Piero
PELLEGRINO
Piero Pellegrino è nato nel 1940 a Lecce, dove vive. È stato professore ordinario di diritto canonico nell’Università del Salento. Ha pubblicato: Litanie di San Martino (Editrice Salentina, 1964 e 1993), Per quell’antico privilegio (Adda, 1980 e Argo, 2002), Anemoni (Manni, 1992), La voce chiara (Manni, 1993), Remote terre (Manni, 1995), Verso un gelido mare (Manni, 1997), Il cuore il canto le stagioni (Argo, 1999), La vera immagine (Argo, 2002), Alla fine dei sogni (Argo, 2004), Perduta memoria (Manni, 2004), E una notte sognai (Besa, 2007), Non è più stagione (Besa, 2009), Tutte le poesie (Besa, 2014), Inutili illusioni (Argo, 2023), Un addio (Milella, 2023), Inviolate sensazioni (Manni, 2024), Corinne (Argo, 2024).
POESIE
da INVIOLATE SENSAZIONI
E muore il giorno
E guarda questo cielo che brucia
questa terra che trema
nel tendersi della biosfera.
L’ora che avanza e scioglie
i singulti di tante anime in pena
scaglia tramonti rosa
sulla città lavata dalla pioggia
notturna, quando imperla
di bianco candore una lapide
intinta di sangue e veleno.
È il silenzio che impone questa
dolce attesa lungo un calvario
inebriato di assurde speranze.
E muore il giorno, muore la vita.
Le sue labbra
Fagli il panegirico, Plinio,
come quello che incoronò
Traiano, nella notte in cui
piangesti sulle spoglie
di un essere che non muterà
mai volto. Gelido fu l’addio,
lontano il sussulto della memoria
accarezzata dall’immensa
propagine inerpicata sulle mani
fredde del tuo perdono.
Anch’io spargerò il mio sangue
sul volto madido di sudore
e di fredda attesa. Ma la morte
aspettò ancora a venire,
le sue labbra mi baciarono ancora.
Parto
Parto per un viaggio lontano,
in un mondo, i cui continenti,
emersi dalle acque, si sciolgono
fra ghiacciai e scorie,
brandelli di lava rossa
che annienta tutto quel che trova
nel giro di marci silenzi.
È il vento che s’alza
sulla spiaggia e getta fumi
di sabbia su noi, silenti,
che guardiamo la costa
imbalsamata fra le coltri
del cielo imperlato di nubi.
È il gelido sorriso che si staglia
sulle labbra morbide
della laguna incantata
nella brezza di silenzi astrali.
La perla del Danubio
Quattro giorni di pioggia,
e le gocce scivolano sui vetri
appannati, quali lacrime del giorno.
Penso alla “lacrima dell’India”
che procrea senza immergersi
nel futuro: i santoni pullulano
e la gente fugge dal degrado
e dalla fame. Altrove scopro
“la perla del Danubio” che sbarra
muri e grigi reticolati, quando
annienta gente che non vuole:
è sovranismo, questo, o viltà?
Eccomi pronto
Eccomi pronto. In pieno giorno
s’acceca il mio silenzio
e il risvolto del cielo giace
su corolle di fiori appassiti.
Eccomi pronto! Alla prova
dell’esame di coscienza,
ogni sensazione rimorde
l’aria indomita della mia
vita, insicura beffa del destino,
asserragliato su reticolati
che la memoria risveglia,
nel calore degli anni,
tentati all’avventura su mari
lontani, schiaffeggiati da venti
innaffiati da una giovinezza lontana.
Il cerchio della morte
Splende il volto della luna
bianca immagine della notte
ammantata di silenzi astrali,
quando precipitano le ore, fulgide
sembianze, asserragliate nelle ombre
che la paura inerpica sul greto
d’un fiume che non c’è più.
Nell’abisso si compie il sortilegio,
innocuo giuoco che la morte
attanaglia nel caldo di questo
agosto: si preannuncia il rovente
insorgere d’un modellato
richiamo della natura al dialogo
interrotto, quando i bastioni
infissi sul cielo azzurro
perforano il Creato e tutto
si spalanca il cerchio della morte.
