quel che solo di un brusio rimane.
I campanili sbattono gridando all’ultima fuga
mentre il mondo esplode in solitudine,
sospeso come un terrapieno scintillante.
Ma le persone attendono sedute,
le persone attendono nude
e sconsolate nelle loro tiepide vasche.

Il silenzio è solo un tentato sabotaggio,
stragi di sembianze annegano nei cimiteri
bianchi, spogli nei fiori giganti
deceduti nel sonno.
Siamo vite distratte dal niente,
mentre muoiono i ragazzi fatti a pezzi
nei palazzi occupati dagli scarafaggi.

E non splende il sole
se non lo guardi dolcemente,
se non alzi gli occhi esso non riflette,
e neppure la notte…
perché tu credevi che non potesse splendere.

In fondo al corridoio (Ricoveri d’urgenza)
La finestra restava spalancata
sul piazzale pieno di edera,
era appena piovuto e trasudava
molta condensa dai muri.
Il sole ancora colava dietro le recinzioni
e le ore ritagliavano lenti i minuti
che si scomponevano rovinosi sulle grate.
Sentivo le mani staccarsi dal corpo,
il tempo diveniva una spia accesa
sui folti piloni che sembravano statue stanche.

Eravamo sottili federe bianche
stese all’aria supplichevole della notte,
e non bastava uno strappo
a farci scordare che eravamo nati vivi
nel reparto dell’esistenza,
che una volta fummo ricoverati d’urgenza
nella camera in fondo al corridoio
e che poi vi respirammo dentro
ogni giorno, come esseri dimenticati
che non fecero più ritorno.

Scenario
Un sogno mi ha svegliato poiché
non è la vita a distruggerci,
oscillava la voce come una spiga assetata,
presto il tempo fingerà di non riconoscermi
e sarò già apparso
in qualche luogo scolorito e umido.
Le facce sono scudi,
gli scudi sono pinze
e le dita, come pinze, restringono l’uscio.

Di tutta la polvere caduta sopra le case
soltanto una scolatura fuoriusciva
dai palmi chiusi: l’inquietudine
è un morbo che lascia contusi.

Un movimento impercettibile spingeva
il respiro sui quei fuochi come un dispositivo
che infiamma l’aria,
il ritaglio degli argini sterminava lo scenario.

Vissuto
Vi saluto, ma tornerò-tornerò,
da qui nulla è perduto senza un taglio.
Domani è il mio vissuto, il vento era troppo cupo,
la luce troppo solitaria per risorgere da un dirupo.

Nel tempo non c’è sorte a separarci,
qui dove niente può spegnersi tornerò
senza avere avuto cure, saprò cosa dire
alle tue accuse che non più mi riguardano;
le pozze dissetano il branco.

Saprò dove guardare se la quiete
passerà a respirare dalle nostre parti scarne.

da AMMESSI AL PAESAGGIO

Tratti del mondo (stelle)
Inutili stelle che nella vostra
stanchezza dormite sui binari,
e fino alle lontane comete
coprite i tratti asciugati del mondo.
Inutili ruscelli del mio passato
cosparsi sul capo di amarezza,
il germe della morte è in voi,
e abita sotto ai miei olfatti.
E gli spettri bruciano a causa
delle vostre rabbiose esplosioni.

Non si placa nessuna durezza;
voi stelle, nelle vostre orride stanze,
siete l’aglio livido e i cani
dilaniati sul soffitto, siete il respiro
nasale riscaldato nel latte,
in una tiepida sorgente cieca.

Inutili stelle avvelenate, con un niente
vi rigenerate delle nostre allucinazioni,
e i rami addosso alla vostra corona
vi paralizzano, le menti voi cancellate
da questa melma gonfia, che sempre
dilaga sui nostri patimenti.

