Aldo Gerbino è nato a Milano nel 1947, ordinario di Istologia ed Embriologia nella Università di Palermo, città dove vive e lavora, di poesia ha pubblicato: Sei poesie d’occasione (Sintesi, 1977); Stazione di servizio (Quaderni di Estuario, 1978); Maraldo (I poeti del Gufo Trombettiere, 1980); Appunti per una donna (Il Vertice,  1981); Campo di vista (Il Vertice, 1983); Cartigli (Bastogi, 1987); Le ore delle nubi (EuroEditor, 1989); Les rites des ténèbres (EuroEditor, 1990); Nubi a Palermo (Sciascia, 1994); L’arciere (Ediprint-Lombardi, 1994); Il coleottero di Jünger (Novecento, 1995, Premio Marsa-Siklah); Le ferite del vetro” (Sciascia, 1997); Ingannando l’attesa (Novecento, 1997, Premio Latina Tascabile); Non farà rumore (Spirali, 1998); Gessi (Sciascia-Scheiwiller, 1999); Sull’asina, non sui cherubini (Spirali, 1999); Wasf (Sciascia, 2000); Attraversare il Gobi (Spirali, 2006); Il collettore di acari (Libroitaliano, 2008); Alla lettera erre (Almanacco dello Specchio Mondadori, 2011); Comete mercuriali, piume (Algra, 2016). Suoi versi sono apparsi in riviste come «Galleria», «Nuovi Argomenti», «Gradiva», «Poeti e Poesia». Numerosi saggi e antologie.

https://it.wikipedia.org/wiki/Aldo_Gerbino

aldogerbino@tiscali.it

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POESIE

da COMETE MERCURIALI, PIUME

Piccola malinconia italiana
per Sergio Ceccotti
Ai confini del crepuscolo poniamo questi giorni
di penose gioie collettive, tra oscuri ribechisti e
rocce tremanti di anime. Sono collosi giorni d’albume
per sanguinamenti di luce, per torpidi pensieri,
per flebili ciocche di fiori gialli e corde di ghironde.
Avvolti nel tintinnio lacrimevole d’un tram, i cruciverba
al tavolo spargono pasticcini, flûte, dadi enigmatici.
Sull’orlo dell’abisso, pencolanti e incantati, attendiamo,
col finis, l’immagine che ci verrà restituita quando
potremo unire i punti sospesi nello spazio: un viso,
una scodella colma di italiche domenicali malinconie.
Perso il favore del dio, esaurita ogni pietà, ecco
l’astragalo siculo (lo spino) attraversare le reti del cuore.
Così, transverberati, essiccati come l’orologio paterno
che portiamo al polso, toccati dalla sua vita, tracimiamo
con lentezza nel tempo del padre: noi concimi, noi staffette.

Palermo, primaverile domenica del 2014-Natale del 2015

Natura morta con anatra, arancia, limone e pere
La morta coda piumosa dell’anatra
s’è adagiata sui nostri corpi, quasi a coprire
la polvere che da anni ci oscurava. Così
abbiamo dimenticato i dolori sopiti,
intravisto squarci di luce. Poi eccoci nel buio
intestino d’una bottiglia, ammucchiati
come sterpi, ali polverizzate di farfalle,
gusci di bivalvi, rametti secchi, coralli,
bacche: catalogo di oggetti disperati.

Di cere
Di cere, di antichi tessuti, fiori di carta
e spinule e occhi in vetro, di pupille date
al fuoco, al trionfo, alle gesta del tempo
al mito, al grande racconto per fedeli
e infedeli, siamo tutti còlti nell’anima,
nel guado aperto di un pensiero, per vite
quotidiane, per volti sperduti, lungo passi,
dossi, aperti al vento freddo, al grido
enfiato di chi ci abbandona, alle luci
intermittenti di un albero appeso ad ore
trascorse, a decenni, all’infinito tempo
sognato per materie oscure, per occhi.

***

da ALLA LETTERA ERRE

Del lamento
Al crepuscolo sussurrano i boschi rossi,

E cupo come la morte risuona il martellare del picchio
Simile a un’eco da cupi da cupi sepolcri.
Georg Trakl, da Dei giorni quieti
Pienezza di sfera offerta al mondo:
spicole e raggi infissi al nucleo centrale
al gorgoglio della vita
alla contrada aspra dell’acqua
al liquore primo, al battito sordo.
Poi le umane lamentazioni,
disperse in quieti sonnolenti vapori,
arano per straziate onde di “boschi rossi”.

Guscio
E d’altre impercettibili lame
s’accendono luci, fuochi intimi
nel guscio acido della vita.
Nel suo pellegrinaggio
sarà l’urto del picchio a forare
il verde groviglio della morte.
Sì, da questa essenza, così raccolta
in micelle, in sussulti, ecco i fossili;
dopo, i vacuoli.
Nel loro diffuso pulsare:
una dolente emissione di fiati,
spazi, cristalli.

