Giovanni
RAMELLA BRAGNERI

Giovanni Ramella Bagneri è nato nel 1929 a Riabella, frazione di San Paolo Cervo, in provincia di Biella, ed è morto nel 2008 ad Orcesco, frazione di Druogno, provincia del Verbano-Cusio-Ossola. Laureato in lettere, ha insegnato nelle scuole medie. I suoi libri di poesia: Luogo intricato (Viemme, 1974), Muro della notte (Quaderno 30 della Fenice, Guanda, 1978), Miserere (Lugano, 1978), Autoritratto con gallo (Mondadori, 1981), Storia del soldato e altri poemetti (Forum Quinta Generazione, 1982), Solo bianco (Il Piombino, 1983), Carnevale (Arzanà, 1983), Il teatrino del mondo (Forum Quinta Generazione, 1984), Città d’illusione (La Vallisa, 1984), Il fantoccio grigiastro (Forum Quinta Generazione, 1985), Terra della sera (Forum Quinta Generazione, 1987), Mondo vuoto dietro (La Vallisa, 1988), Armageddon e dintorni. Poesie edite e inedite (Insula, 2011). È presente in varie antologie, tra cui, in Italia, “Poesia degli anni settanta”, a cura di Antonio Porta (Feltrinelli, 1979), “Antologia della letteratura italiana dal dopoguerra ad oggi”, a cura di Francesco De Nicola e Raffaele Pellecchia (Di Mambro, 1983) e “Poeti del Piemonte”, a cura di Giorgio Luzzi (Forum/Quinta Generazione, 1983); in Jugoslavia, “Antologija talijanske poezije XX stoljeca” (“Antologia della poesia italiana del XX secolo”), a cura di Mladen Machiedo (Svjetlost, Sarajevo, 1982). Sue poesie sono apparse anche in Argentina (traduzione di Antonio Aliberti), Stati Uniti (in lingua originale e nella traduzione di Renata Treitel) e Grecia (traduzione di Febo Delfi). Ha collaborato a riviste, tra cui “Quinta generazione” e “Uomini e Libri”.

POESIE

Chiesa
Nella Chiesa, su in alto
i lampi si susseguono,
sotto la volta gli alberi dei fulmini
crepitano, si mutano continui,
suscitano dall’organo una musica
dissonante, bizzarra,
che si spegne di colpo, già rinasce,
i bagliori percuotono le scene
affrescate, le sdoppiano,
le proiettano
in vortice nel vuoto.
Come giù, ombre carponi
grigi, terrosi, fagotti di stracci
sul pavimento, mugolando
– ma uno in piedi, a gambe larghe,
la faccia cancellata, bianca,
mani sui fianchi – buio giù
e lezzo acre di corpi, luogo infetto,
fosforescente, di muffe,
che si decompone, che marcisce,
candele spente, nessun apparato,
nessuno che salga all’altare,
tabernacolo vuoto da gran tempo:
come attento, lui, fisso
– o in atto di sfida, arrogante:
ma senza faccia, cieco e sordo, lui,
forse nemmeno vivo, imitazione
di un vivo, ben riuscita,
che deve ingannare e inganna,
o statua fuori di posto,
ch’era in altro, prima, adesso giù
tolta dal piedestallo e abbandonata
lì in mezzo, ancora ritta
per caso – e a terra gli altri,
tremando stupefatti,
nemmeno più capaci di capire
dove sono e chi sono,
o diligenti comparse per una
rappresentazione senza senso…
guarda non è umano è ancora umano,
sfida quel vuoto lui centro e pensiero,
sente Dio finire l’universo
disgregarsi, non può
arrestare la frana,
si aggrappa a a se stesso, è ancora uno,
già si va sdoppiando, moltiplicando.

Doppio canto d’amore
(A)
Se mi amerai, e questo è più facile in primavera,
uscirò sotto la pioggia a cercarti una corona
di ortiche e penne di corvo e un manto di carta di giornali
e, preso l’anello regalo trovato nel detersivo,
ti condurrò a un altare ornato di corna di becco.

Se invece non mi amerai, e questo è più facile d’autunno,
con una borsa di tue fotografie proibite
andrò a propagandarti per i quattro punti del mondo
finchè tutte le camere le cucine delle casalinghe
non siano piene di strilli e di pantofole scagliate.