Sulle vostre notti giacciono le strade coperte
delle città desertificate in tutto
– desertificate nei ponti pirotecnici
– desertificate nelle mense di glassa pura
– nei mercati arrangiati
– nelle periferie imbizzarrite
– nei parcheggi spettrali
– nelle parrocchie depresse
– nei vivai schiumosi
– nelle isole pedonali sgozzate
– nei tendoni slabbrati dai piranha
– nei lunghi marciapiedi eiaculati.
E noi, che facciamo continuamente pace
con i nostri angusti resti
– intorno al nostro accorato
grido di salvezza – gioiamo,
e mentre vi spegnete, sotto, ci rispecchiamo.

Dalla nuca
Lunga notte e tenue, spoglia dalla nuca,
chiassosa – senza aroma
astuta notte macinata fra i detriti,
ti avvicini per succhiare un denso liquido.
Dalla bocca si respira libertà pura,
ogni presenza si lega all’altra,
e non c’è nulla da fare se siamo uomini
legati all’istinto finale di espirare.

Cumuli di luminosi vegetali
si nutrono di aria-e-aria, di solitudini
fissate ad un tempo, consegnato
da un volto marcito,
dove le croci del dolore umano
si spengono, e i lumi degli spiriti
in cima agli occhi risplendono.

Ora siamo qui a ricordare il passato
seduti sulle nostre ginocchia inalberate,
sul paniere sbiadito
delle composizioni finali, che sempre
precedono e indicano il nostro cammino.
E il vento calava d’improvviso sulla notte,
unito a una folla incontenibile
di timidi fiori, bianchi come la fredda stagione,
fiochi fra la neve, che sparisce
al primo sottile filo di luce,
nell’incanto dei nidi secchi
e della pioggia rimarginata dal vento.

E l’ossigeno sotterrava il senso della vita,
con quel lamento che anche il sole
rigetta col nascere del giorno,
un lamento che gradualmente entrava
all’interno di ogni singolo osso
– di ogni incrinatura
– di ogni profondo covo di beatitudine
– in ogni sottoscala – nel buio umido
di un giorno sintetico – che non ha mai
mancato di svelare il segreto per cui
un tempo fu incarnata la vita.

Rivestimi
Oh giorno coprimi e rivestimi,
chiudimi e sorreggimi,
giorno genuflesso dentro di me
che non vuole più aprirsi, né soffrire,
lasciami apparire al rimanente
segno di una intera vita da ricomporre
– frammento-dopo-frammento
– scheggia-dopo-scheggia
-tassello-dopo-tassello.

Giorno ricoperto dalle stoffe
tiepidamente consumate,
non illudono più le parole,
neppure nessuna bocca così soave
riesce a risvegliare queste labbra,
masticate in un siero invecchiato.
E divertiti con me,
solleva questo sudario da me,
sono un semplice cane disarmato
sulla strada isolata dell’unica andata.

Fa che il sole dalle sue bolle d’aria
illumini le mie scapole, il mio olfatto;
che illumini questa debolezza, affinché
mi lasci vivere come soltanto io sono.
Come solo io nulla sappia
di questa direzione, di questo nevischio
nevralgico della sera che piove,
trascendendo in una simbolica
sera di dicembre, in cui l’acqua
di un corso anemico ogni acqua disperde,
ed in cui io nascevo da un parto
precipitoso, cadendo
dai roghi bruciati di una meteora.

da ORARIO DI VISITA

Oh inesorabile via solitaria
Oh inesorabile via solitaria
resta lontana da me, i miei
muscoli crescono fragili come
figli impeccabili, si spezzano
fitti sulle lapidi di fronte al
sospiro di questa sera ferrosa
che vuole ancora irrompere
e aggrapparsi a me.

