Enzo Mazza è nato a Roma nel 1924, è scomparso nel 2017. Si era ritirato in un casolare vicino Chiusi, dopo la morte del figlio Fabio in un incidente. Traduttore di Catullo, di Virgilio e di altri autori latini, ha insegnato a Roma, dove ha fondato nel 1957 la rivista di poesia e letteratura «Marsia». Ha fondato e diretto insieme a Bino Rebellato la Biblioteca Cominiana. Presso l’editore Aragno, a cura di Daniela Gentile e Alessandro Fo, l’intera sua produzione poetica: L’acqua e il vento,  1967; Otia,  1977; L’invisibile, 1982;  Poesie per Fabio, 1987; L’albero del niente, 1987; Nella calante oscurità, 1988; In fondo al corridoio, 1988; Gemito e tremore, 1990; Ultimi frammenti, 1990; Per i sedici anni di Gianluca, 1990; 12 poesie per Bruno Carnevali, 1990; 33 poesie per Fabio, 1991; L’ombra d’un sorriso, 1992; Frammenti postumi, 1994; Versi a Marinka, 1993; 12 poesie per Alceste Angelini, 1995; Postille inedite, dall’autoantologia Uno di questi giorni: poesie scelte (1954-1994), 1996; L’oscuro lembo, 2000; Perplesso, 2000; Senza saperlo, 2001; Una vaga speranza, 2002.

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POESIE

da OTIA

*
O rara levità
che agli albori sul mare
disperde il sonno, e già
leva il bimbo la testa
dal lettino, si gonfia
il latte sulla fiamma,
penetra il primo verde.

*
Non so riprendere i remi,
rianimare la barca
dal limo in cui giace,
né staccarmi da tanti
voli impietriti dalla pietà
congiunta delle cose.
Dal mio bunker di carta
non vedo che tremiti
d’acque, una luce
irreale tra i letti
disfatti e le tracce
di polvere, la testa
bionda del figlio più piccolo
che tieni in braccio.

da L’ACQUA E IL VENTO

*
Mentre sotterro
vecchi versi, mappe
d’isole inventate,
tua madre stacca il ferro
da stiro, rammenda lo strappo
d’un abito, si finge meno stanca
parlando dell’estate
di là da venire. La vedo
nella luce bianca
sciogliersi i capelli, finire
la sua giornata.

*
L’amore è la radice
dentro la terra, il frutto
in cima alla pianta.
È la traccia di sangue,
tutto il sangue che scorre
e non si perde. Tendigli
le braccia, raggiungilo
nel profondo, lassù.

da PER I SEDICI ANNI DI GIALUCA

4
Il dire per immagini, il tacere
che è muto eloquio, la sommessa voce
come ramificata acqua alla foce
dove un inestimabile sapere

avvìa le sue postille, e il non avere
nulla da opporre al segno della croce,
il pensiero del lampo più veloce,
lacrima ch’io non possa trattenere:

questo, figlio, tramando a un intelletto
che prende forma in un estraneo stampo
su cui vigilo e studio, circospetto.

L’occaso è una carezza al cuore, al petto,
e d’inespresso amore solo avvampo
in un sogno che a te mi veda stretto.

da POESIE PER FABIO

Ultimi versi, V
Quante volte lo vedesti
piegare l’erba, allungarsi
a respingere il cuoio del pallone
a mani aperte o con la punta
del piede, a rilanciarlo
altissimo seguendone con l’occhio
la traiettoria, e quante
volte l’hai visto ripiegato,
stanco, sul letto, ma per poco,
e poi di nuovo
flettere il busto nella corsa,
piegarsi quasi a una fettuccia
irraggiungibile. Amo
piegarmi su di lui piegato
sullo scrittoio a leggere
di Cassandra, di Enea, di eroi
che non so come immaginava
rilucenti nei versi che più tardi
scandire avrebbe saputo.
Lui stesso aveva in sé
i corrucci, l’orgoglio
che spengono gli dèi con un cenno,
gelosi forse che gli eroi respirino
oltre la giovinezza.
Ne aveva il tratto inalienabile
e il sorriso, l’incauta
fiducia. E quante volte
mi ha piegato il dolermene
senza conforto di carezza,
su di lui ripiegato
come un foglietto in cui tutto
del suo destino era scritto.