Ramosissimum
Nel sogno di Ernesto (disadorno mendicante)
tremano rami e ramuscoli intricati,
nastri perversi di luce, un avorio
cosparso d’una sorta di miele secco, pungente.
Sembra popolato da unicellulari arborescenti;
tra questi, il Coelopendum ramosissimum
che pare unire, senza un perché,
cielo e mare, terre, rime di labbra, foglie.

Meline dei morti
Nel cesto minuscolo stanno impressi
gialli cuori di polpa (semi nerissimi)
venati d’un bagliore verdastro,
del cromo affannato di un singhiozzo,
dell’ombra d’una bambola zuccherina.
Infine, l’alito del ricordo, vago azulejo
d’una tazza di caffè con cartiglio
e, in un solco, ancora un’impronta viva:
pece, macchia, residuo di unto.

Novembre palermitano, 2007

***

da ATTRAVERSARE IL GOBI

Attraversare il Gobi
Non è molta la strada che serve da riscatto
a noi imputati di Dio. Il serpente, d’altronde,
è già sulle nostre tracce: dal Pamir alla Manciuria
come dire, dall’inizio alla fine.
Eppure queste plaghe sabbiose, fangose
quest’incontro di rettili, ci attirano nell’enorme lastra
di pietra, posta sulle ossa dei grandi sauri.
Ma anche delle piccole scaglie di foraminiferi,
appena dissepolte nel loro riposo planospirale
per quell’essere aguzza lancia, anulare pensiero,
incavate in orbite dolenti, mostrano
quanto di noi c’è nel loro respiro, materia, letto.

Canidi
I cani, a Pompei, dormono sempre:
pit-bool, meticci, lupi; aria sonnolente,
desertici suoni, in posizioni impensabili
arruffati così come quel tossico biondo,
che, con volto di pena, mi chiede una moneta
per mani morbide in un autunno incipiente.

***

da LEGAMI, POESIE TESSILI

Ordire
Quali mire su noi
quale altro dolore
di cui non dici
e del quale hai già
ordito l’inganno?

***

da GESSI

Gesso
Eccolo, Vanni,
il presepe bianco, madido
cavato dal mare delle absidi panormite.
Una scia di chiocciole sul tuo vòlto,
un filo di euforica fanciullesca tristezza:
polvere biancastra dispersa nell’anima,
tra fruscìo impervio di pagine.

***

da NON FARÀ RUMORE

Cravatte
È il nodo della mano, il precipitare
lento degli occhi, quel loro indagare
di padre a sorprendermi, oggi,
a tanti anni di assenza.
Sì, le bande marrone,
il grigio incedere del tessuto
il giallo travaso dei ricami, degli ornamenti.
Certo, il nodo fragile, come l’esistenza, d’altronde.
Il disperdersi di vite e incoerenze.
Il bottone che non lega: padre, figlio.
Ancor oggi l’àsola è dura. Impervia.
Dolente. Pur si ammanta di una luce nuova,
inaspettata, trafitta da luminosi cheloidi.

Bari-Palermo 1996-’98

Ctenofori
Plana il gel dell’occhio, il tentacolo,
la formella sospesa nel vuoto del buio.
Oltre le soglie liquide dell’olfatto
ogni cosa si mostra sospesa per sé,
nel giudizio, nella consistenza. Sembra
vivere con ctenofori luminescenti, fatui,
improvvisi: incantevoli e straziati resti
di un tempo fragile, feroce, immateriale.

***

da IL COLEOTTERO DI JÜNGER

Le fiamme
Sono le luci a misurare questo silenzio:
quasi tempo e spazio dell’anima
mentre avanzano le fiamme tra i noccioleti.

Dormono gli amanti fuori dalla casa del fuoco;
accovacciati nell’imbuto precipitare
della loro assenza. Sono molti corpi
con qualche bagliore di carbone.

***

da LES RITES DES TÉNÈBRES

Lo scarto
Il modello di quest’ora
sembra appartenere
ad uno strato senza tempo
perché vi è riflesso
il mio disgusto
e le osservazioni microscopiche
spinte fino alle maglie
delle notti tentacolari.

Sono le ali di un tarlo
che intessono
l’aria profonda
delle spirali assorte
dei bisbigli, dei mormorii
inesistenti,
dei fugaci desiderî.
Tutto poi sembra riversarsi
negli effimeri diagrammi
di uno scarto.