Nello scenario del mondo
La cinciallegra mi sveglia
in un mellifluo silenzio
che s’attarda a porgere
alle piccole bocche vogliose
il gusto dei lombrichi, prede
amene, quando il nido
dipinge la solerte baldanza
dell’alba. Gridano i fringuelli
e il frinire delle cicale, nello spazio
arroventato dal sole,
fra screziate luci gialle,
che scivolano sull’azzurro
del cielo, si spande
nello scenario del mondo.
S’apre alla speranza la parola
che cagiona stupore e sangue,
e approda al detto “homo homini lupus”.
da NON È PIÙ STAGIONE
Voce sicura
Questa vita tormentata
non so che mi riserva.
Capelli al vento all’inizio
di un ottobre che lascia
il tempo che trova. Vana
sensazione di rantoli scolpiti
sulla tua immagine che stride
con il comportamento ameno,
voce sicura in un silenzio
vibrato sulle cartilagini
delle memorie. Quante lune
vedrò sparire nel cielo aperto
a ogni speranza. E volevo
cantare tra le siepi
su cui s’arrampicano rosse
coccinelle, come per dire frasi
d’amore ingentilito dalle poche
cadenzate sillabe traballanti
sul terrapieno sul quale
tutto finisce in un giuoco disperato.
Ritmi
Flessuosa coltre che muove braccia
intessute di ritmi abbaglianti sulle
fervide giocosità di silenzi brevi
nella notte che passa lieve sulle
colline infiammate dal ricordo
di un’estate in altri luoghi perduti
della memoria, vasta serenità
attenta ai rumori dei carri colmi
di rottami. Aumenta il tripudio
del cielo stellato. Rimarrà solo
il manto colorato della luna.
Nella notte
Scorrono quaggiù nel grembo
di una solitudine tristi memorie
di anni facili ai silenzi notturni,
alle fantastiche coltri assopite
sotto gli sguardi di una luna
bianca come il viso che abbracciavo,
mentre cantavano i grilli e gli ulivi
battevano forti contrasti nella notte.
Suoni di guerra
Hamas, Israele, Gaza,
nomi che sanno di morte;
dai cuori degli uomini s’alzano
canti di pace. Non dormite,
bambini, i padri imprecano
alla viltà del mondo, il mondo
risponde alla follia.
da E UNA NOTTE SOGNAI
Un mondo che non c’è
Tanta serenità in questa calda giornata che la chiaria
spande su tutta la costa e in mare
una barca solca l’azzurro volgersi
del meriggio. Altrove velenosi ricatti iracheni,
i delitti delle Bestie di Satana, gli ostaggi
dei terroristi ceceni, altrove non c’è questa
serenità che soffi di vento allertano qui
sulle querce e sui pini assuefatti al muoversi
lento delle ore, dei minuti, dei secondi
che porteranno in alto fumi di polvere
e refoli di parole, se scavalcano colline
odorose per perdersi in un mondo che non c’è.
Morire
Immaginati disteso su un’isola lontana
dove il caldo mozza il respiro e la pelle
si colora di lucenti raggi del sole che dardeggia
sul mare che ti circonda, sulle rocce che si sfaldano
nell’insolito vanire di penduli frutti
ambrati nell’aria che non si muove
e in tanto sospiro morire come per credere
al bene della vita che spalanca le sue fauci.
da ALLA FINE DEI SOGNI
Madre
Il giorno del tuo compleanno si spegne
come una candela ridotta ad una
bava di luce che risplende solo
per chi ti ascolta, ora che la memoria
tende a disfarsi in lontane fantasie.
Il color ocra della tua veste
si muove per casa, spazza i corridoi,
ma io ti sento anche quando cade
notte e tu piombi in un sonno che ti dà
pace. Ascolto il soffio sì sottile
se l’abat-jour resta accesa soltanto
per farti sognare quel mondo inerte
che non c’è più neanche nelle sperdute
lontane memorie che riecheggiano
il ritmo della tua continua attività.