da L’ALBERO DEL NIENTE

*
Si capovolgeranno anche le stelle
nei tuoi occhi, gli aspetti della vita
umana, quell’inferno che le dita
tese in avanti attira verso quelle
voragini, quei pozzi, e l’infinita
stiva, l’immenso ventre, le fiammelle
che consumano le ossa del ribelle
superbo e come polvere le tritano.
Devi, in un lampo, aver toccato il male,
subito consolato, e risalito
rocce scoscese a un mondo vegetale
senza età, né paurosi mutamenti.
Che di là, per condanna, sia partito
il primo uomo? Tacito, acconsenti.

da NELLA CALANTE OSCURITÀ

*
Affonda adagio
il mio scafo nel buio
crescente. Ogni pagina
si articola nel nulla, di cui
non verrai mai a capo.

*
Ti vedo ripiegato sulla mamma
senza toccarla, o fiore virgiliano
su cui passò il gran carro,
lacrime fisse come perle in cielo,
o fiore che non sogna,
dolendosene, lei, te ripiegato
sul ciglio d’ogni strada,
addormentato, forse,
in una luce che non regge acume.

*
Non muoverti, ma fammi
un ilare segnale
come uno schiocco di dita,
non potendo altro suono
emettere, o muovendoti pianissimo
muovimi intorno l’aria
notturna, in modo che una pagina
da sé si volti e n’abbia
io dolce meraviglia.

da IN FONDO AL CORRIDOIO

 

*
Molti, subdolamente, mi consigliano
di non pensare ai morti. Mi vorrebbero
come un tempo, di nuovo, a un tavolo
verde, con le mie carte da giocare.
Ed io li guardo in un trasalimento
che non reprimo, stupefatto. Non
pensare ai morti, non
a te che sento vivo, non
tra i morti cancellati, polvere
che non il giallo d’una vecchia
fotografia rivendica. Io
non pensarti, né piangere nell’angolo
dove dormivi, non accarezzare
il tuo cuscino, il plaid,
ciò che è rimasto, il cuoio
della cartella, i libri, l’angelo
sul letto? Molti non conoscono
alcun dolore. – Io muoio,
potrei dir loro ed essi,
io morto, non mi penserebbero.

*
Muoio ancora con te
quasi ogni sera, persuaso
a sentire la morte
come sorella che da lungi
sorrida, a te rapidamente
per vie occulte avvicinandomi.
E se agli altri scompaio,
gli altri, i pochi, non più,
sapendomi con te, mi piangeranno.

POESIE

da GEMITO E TREMORE

*
Addio, mi viene spesso
alle labbra, ave atque vale,
e il cenere muto e quella
gentil voce di pianto.
Parole d’altri e mie,
brevi consunte nuove,
che mi velano gli occhi e non consolano
chi m’era accanto.

*
La grazia è vita ancora pur nel chiuso
della memoria, e avermi indotto
a crederla perenne, avermi illuso
fin che ti ho avuto accanto, non le fa
ombra. Il rifugio dov’è segregata,
in cui discendo a rianimarla, sa
chi è stato, ma ne tace il nome,
vedendomi velato di rimpianto.

da L’OMBRA IN UN SORRISO

*
Sai, d’un sorriso appena
accennato, si dice impercettibile,
o vago, ed anche l’ombra d’un sorriso,
che è misteriosa immagine
contraddittoria, dissipando l’ombra
un sorriso anche debole. Ma è vero
che è bellissimo dire, appunto, l’ombra
d’un sorriso, a sorridere
fossero i vivi divenuti ombre
di là dal fiume, inclini adesso più
che a sorridere all’ombra di un sorriso.