(B)
Se mi amerai, e questo è più facile in primavera,
mi alzerò dalla panca all’angolo del camino,
mi toglierò il grembiule cenerentolo,
mi laverò la faccia e mi riavvierò i capelli
e farò passi di danza fino a te.

Se invece non mi amerai, e questo è più facile d’autunno,
tornerò al mio cantuccio e spingerò via il camino,
mi leverò il vestito da ballo e le scarpette di cristallo,
m’infilerò i blue-jeans e accenderò il televisore
e aspetterò che venga qualcuno più bello di te.

(A)
Se ti amerò, da mattina a sera sarò in giro
a cercare fuscelli per il nido,
ti coverò le uova perché tu prenda respiro,
insegnerò ai pulcini a far pio pio
e sarò tutto fiero e soddisfatto di me.

Se invece non ti amerò, butterò all’aria il tuo nido,
non ci saranno più uova e tanto meno pulcini,
ti beccherò e ti caccerò via,
poi sul ramo più alto starò io
a fare in modo che non torni più.

(B)
Se ti amerò, ti darò da mangiare
sempre la stessa minestra, ma con una tal grazia
che non sentirai più bisogno d’altro,
e se alla fine sarai grasso e sazio,
sarò tranquilla e sicura di te.

Se invece non ti amerò, quella minestra
diventerà un’acquaccia mal salata,
buttata lì senza un minimo di grazia,
sbrigarsi perché poi c’è da fare altro,
e se non sei contento prenditela con te.

(A)
Da gennaio a dicembre ti amerò per il sì
e ritornando indietro ti amerò per il no.
Ti amerò con la pioggia e con la neve ,
col caldo e il freddo e il bello e il brutto tempo.
Amerò in te ciò che passa il convento,
quello che prendi perché non c’è altro,
ma non lo dirò mai, nemmeno a te o a me.

Amerò in te gatta e capra e gallina,
quella che morde e quella che ti becca,
quella che graffia e quella che t’incorna.
Amerò in te la notte e il giorno,
ma così rassegnati tutti e due
che non mi accorgerò nemmeno della morte
quando verrò a riprendersi la museruola e la catena.

(B)
Dal lunedì alla domenica ti amerò per il diritto
e ritornando indietro ti amerò per il rovescio.
In ogni settimana mese stagione anno ti amerò.
Amerò in te ogni mia sconfitta, ogni vergogna,
il brutto della vita, il disgustoso,
ciò che si vorrebbe dimenticare,
ma non lo dirò mai, nemmeno a te o a me.

Amerò in te il caprone, l’asino, il topo e il pidocchio,
il viscido, lo sporco, ciò che ti salta addosso
e mai riesci a scrollare da te.
La paura, il sonno della ragione.
Ciò che ti rode, ti strania e ti svuota.
Alla fine sarò così contenta di morire
che quasi non sentirò cadere a terra la catena.

Nella casa
Questa è la nostra casa,
la bella, solida casa
dove potrai vivere tranquilla.
La bella casa sicura
con le finestre aperte sulla strada
per guardar fuori la gente che passa
per guardare il traffico fluire
guardarti la civiltà
far passare il tempo in qualche modo,
o accendere il televisore.
Seguire il tuo programma preferito,
con le spalle protette,
al calduccio d’inverno.

Qui c’è il televisore
e anche il frigorifero,
c’è la cucina elettrica
e la lucidatrice e il frullatore
e il giradischi con gli ultimi successi.
Ti ho comprato tutto, proprio tutto.
Potrai vivere bene,
almeno fin che dura.

Fin che dura? Come fin che dura?

È così. Ti sbatteranno fuori
e non protesterai nemmeno.

̶  Tu dici fuori di qui?
Chi mi sbatterà fuori?

Tutto quello che c’è dentro.
Tu credi che una casa
sia fatta solo per te.
Una casa è una casa
e tu sei solo una donna.
Se non obbedirai,
ti sbatterà sulla strada

Non mi sbatterà sulla strada.

Dovrai lasciarla sfogare
E poi chiedere scusa.
Una casa è una casa
e noi siamo di troppo.
Da queste parti è difficile vivere.
Occorre rassegnarsi, amore,
perché ne abbiamo bisogno.
Forse, una volta o l’altra
ci brucerà il paglione
e allora sarà finita.