Credimi, madre, se la mia voglia
di abbracciarti e sciogliere tutto ciò
che dentro me si scatena
nel sole quando ti annienta nella sola
virtù in cui non mi riconosco e dici
di perdonare quanti sono pronti
a spiccare il volo della codardia,
ma ho un sesto senso che mi brucia
nel cuore e da lontano s’assiepa
il filo delle mie sensibili crepe
e stringo i denti, ventilando forti
assedi scorciati sulle intemperie lontane
che rovinano gerani, gerbere
nel nitore del rosmarino soave
profumo che s’innalza tra le coltri
delle striate fertilità connesse
con il nettare che le api suggono.
Guarda, Dio, nella preghiera di madre
la gioventù in cui è ridotta, pace
ineguagliabile; senti ne sono certo
il gemito di chi ti accoglie sempre
nel suo grembo di madre antica e serena.
Pasqua
Corre il tempo, è già Pasqua,
il cielo ha mutato i suoi colori,
i verzieri e le strisce sinuose
sulla terra rossa sembrano l’annuncio
di un avvenuto mutamento stanotte
tra i palazzi dai lucernari
spenti. Paradisiache sono le mani
che benedicono dicendo a tutti
“Cercate le cose di lassù”.
da PERDUTA MEMORIA
Il mio nome
So dove morire, so dove cesseranno
i miei passi stanchi quando la notte
talvolta sbriciola i pensieri e dice
che la tua bocca è la sensazione
derduta della mia felicità. Saggiatemi,
occhi inverosimili, mani bianche,
dita dinoccolate, sono nelle vostre
mani che mi parlano delle difficili
cadenze perdute in una città
che mi illude. Città in cui si scontano
le ore che trascorrono in un giuoco
che fluisce dalla tua bocca
se non riesce a pronunciare dolci sillabe,
che si perde sulle contrade
contraffatte dagli umori consunti
dalle more difese dai grovigli
delle spine. Fiore rosso, rosa
rossa fra le tue mani. Io
non sono che un poeta e non
so parlare se non della tua bellezza,
incantevole creatura, che conosco
quanto possa resistere al mio domani.
Tristi ricorrenze
Chi sono non so nel disperato tentativo
di sottrarmi alla marea che avanza
in questo inverno in cui s’innalzano
i cieli e i freddi tocchi della tramontana
ridondano in un senso inverso
a quello previsto dai tuoi sogni,
dalle tue malinconie, dai tuoi
convulsi scenari adontati sulla
breccia colma di insolite vesti
serpeggianti sui giardini sbilenchi
di un impossibile divenire. Tutto
è colore e tutto si spegne
contro il cielo di nubi minacciose.
Solo sarò nel vento di questo
giorno che è la fine di un ritmo
abbassatosi fino alle grondaie
che crollano sotto i colpi di venti
misteriosi in un calcolo appeso
alle tue tristi ricorrenze, alle
tue morte memorie colte nel dolore.
Nel vento caldo
Se lontano si perde il senso dell’armonia
cielo e mare si confondono, l’orizzonte
è il limite del mare. Tutto è infinita
vanità nei riflessi sparsi sulle continue
tracce delle sembianze tuffate nell’acqua
calda di luglio che sembra innevata
saggezza, ma è soltanto uno spruzzo
di poche scaglie aggravate da tanta
miseria sparsa sull’infinita varietà
dei colori dipinti su un’immobile tela.
Guardatemi soffrire su questo lungo
assiepato fragile sentiero tra i rovi
e le spine che s’arricciano sui muri
di cinta delle ville. Da bambino
cercavo equilibrio anche sui muri a secco
dove si poggiavano fichidindia stagliati
sull’azzurro velo a pena a pena sfiorato
da nubi basse che passavano su di me
a varie forme e diafane nel silenzio
rotto dallo strido di uccelli, passeri
e gazze che s’annidavano sulle palme
dritte e toccavano un tetto avido
di sole nel vento caldo dei campi.
da IL CUORE IL CANTO LE STAGIONI
La voce del mistero
D’improvviso il cielo s’annuvola;
sul mare piove una tempesta:
coglie di sorpresa i natanti,
che s’appressano a rientrare nel
porto che quasi non si vede.
