La Poesia italiana del Novecento - The italian Poetry of the 20th century

Beppe Salvia


 

Beppe Salvia è nato a Potenza nel 1954, viveva a Roma, dove si è tolto la vita nel 1985. Ha pubblicato le prime poesie su “Nuovi Argomenti” alla fine degli anni '70 e sulle riviste “Prato pagano” e “Braci”. A parte Appunti (Tipografia T. Pantò edizioni, Sant'Agata di Militello, 1978) e Lettere musive (Quaderni di Prato pagano, Il Melograno-Abete Edizioni, Roma, 1980), la gran parte delle sue poesie sono uscite postume: Estate di Elisa Sansovino (Quaderni di Prato pagano, Il Melograno-Abete Edizioni, Roma, 1985), Cuore (Cieli celesti, Rotundo, Roma, 1988), Elemosine Eleusine (Edizioni della Cometa, Roma, 1989), I begli occhi del ladro (a cura di Pasquale Di Palmo, Il Ponte del Sale, Rovigo, 2004), Un solitario amore (a cura di Emanuele Trevi e Flavia Giacomozzi, Fandango, Roma, 2006).

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Beppe_Salvia/ 

http://www.beppesalvia.it/braci/19.html/  

 

POESIE

 

 

da CUORE 



A scrivere ho imparato dagli amici,
ma senza di loro. Tu m'hai insegnato
a amare, ma senza di te. La vita
con il suo dolore m'insegna a vivere,
ma quasi senza vita, e a lavorare,
ma sempre senza lavoro. Allora,
allora io ho imparato a piangere,
ma senza lacrime, a sognare, ma
non vedo in sogno che figure inumane.
Non ha più limite la mia pazienza.
Non ho pazienza più per niente, niente
più rimane della nostra fortuna.
Anche a odiare ho dovuto imparare
e dagli amici e da te e dalla vita intera.



C'è chi, al contrario di me, non dispera,
che con salute e forza e virtù e buona
fortuna, si arrivi a morire dopo
tanti bei giorni, pieni di tantissime
cose di questo mondo o di un altro mondo;
o dopo tanti giorni e quella gioia soltanto
povera dei giorni. Io son felice,
a questo mondo, solo di questo e spero
che a me il destino procuri con le sue
pesti e le pietà e i suoi dolori
un solo giorno più bello di tutti questi
miei dolorosi giorni; o di questo mio
dolore si dimentichi per un solo
giorno. 



(Quanto fu lunga la mia malattia,
e tanto amara la mia vita in quella
fu stretta e spiegazzata come un cencio,
e io pallido e stanco come un mondo
intero dovessi sopportar tutto
su la mia schiena, faticavo tanto,
m'immaginavo mondi tutti assai
più lievi e volatili di questo mio,
che tanto m'affliggeva e tormentava,
e vaneggiavo di nascoste verità
e cieli quieti di pensieri chiari
ove più mio l'animo affranto potesse
dimorare, e non trovavo queste
cose che non esistono, e soffrivo)



I miei malanni si sono acquietati,
e ho trovato un lavoro. Sono meno
ansioso e più bello, e ho fortuna.
E' primavera ormai e passo il tempo
libero a girare per strada. Guardo
chi non conobbe il dolore e ricordo
i giorni perduti. Perdo il mio tempo
con gli amici e soffro ancora un poco
per la mia solitudine.
Ora ho tempo per leggere per scrivere
e forse faccio un viaggio, e forse no.
Sono felice e triste. Sono distratto
e vagando m'accorgo di che è perduto.



M'innamoro di cose lontane e vicine,
lavoro e sono rispettato, infine
anch'io ho trovato un leggero confine,
a questo mondo che non si può fuggire.
Forse scopriranno una nuova legge
universale, e altre cose e uomini
impareremo ad amare. Ma io ho nostalgia
delle cose impossibili, voglio tornare
indietro. Domani mi licenzio, e bevo
e vedo chimere e sento scomparire
lontane cose e vicine.



Ma oltre queste verità e dentro queste
vuote parole ho perso la misura.
Ora io so soltanto che son seduto
a questo tavolo e che per tanto buone
ragioni ho tempo e odio da spendere.
E mi basta così senza nemmeno
maledire. Non è perdere al gioco,
e poi fa bene vivere. Un'arte
marziale voglio imparare, di che sempre
si possa indugiare di far male.
Un teatro astratto di colpi e pensieri
per i giorni neri. E poi le gioie e insieme
con gli amici far niente.

 

Viene la sera, è vero, silenziosa
piove una luce d’ombra e come
fossero i nostri sensi inevitabili
improvvisi, noi lamentiamo
una più vasta scienza.
Aver di quella il frutto
appariscente, la bella brama,
e l’ombra perfino, di sussurri
e di giochi, come bimbi.
Ma io lo so Serena io non posso,
in questi tempi segnati dal segreto
di cui s’invade
la nostra intimità,
vivere adesso se non con tale affanno
e così lieve.
Di questo amaro stento già si fa più vero
un sentimento pago di letizia, al modo

che alla sera insieme

andando per le strade
chiare, l’ho visto, d’ombra
e di segreto,
noi siamo tra i perduti lumi
esseri più miti di chi
venuto prima di noi
ebbe solo a soffrire

salvi quasi per caso,

e in questo prodighi.

I baci sono bellissimi doni.