Morire e non vedere nessuna
via abitata da altre consolazioni.
Imbroglia la vita con il trucco
di gioire e di vedersi poi
sparire nell’infinita menzogna
del sentimento. Che attacca
le sue difettose catene ai polsi
feriti da un’unica esistenza
per la prossima occorrerà attendere

Oh inesorabile e languida strada!
I tuoi infelici feticci spuntano
dalle spine di una rosa armata
di velature, pronta a ferire
qualunque cuore abbia creduto
alla sua smaliziata essenza.
Consumi in gola così come
il destino fa con l’uomo, ma la
tua rorida linfa io la inietto
senza paura dentro al mio
raggiante pianto seppellito.

Soli all’alba abbiamo pregato
Soli all’alba abbiamo pregato,
abbiamo sperato ad un giorno
che non fosse mai arrivato.

Soli all’alba abbiamo respirato
l’abbaglio salino di un diamante
surreale, ingerito la polpa sedata
delle troppe parole pronunciate
senza alcuna reale volontà.

Avremmo potuto certamente
vivere una vita migliore rispetto
a quelle che abbiamo sempre
addossato agli altri. Avremmo
potuto fare più di molte altre
cose che ci hanno ridotti ad
una secrezione di rami annodati.

Ma dal taglio luminescente
che vedo apparire sulle sublimi
stelle noi vediamo altro,
sappiamo che il sole, seppure
ha voltato il suo sguardo
dai nostri supplichevoli occhi,
alita attraverso la nostra
notte indolente, senza mai
lasciarci piangere da soli.

da POESIE DI UN GIORNO NULLO

Quando il giorno finisce
quando il giorno finisce mi
ritrovo all’ombra di me stesso,
senza una parola
e con un silenzio imperante.
Le finestre si ammutoliscono,
il pavimento appare ancora
più piatto, e le pareti invitano
a non pensare più a nulla
e così io faccio

La giornata viene subito
catalogata e riposta su scaffali
richiusi in una mente logorata;
è passata via come se nulla
fosse stato, passata come se
nessun altro giorno debba più
arrivare, quasi la vita ad essere
una continua perdita di tempo,
in cui vivere resta soltanto
una di quelle tante fatiche non
retribuite mai da nessuno.

Nuovo odore
ti senti libero giù in fondo
agli occhi, dentro ti osservi
fino alla gola; c’è molta
polvere, silenzio agli angoli
nascosti dove tutto è
stato messo in ordine

e sei ancora lì assente
che ti specchi. Osservi a lungo
il tempo – nulla da eccepire
sempre uguale per ognuno
è il supplire. Strutture semoventi
scardinano il ricordo,
e giunge il tempo di desistere.

Sempre più sottile scorre
l’acqua estiva sulla roccia viva
che disseta, pura ancora per poco
come niente vi rimane in vena
e dalle stelle alle foglie, alle
reti nel mare mosso, alle lapidi
sparse sulle quali vengono
incisi nomi, nomi, nomi; ovunque
nomi nuovi appaiono sulle pareti,
dinanzi alle arse affilate siepi.

E dagli astri ai pianeti più distanti,
fino al tempo che non può
esistere, sentire e inalare il tuo
nuovo odore mescolato all’aria.

da IN DIRITTURA

tu non verrai più,
mai più so che tornerai,
mai più i respiri torneranno
come il passo notturno
di un felino bianco, e più
ti sentirò arrivare.
Il silenzio appare candido al mio
udito stanco, la notte debole
si svuota sopra al letto disfatto
– rivolto alla porta

Dalle stanze di un nuovo
giorno tutto apparirà diverso
e la sera mi accoglierà in un
fresco sentire, in un fresco
riposo mi addormenterò
come un cane al suo cortile.

INEDITO

Niente mi resta
Posso resistere fino alla fine
e morire senza più resistere.
A me la vita ha chiamato con voce roca
e sopra questa veste l’oscurità permane,
atto di silenzio che erge una volumetria carnale.

La nostra gioia ha mutato rilievo,
smantellato paesaggi;
se niente mi resta vuol dire
che la vita va avanti nella sua mesta andatura
in un groviglio di spietata speranza,
che un solo movimento di rami
rende dubbia anche la terra.