Perché? Finita?
Perché non siamo niente.
Poi verrà qualcun altro e sarà uguale.
Non siamo proprio niente.
Gente che va e che viene
e che non può mettere radici.
Una casa sente queste cose
e allora ti brucia il paglione.

Non voglio andarmene di qui.
Ho lottato tutta la vita
e non mi lascerò cacciare.
Dovremo fare qualcosa.

La lasceremo sfogare,
poi torneremo con la faccia allegra.
come se non fosse stato nulla.

Non possiamo vivere così.
Questo non durerà a lungo.
Occorre essere forti,
dire quello che pensiamo
Tu credi che una donna
non sappia ciò che vuole.
Volevo un anello e ce l’ho.
Volevo una casa e ho anche questa.
Saprò farmi obbedire in un minuto.
Lascia alla donna il suo posto
è fatta per queste cose.

̶  Ti brucerà il paglione.

Non me lo brucerà.

La prenderai di punta
e ti farà filare.
Una casa è una casa:
chi non si adatta va fuori.
Poi fai la barba e rientri,
ma trovi tutto cambiato
e nemmeno più di tuo gusto.
D’altronde non sarai la prima.
Qui succede sovente.

̶  Che succede? Che succede?

̶ Quando ti sbattono fuori,
puoi rientrare dalla parte sbagliata.

̶  Io non mi sbaglierò.

̶  Ci farai l’abitudine.
Tu credi di essere davanti
e invece ti ritrovi dietro.
Aspetti di vedere il traffico
e invece non passa nessuno.
C’è solo un vallone di cespugli.

̶  Un vallone di cespugli?

̶  O forse è la parte giusta.
Quando rientri, non c’è niente.
Allora accendi il fuoco
e metti i panni ad asciugare
Tireremo avanti in qualche modo.
Coltiveremo la terra,
alleveremo bambini,
almeno fin che dura.
Quando sbaglierai entrata
non ci farai più caso.
Ogni tanto di qua,
ogni tanto di là:
in fondo non c’è differenza.

̶  Non coltiverò la terra
e nemmeno laverò i panni.

̶  Coltiveremo la terra
alleveremo bambini.
Quando siamo di qui
è già molto se si mangia.
Ci guadagneremo il pane
col sudore della fronte.
Andremo a dormire presto.
Ascolterai la notte
dilavata. Andrai fuori
se lo vorrai. Non sei la prima che
vi resista.

̶ Resistere?

̶ Resistere. Questo è
il luogo della paura deforme
che strepita e impedisce di pensare.
Qui si vive in attesa,
qui si stenta e si spera
di andare via, qui sale il freddo e c’è
chi urla a lungo e ha sempre fame e sete
e di notte si leva dal suo angolo
e ringhia e raspa sulla porta se
nessuno scende: questa è la mia parte
d’eredità e la tengo preziosa.

̶ Chi è? Chi è?

̶ Qualcuno, e tutto. Sono due, e tutto.
La Morte e il Diavolo.
Vivono qui da tempo. Sono amici.

̶ Io non li voglio per amici. Dove sono?

̶ Nella stalla.

̶ Nella stalla?

̶  Ruminano in pace
e mi dànno da vivere e ne ho cura.

̶  Io non ne avrò cura. Tu, ci penserai.
Anzi, no. Dovrai mandarli via.
Voglio dormire tranquilla.

̶ Tu non dormirai.
Io non dormirò.

̶ Perché? Perché?

̶  È così: non dormirai.
Io nemmeno.
Noi non dormiremo né qui né fuori,
potremo al più ripararci dal freddo,
perché quando la Morte ha fame
e il Diavolo ha sete,
perché quando hanno fame e sete
e la Morte urla
e il Diavolo risponde,
e il Diavolo urla
e la Morte risponde,
fanno un frastuono per la casa
e raspano sui muri e sulla porta
e cercano la botola per salire
nella stanzaccia dove stiamo col
lume acceso e rabbrividiamo stretti,
e gridare non val nulla perché
quando vogliono balzan fuori e corrono
per la terra e nessuno può fermarli:
poi tornano quieti
e se siamo fuggiti
ci vengono a cercare.

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