Franco Dionesalvi è nato nel 1956 a Cosenza, dove vive. Ha pubblicato le raccolte di poesia: La fragola e il pianoforte (Marra, 1986), L’esistenza dei piccoli animali (Edizioni del Leone, 1994), Torno subito (Orizzonti Meridionali, 2000), Via delle nuvole (Heliodor, 2006); i libri di racconti: Storie di computer e di fantasmi (Grisolia, 1990) e Libro della morte e delle cento vite (Rubbettino, 2004); il romanzo La maledizione della conoscenza (Piero Manni, 1999); il poemetto drammatico Duna, la città (Presenze, 1991); i saggi I poeti e il teatro (Satem, 1997) e Diritto alla cultura e politiche culturali (Coessenza, 2008). Nel 2012 sono usciti Racconti erotici (Coessenza) e l’e-book Ai confini della pubertà (Studentville, Bologna). Sue poesie sono state pubblicate su varie riviste, fra cui “Alfabeta”, “Quasi”, “Incognita”, “Via lattea”, “Poiesis”. È stato redattore di “Inonija”. È redattore di “Capoverso”, semestrale di poesia. È autore di numerosi testi teatrali, rappresentati in Italia e all’estero. Assessore alla cultura a Cosenza dal 1997 al 2002, è fra l’altro l’artefice della Casa delle Culture e del festival Invasioni. Scrive tutti i giorni il “sombrero” per il Quotidiano della Calabria.

franco.dionesalvi@libero.it

POESIE

IL NOME DEL TUO SOGNO
Il nome del tuo sogno
già veste grembiuli di lana.
La farina della sorgente dalla roccia
scorre fin nell’acqua di palude
risucchia i piedi di te
tersa
nube fra le nubi.

CHE VIENE
A est del tuo meridiano
una folgore di increspature rosa
ha dissotterrato le stelle.
La sabbia che percuote il deserto
discopre un pallido messia,
che viene nei tuoi occhi.
Un giorno anche i fuscelli
soffieranno il loro vento.

Quel giorno le tue lacrime
corroderanno il mare.

LA FRAGOLA E IL PIANOFORTE
Il lembo vellutato
del vestito a macchie di fragola
si acquattava sul cranio pallido
del maestro francese
al pianoforte.

L’ansia distratta di lei
raccoglieva
silenzi mielosi margherite di raso
nel pubblico a cappelli
raccogliticcio
dalla valanga appena sventata
di là dalla finestra
per nuovi messia
intagliati nell’alba;
girava le spalle nude
accostava la parete
si poggiava sul davanzale di neve
concepiva nella sua mente
il nano della montagna.

LA RESPONSABILITÀ
Ci sono parole che scavano fossati,
alzano muri, rinchiudono in prigioni,
vecchio è una di queste,
e poi epilettico, mongoloide,
spastico, demente, ritardato,
impotente, terminale.
Ci sono parole che non dicono più niente,
le pronunci e ti rimane in bocca
l’eco di fonemi senza senso,
mezzadria, malaria,
castigo, sortilegio,
malinconia.
Ci sono parole che fanno bene al cuore,
libertà, amicizia e via dicendo,
ma sono trattenuto dal pudore,
mi rifugio in avverbi e forme vaghe,
inopinato, indomito, immantinente,
esiziale, ancestrale, repentinamente.
Adesso alzati in piedi, nel silenzio,
a voce netta e piana
chiama il tuo nome,

PAROLE DI RITORNO
Fischia e lumeggia il prato di telefonini;
giù dalle scalette
nella navetta aeroportuale
fan pari i passeggeri con gli assenti.
E in quel concerto di evocati niente
mi sovvengono pionieri solitari.
Lucidi e folli, agitavano parole
compari avendo cavallette e stelle.

LA TUA PALLIDA AURA
La tua pallida aura conficcata nella ricognizione
di nubi esistenziali mielose edulcorate da
ineffabili sofferenze che intiepidiscono
questo sorriso sopraggiunto quieto, e ti infervora
l’arcano che ripercorri
in una parata di scacchi blu e bianchi
risalendo la sensazione di spruzzi d’acqua sulla pelle
sei tu pure un sapore
era tutto dapprincipio
uno zero senza memoria.

Inseguirò i tuoi boccoli fin nel bosco di marmo
dei tuoi sogni di notte.

QUANDO ANDRETE A PERQUISIRE LE VALLI
Quando andrete a perquisire le valli
e il capretto sterile sarà rinchiuso
per un’ora di pallido amore,
ricordate di quanti non hanno saputo
intenerire le folle,
di quanti hanno sorriso di nulla
e godono di un codice sereno,
perché non vi ha più pace
per gli involucri vuoti,
perché sono sepolti
gli spiriti bugiardi
e le leccornie pullulano
di sensi torbidi e tumori.
Da oggi,
la terra sarà degli amanti.

LA LETTERA
Postino, tu non porti più le lettere,
hai la borsa piena di depliant,
di distinte di studi di avvocati,
di bollette del canone e del gas.
Orsù, svuota nel fiume la tua sacca
cerca un biglietto per me scarabocchiato
che me ne porti il tatto della mano…
o forse è un campioncino rovesciato.

I VOLTI
Nell’esercizio della memoria
i volti della quarta elementare
che la foto risveglia
prendono in me vezzi e cadenze
e ciuffi e occhi e versi ricorrenti.
Mi scorgo in uno di quei volti e vezzi
il terzo da sinistra, quello biondo.
E pure, sarà forse il far del tempo,
a lui non tengo più che agli altri,
ma ora a questo ora a quello il corpo muovo.

DETTAGLIO
La sola cosa
che ricordo di lui
è che allungava ad arte le parole
un poco le cantava le finali
carezzandosi il viso con la spalla
e lui sapeva di chi e perché.
Poca roba, trascurabile dettaglio.
La prima cosa che gli chiederò
quando lo incontrerò dall’altra parte
sarà di carezzarmi una parola
allungandone l’eco con la spalla.

UN’ALTRA ISOLA
Io e te partoriremo un’altra isola
che non sarà di terra ma di vento
faremo marameo alle guardie svizzere
spolvereremo i grappoli di maggio.
Ma tu sii mite
se agli occhi mi vedrai uno spaurimento
nel cercare imboccando la tua porta
la zeppa che vi ho messo or son vent’anni.

LE SCARPE
Ho un paio di scarpe nuove
camminano ch’è un piacere.
E come corrono!
stento a tenergli dietro.
Non temono palude né acquitrino,
né deserto di sabbia né muraglia di pedoni,
che risse che baruffe che clamori
sempre mi vanno dentro.

Ora non soffro più la lontananza
di crocicchio in crocicchio
io so che vengo a te;
ma tu, non cambiar veste,
non farti scoraggiare da quei lampi,
io vengo a piedi.

Dicono che in Canada
giungono a volte piedi d’uomo
da soli a riva, ce li porta il mare,
strappati a chissà chi
che forse andare oltre non voleva,
un piede nella scarpa prigioniero
laggiù, terre lontane.

Oh come va veloce questo globo
però non so se corro insieme a lui
o se incontinente gli vo incontro
eppure le ho pagate pochi soldi
alla fiera di marzo.

RISVEGLI
Il sorriso di lei ti ha generato
e tu, pensiero di carne, esclamazione di cartone,
per non avere arte né certezze né parole
sorridi.

Poi ho visto l’interessere di noi
molecole infinito.
Ho pianto lacrime di gioia senza orologi;
quindi ho preso a camminare
scrivere versi, gemere canzoni,
temere punture, evitare dirupi
farmi rosso in viso
io, la vergogna degli illuminati.