Si rabbuia anche l’anima mia,
il ritmo cui soggiace la voce
del mistero. Spensieratamente cerco
la luce in questo buio fitto
che si prepara a scendere
sul meriggio rinfrescato dalla
tramontana improvvisa che cade
dall’alto della costa annerita.
Non dimenticate
Non dimenticate i poeti,
perché vivono nella più amara
solitudine e sentono gli orrori
d’un mondo che trascina veleni
contraffatti dal madido sudore
della notte. Non dimenticate i poeti
che soffrono d’un male oscuro
e misterioso sotto le ceneri
dei boschi ridotti in fumo;
non dimenticateli nelle loro tombe
fredde su cui un fiore luminoso
dà vita ai loro canti ispirati
dal seme fecondo della notte.
Ritorno al male
Vorrei solo dirtelo il male
che provo in questi giorni
in cui si muovono lente
le diplomazie di Paesi
che sono responsabili di stermini
e di fratture consumate
in un territorio devastato
dalla fame, dal buio,
dalle malattie, da un dittatore
ammaliato da fantomatici
ideali. Ritorno al male;
ritorna anche tu a seminare
speranze sguarnite di colori.
Questa amara contea
Quale volo d’uccelli che corrono, un attimo
nell’azzurro si perde nella foschia
lontana l’anima mia,
fra cieli che riempiono l’armonia
di questa sera d’agosto lungo
la scogliera aperta alla giovinezza
amara nei bassi colori rosa
del tramonto increspato dalle acque.
Salgono dove si posa il sogno
d’un lungo calvario che trasuda
dall’acqua su cui si allontanano
paranze e natanti in preda
alla giornata nottetempo protesa
verso il mare del Sud,
verso la porta di cuori selvaggi
incatenati dalle speranze
infrantesi sulle scogliere immote
e ossute di questa contea.
Si scioglie ogni cosa
Nella profondità del mare si perde la parola,
l’apostrofo che elimina una lettera
scolpita sulla tua bocca che abbraccia
pendici ritmiche e acacie protese
sui funambolici e ritorti muretti
vicino agli steccati entro i quali
si gonfiano le bestie. Cielo, ogni
mesta sillaba si perde in questo
vagare dello sguardo che tocca i riflessi
inossidabili del sole, ogni certezza
si fissa sui sibili delle sirene
nelle scorribande insulse fra casolari
e baracche ormai non più in uso.
Si scioglie ogni cosa nella prepotenza
del tempo che non dà tregua
al divenire della vita e della morte.
da VERSO UN GELIDO MARE
Un segno di vita
È di nuovo pioggia fitta. Il mare
si confonde con le acque che
precipitano dal cielo uniformemente
nero. Sembrano fumi all’orizzonte
le nebbie che nascondono la costa
lontana. Qui non ha senso
un segno di vita e la morte
si consuma in una distesa
grigiofumo. Fa tremare il domani
fra lampi e tuoni
che sussultano sull’immensità
aperta al diluvio paurosamente
abbattuto nel fragore all’unisono
scoccare delle ore ferme
su questo destino denso d’amarezza.
La mezzaluna
Uno stormo di gabbiani acceca
la mezzaluna incontro al vento
di scirocco che increspa il mare
livido in questo vanire del giorno.
Un botto da ponente rompe
il silenzio inquieto della sera
che scende e riposa l’anima mia.
Lontane le barche si trascinano
verso l’orizzonte e pescheranno
i sogni del domani ansioso.
da REMOTE TERRE
Qualche rumore
E fu così che la notte
passò rapida e l’alba riapparve
mite e silenziosa. Io ero solo
e soltanto qualche rumore
molesto turbava i miei sonni
e la mia stanchezza. Poi venne
il giorno e ascoltai la tua
voce ormai non più tesa.