TRADUZIONI

Ramosissimum
In Ernesto’s dream (a shabby beggar)
branches, intricate twigs and lightning ribbons swing
and an ivory is sprinkled with desiccated hurting honey.
It seems populated with arborescent one-celled organisms;
among these, the Coelopendum ramosissimum
that seems to join, without reason,
the sky to the sea, lands, lips’ rhymes, leaves.

Stings
Infinitesimal stings appear
as arranged in severe order: they are tenuous, oblong,
cross-shaped, dentate, flimsy and cruel in cusp form.
Turned to the wound they survive, they crumble into fine dust.
By falling on hands, on pupils among innocently immortal ropes,
they infect the shadow of the living with feeble hatred.

Palermo, January 2008

Hoarfrost
to my son, Filippo Maria
Our soul: multiple eyes
of an insect kidnapped by fire;
it’s the crow’s beak
that stings skin and ganglions.
Today, the grey step of a turtle
throws open those notes in the evening
for a bit ours, almost tightened,
a shelter from the frost, from our hoar frost.

The Dead’s Small Apples
In a tiny pannier still stay
yellow pulp hearts (black, black seeds)
tinged with a greenish glow,
with the chromium of a breathless sob,
with a sugar doll’s shadow.
Finally, the breath of memory, of vague ceramics,
of a cup of coffee with a cartouche,
and, in a rut, still a living sign:
pitch, blotch, residue of oil blot.

Palermo, November 2007
[translated by Anna Sica]

***

The Wolf in Milan
(drowsiness)
The wolf’s scarlet pupil laps my fright;
it wanders in coffee cups, trough the cruel cafés round the Cathedral.
In the silence, filled with sour yeast, it torments the city
in a dullness soaked in autumn leaves, in barks.
Now, the beast bleeds along leaden spires, Gothic blades;
though hidden, he smells my wounds, my shirt, my soul.
His eye seems to have become my own; from his mortal fire
the uncertain glance of my father, not in his thirties yet:
both of us in a thick rain of ash, voices, flashes, stones,
birds’ feathers.
[translated by Eleonora Chiavetta]

***

Le Lezard
(a)
Ayant beaucoup à dire
je ne parlerai guère
de mon fils.
Absolument rien
sauf qu’il dort
à côté de moi
dans la nuit fluide.
A peine perceptible son soufflé
dans la cage aux lions.
L’arc doux de son corps
est comme le geste du lézard
à peine esquissé sur le mur.

L’Ecart
L’aspect de ce moment
semble appartenir
à une strate hors du temps
parce qu’elle reflète
mon dégoût
et les observations microscopiques
poussées jusqu’aux mailles
des nuits tentaculaires.

Ce sont les alles d’une mite
qui trament
l’air profound
des spirales pensives
des chuchotements, des murmures
inexistants,
des désirs fugaces.
Puis tout semble se déverser
dans les diagrammes éphémères
d’un écart.
[traduction française de Pierre Roller]

***

Nuages dans la voliere
Et pourtant, pleine de nuages, elle repose dans ce train qui m’emporte à
Pavia, son rêve léger est-il-peut-être ma réalité?
Inconnue aux cheveux châtains dans la géographie des pensées
tricot bleu clair (double-face), chaussures blanches laquées
jeans et fourrure lumineuse de renard. De ses paupières glissent de
délicates ailes de géranium par des cordes vaporeuses au vitriol.
Que boira-t-elle à la fontaine des ténèbres? Le jet soudain du mépris
ou le flair timide et rapide du castor?
Boira-t-elle à plein gosier la joie d’exister ou l’amertume d’ouvrir
les yeux au matin?
Parfois le matin est une volìere de goudron et des gemmes musculaires
éclairent avec des spasmes douloureux
le simple geste d’exister, de se lever, de demander un verre
d’eau ou d’absinthe
ou un regard qui semble être perdu dans des modèles paléographiques.
Le matin! quelle volière de goudron et gluante
médiocrité. Aura de nausée, aura de mort.
Ce n’est pas par hasard (ou peut-être que oui) que la mort frétille
tranquillement dans cette plaine d’os et de semences, qu’elle se
présente avec les yeux de cet enfant au sourire cytostatique
ou entre les pattes domestiques déchiquetées dans la fosse livide.
Un triomphe souterrain, là-bas, dans le cratère profond
de la volupté indique (et non seulement à moi) quell raccourci peut être
pris pour conclure cette vie absurde.
Entretemps le groupe des colombophiles parmesan s’est dissout dans
le brouillard d’où emerge le clocher phallomorphique de Fidenza
presque un sursaut et elle (inconnue) qui remplit son orgasme
de bradipnée. Puis se plonge sans attendre
dans les verts prés lunaires informatisés pour saluer mon
dégoût serein.

Parme, le 26 mars 1984
[traduction française de Evelyne Denuit]