Sandra
EVANGELISTI

Sandra Evangelisti è nata nel 1964 a Forlì, città in cui vive e lavora. Dopo gli studi classici, si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna. Le sue raccolte di versi: Lascio al mio uomo (Midgard, 2008), L’ora di mezzo (Edizioni del Leone, 2008), Intanto tutto procede (Edizioni del Leone, 2010), Diario minimo (Edizioni del Leone, 2011), Cuore Contrappunto (Edizioni del Leone, 2012), La dimora del tempo (Biblioteca dei Leoni, 2014, con una nota di P. Ruffilli). È collaboratrice del portale di arte e letteratura internazionale “Lankelot”. Ha una pagina a lei dedicata su “Literary” e cura un blog dal titolo La distensione del verso.

sandra.eva@alice.it

http://ladistensionedelverso.wordpress.com/

POESIE

Allora dove il percorso,
dove il cammino
se il filo eri tu?
Per te dipanavo matasse di seta
e trame di tela sottile al tramonto.
Sto ferma
guardo lo specchio.
Non riesco a sognare
mi assento del tutto
e chiedo il silenzio.
Ti cerco nel sonno
ma senti (vorrei che sentissi)
ho mani fredde
e non si scaldano mai.
Ho i termosifoni accesi
ma sono fredda e rigida
Così mi trovo
non vedo non sento
Vorrei partire la sera (potessi venire),
vederti toccarti sentirti
(potessi) in un viaggio,
e tu in fondo alla strada che sale.
Non stacca la mente,
non ferma il suo corso
ti pensa
in ogni momento di veglia
vorrebbe sentirti vicino.
Ti parlo e rispondo da sola.
Nel sogno ti vedo
immagino il volto la voce.

*
È solo una brutta avventura
non trovo parole
da te mi venivano
uscivano come farfalle
da un fiore sbocciato
ma adesso fa freddo
l’inverno le uccide (lo vedi)
le mani si fermano
le dita non dicono nulla
Ecco vorrei che parlassi
sentire la voce che riempie la stanza
rivivere la meraviglia (e non posso)
Dove porta il buio
da non poterlo spezzare di notte?

*
Tu, assolvimi dagli incontri mancati,
dalle parole pensate e non dette
e dagli scritti privi di vita.
Dal bene non fatto e dal male non sopportato.
Non so perdonarmi da sola.
Il rimpianto non ha compagnia,
e il male di vivere non ha più finestre
da quando non sei.
Perdona la vita non data,
la tua non amata abbastanza.
L’affetto vissuto in memoria.
E quando il dolore è più forte
dimmi che il male si lava
con lacrime trasparenti
e asciuga su fiori di rosa dipinti
nel buio

Atto
I
Prendo atto della triste realtà
e mi arrendo all’evidenza della resa
pur sapendo che il prezzo del ricatto
è più alto del possibile riscatto,
e sapendo che ignorando il senso del possesso
ma ripresa nel vigore dall’eccesso

sarò libera di andare

per la strada che

mi pare……….

II
Non c’è gioia senza meraviglia:
se la figlia ha lottato per un padre
non può amare per davvero.
Sarà preda dell’oscuro desiderio
di star bene accoccolata nel suo sogno.
Esser donna e vedere il fondo del bicchiere
per gettarsi nell’onda del destino:
questa la sfida.
Se Mistral ha paura di annegare
non saprà cos’è l’odore del mare
e i lamponi saranno
sconosciuti avvisatori
di un colore mai vissuto.
Senza scudo più del nome
ed il velo del capello
la dimora del suo tempo non sarà sospesa.
Da Selene diverrò Teodora
per saggezza e per diritto
sposa del suo tempo.
Senza feudi e senza onori
ed armata di pazienza
-non di gloria-

III
Sono stanca e non son ricca
per ripicca getto la presa.
E se avessi in mano picche
non mi sarei arresa.
Quando ho visto l’alba offesa
ho pensato a una caduta di forze.
Ma prendendo in mano il cuore
ho capito che batte,
e stringendo anche più forte
ho sentito che l’offesa non dura,
e la resa è si è fatta anche più dolce.
Se mi arresto per un momento
vedo il tuo viso
e se penso al tuo sorriso
si illumina il viso.
Ma se so che sei lontano e non posso cercarti
niente può fermare l’angoscia che sale.
E se questo farneticare non ti sorprende
perchè pensi che nulla possa ferirmi,
devi sapere che ho vissuto la vita
dietro ad un sogno:
ritrovare un Padre che credevo perso
e che non ho mai avuto.
E quando ho creduto di averlo e l’ho visto morire,
ho pensato che anch’io avrei dovuto morire.
E se anche ho lottato per un lavoro
e se so che bisogna lavorare per vivere,
per lavoro non si deve morire.

Satira
Fu il timor vacui
a produrre silenzio
et sic ut sit
conditio sine qua
l’idea di un canone
che si fa vita
e tace per sorte della forma.
E la parola resta muta,
priva di vita, un suono.
Res composita solvantur.
Non sia così.
Storia, tempo, luogo, noi, tu;
non Io.
Gli italiani scrivono
lo stesso minestrone da un secolo.
Petrarchismo o dantismo?
Lirismo e realismo,
-si escludono?-.
Sentimenti o sentimentalismo,
non amore, ma realtà e storia.
Ma queste quattro sillabe che escono
non sono un esercizio.
E la parola è vita?
Ci si ritrova a leggere versi di un altro,
così a rispondere, ripetere, rivivere
il suono di una vita.
Ascolto la tua Satira, e cosa scopro?
La storia non parla da sé se non è scritta da altro.
Io, tu e noi sono la stessa cosa. Tante persone in una,
così che a riguardarsi non ci si trova.
Lui non sa chi è: solo una rondine impigliata nella rete di spine.
Annetta, rimaniamo soli, io e te. Tu dall’altra parte dello specchio.
Non sei meno viva.
Gli intellettuali vivono la loro storia, Annetta.
Teniamoci per mano e viviamo la nostra.
Ora e sempre nella stessa dimensione.
Tu sei qui con me.
La storia è in noi, noi siamo storia.
E questo vetro grigio che divide
soltanto un soffio nel passo breve di un destino.
La casa dei doganieri è là,
il mare, la rupe, le ginestre:
solo questo posso dire ciò che non siamo,
ciò che non vogliamo.

*
Le anime migrano
e non tornano ad un nido
si fermano sospese nel sorriso
E non è sera senza paradiso
Terra che non conosce la frescura
terra arsa dalla sete
di arrivare ad un destino
che non conosce fili né germogli
ma solo acqua
che gorgoglia

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