Il telefono fu il nostro tramite
e il tuo orgoglio improvviso
mi spezzò il cuore, già
trafitto da tanti pensieri.
Non avevo voglia di risalire
la corrente. Tutto finiva
così miseramente.
Serenità
Il cielo è un lembo azzurro
quest’oggi in cui si rinnova
la speranza che tutto rinasca
nella serenità del creato.
Ho spedito il mio regalo
in una città lontana
morsa dal freddo e dal vento
cupo di una stagione
che segue il suo ritorno,
“a marzo” – dici –. Ma
è forte la mia voglia
di rivederti tra le due torri
cresciute su uno spazio
che pare ghermito dal silenzio.
da ANEMONI
Anemoni
Era nell’aria il profumo degli anemoni
e il respiro era come un batter
di ciglia nel vago sentiero
incrinato lungo le pendici
della vetta antica. Antico dolore
di padre che non ha il conforto
della parola baciata dal vento
d’un mattino inerte al sordo
giuoco della morte in agguato anche
quando tutto si perde
nel tepore di un’altra fiamma.
Fantasia
Rieccomi in una piovosa serata
a cercare il richiamo più intimo
alla vita, al sogno rarefatto
delle vicende che hanno un loro
gesto; l’umana meraviglia
si assottiglia come l’enorme
rifugio della fantasia che si discolpa
al giro di boa quando tutto è
all’estremo giudizio punto
nebuloso d’umana insistenza.
Ora saprai il gemito dello sguardo
che incredulo fruga su
codesta stagione.
da PER QUELL’ANTICO PRIVILEGIO
Ora sei tu che mi parli
Ora sei tu che mi parli
da una terra che non vive
se non nelle tue brevi parole.
Solo il tuo sorriso poteva
distrarmi dalle memorie.
Fronte serena ha il tuo volto
come qualcosa che si vuole
per uno scherzo impossibile
dell’anima. E tu ridi
come se a nulla valga questo
silenzio che il tempo vorrebbe
disperdere in una dura prova.
Allora ti chiedo perché mi segui
se la mia corsa è così incerta
in quest’angolo perduto
del tempo. I capelli neri
si sciolgono come a perdersi
nella memoria e vorrebbero
condurmi ai margini
della tua giovinezza.
Eccomi, mondo
Eccomi, mondo, nella testimonianza
del mio esistere. Io che sento
l’estremo urlo della morte,
io che parlo l’estrema vita,
io che ascolto l’estremo odio
lambire la cornice del mattino,
io denuncio al mondo il mondo
e nell’imperdonabile odio
rasento la coscienza di una vita.
da LITANIE DI SAN MARTINO
La periferia grigio verde
La periferia grigio verde
si schianta quando sfilano i treni
che salgono a un’altra Italia.
Sotto l’albero di fico
giocano il bimbo e il gatto
bianco. Sgrani la melagrana
sotto il canneto
che si sbriciola al tramonto.
Frattanto un rombo
di moto eccita fantasie
del cane che abbaia.
Un bar di periferia o di paese
Un bar di periferia o di paese:
gente che legge a malapena.
Il bianco e nero d’un video
che riflette storie
di popoli e una civiltà
futura scoperta solo
da pochi fortunati.
Anche la tazza di caffè
ha il manico scheggiato.
Trascorre monotona un paese
Trascorre monotona un paese
del sud la sera nei bar,
nel cinema chiuso, al tanfo
di terra e sudore,
sulla porta di casa
che sbocca nella strada
giallognola.
E le processioni d’uomini
e di cani; l’andirivieni a coppie
e le famiglie a festa la domenica.
Non cambia la voce dei mercati
finchè non grida l’amante
e a vuoto esplode un colpo,
e s’affretta la folla
di curiosi
a seppellire il canto della sera.
Guarda il confine
Guarda il confine dove la pietra
rocciosa inghiotte l’Adriatico
azzurro, e una torre
sfida i richiami del vento
che assalì la costa
secoli prima del tuo pianto.