LE POESIE DI UN CRITICO: INTERVISTA AD ALESSANDRO SCARSELLA

LE POESIE DI UN CRITICO: INTERVISTA AD ALESSANDRO SCARSELLA

Inattesa e sorprendente è la raccolta di poesie Corte della Temperanza (MC edizioni) di Alessandro Scarsella che, dopo una lunga e molteplice esperienza di critico e studioso della letteratura, pubblica i versi scritti negli ultimi dieci anni. Nel presentarla, Pasquale Di Palmo parla di “una scrittura polifonica che ricorda, nella sua tessitura ondivaga, le frequenze di un elettrocardiogramma”. Il libro si apre con una sorta di poemetto che muove dalla “certificazione” della morte per risalire via via nelle sezioni successive al senso e alla forza di una vita che, sia pure nella precarietà e nell’approssimazione delle vicende, continuamente si riaccende con i suoi fuochi e i suoi abbagli oltre la malattia. Vita che vive nell’intermittenza dominata da una direttrice intellettuale: la voce della morte. Voce della morte che non è, qui, un’ossessione ma piuttosto una misura di consapevolezza, nel rapporto e nel colloquio costante con l’ombra e con il vuoto. E la meditazione sul morire ha, sia pure nell’ottica in sospensione del mistero, una sua attuazione del tutto particolare: è sostanza stessa della visione e del tessuto poetico. Fa quasi da cerchio entro i cui limiti l’autore raccoglie e rappresenta, proprio sullo specchio della realtà, il suo giudizio sulla vita e sul mondo. Un giudizio aperto e in cui la luce non è affatto perdente rispetto al buio. Giudizio che è l’anima stessa del libro, ma non tanto in senso etico, quanto liricamente come cifra melodica: quella musica che è la scansione lieve di questi versi  coinvolgenti. E il tratto originale dei testi è la capacità di trascrivere in originalità l’eco potente della classicità in una scrittura che non cessa affatto di emanare la sua fresca fragranza.

Perché un critico di poesia decide di farsi poeta?
In verità credo che per la mia generazione la scelta degli studi letterari e della critica di poesia, nonché della ricerca e dell’insegnamento di queste materie, sia stata dovuta a una vocazione severa e nascosta. Perché fare il critico o l’insegnante quando da altri mestieri si poteva ottenere tanto di più? Il critico dunque come scrittore mancato? Può darsi, ma una cosa è certa: che le cose sono cambiate da quando nel nostro ambiente sono arrivati i soldi dei progetti europei e molti giovani senza vocazione né qualità si sono tuffati a pesce in un tipo di programmi commestibili per le commissioni ma privi di anima. Molti, non tutti, beninteso. Il danno è comunque percepibile e osservabile. Detto questo il problema non è risolto, giacché la poesia irrompe, credo, quando vuole nella vita e nella casa di chi è predisposto ad accoglierla e, talora, leggere, insegnare, tradurre poesia possono creare le condizioni favorevoli, quantunque dure e non necessarie
Per chi usa le parole per commentare la poesia degli altri, come arrivano quelle altre parole dell’ispirazione?
Si tratta si percorsi distinti e di funzioni separate del linguaggio. La critica della poesia, per quanto empatica, procede da presupposti di controllo e di comprensione, allo scopo di formulare un’interpretazione corretta. Quando ho lavorato sulla poesia mi sono accorto di trovarmi in posizione dialettica. Talora una dialettica negativa e quindi tale da non comportare una sintesi. La migliore critica della poesia ritengo possa credibilmente proporsi come un equivalente della traduzione del testo poetico, senza però approdare a un testo nuovo. Al contrario ho sentito le parole dei miei versi arrivare direttamente dall’inconscio nel contesto di emozioni forti e non previste, anche quando mi accorgevo che erano citazioni o allusioni o. come più spesso avviene, parafrasi di autori e testi che avevo letto o studiato, oppure tracce della Bibbia e della liturgia cristiana, oppure parole di canzoni, scene di film.
Come nasce questa sua raccolta, in che tempi e in che modi?
In verità avevo pensato di raccogliere in un volumetto alcuni versi scritti di getto dopo la morte di mia madre, avvenuta nel 2012, da pubblicare in forma privata nel decennale, 2022. Versi cimiteriali, ricordi di altri lutti e di istanti di smarrimento, con sullo sfondo Roma, nella sua bellezza e nel suo squallore. Successivamente emozioni dovute ad altre cose e ad altri guai negli anni; viaggi, altri soggiorni a Roma, miti, presentimenti e timori, compresa la pandemia e, purtroppo, le lunghe attese nelle sale d’aspetto degli ospedali, hanno aggiunto elementi nuovi che non potevo trascurare, modificando il macrotesto e l’itinerario che a un certo punto arrivò a concepire una seconda parte diversa, con una svolta satirica questa volta, per via di iniziazioni e cerimonie profane. Tra maschere e feste veneziane, la prosecuzione si è tuttavia interrotta ed è rimasta nel cassetto, mentre le pagine successive hanno accolto priorità impellenti che parlavano da sole, senza la necessità di una progettazione a tavolino, e dettavano forte, molto forte, molto rapidamente.
Quali sono i temi o le situazioni che l’hanno stimolata?
Se osservo la raccolta come si è definita, la narrazione comincia con la morte, attraversa la vita e si conclude con la malattia, la cura la guarigione. Da primavera a primavera. Il mio punto di vista è quello dell’attore nella prima parte, dello spettatore nella seconda: uno spettatore non di tipo televisivo, ma più simile al coro partecipe della tragedia greca. Tra i due poli del lutto e del dolore parlano il desiderio e il fantasma; la dimensione del sacro sopravvive piuttosto nell’ironia dell’istante e nella suggestione del mito e della ricerca della bellezza. È solo l’illusione che fa seguito al lutto precedendo l’esperienza indiretta della malattia, delle attese interminabili nelle sale d’aspetto degli ospedali e delle lunghe terapie che lasciano il segno. La Corte della Temperanza esiste ed è uno dei grandi chiostri dell’ex convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia, ancora oggi Ospedale Civile; luogo singolare in cui arte e silenzio, preghiera e morte, spazi antichi, edifici postmoderni e tecnologie salvavita all’avanguardia coesistono in delicato equilibrio, appese quali sono al filo del riuso turistico incombente che, prima o poi ne distruggerà sia l’extraterritorialità, sia l’incanto. Una delle motivazioni ulteriori a pubblicare è, nei limiti del possibile, conservare l’impronta di un complesso architettonico e spirituale unico. Qualcuno, un turista, leggerà un giorno questi versi sorseggiando uno spritz accanto alla vera da pozzo con la statua della Temperanza? La riconoscerà? Chissà?
Da critico come definirebbe il suo stile?
Allusivo, definirei il mio stile allusivo. Questa è però la domanda più difficile. Ammetto di essermi assoggettato a influenze diverse e a contaminazioni eterogenee, facilmente riconoscibili (per esempio Kavafis in alcune delle “Antichità d’estate”). Se dovessi classificare la raccolta nel suo complesso direi che gli strati sono tre: autobiografico il primo, sicuramente; onirico mitologico, iconologico, il secondo; il terzo e ultimo ontologico. Mi accorgo però che progressivamente la visione tende a esulare dalla prospettiva individuale, oltrepassandola in uno stato d’animo generale di compassione collettiva e di speranza. Per quanto concerne la forma si impone la medesima varietà dei modelli: rari endecasillabi, settenari; rare semi-rime, assonanze, versi spezzati graficamente, citazioni, pseudocitazioni, parafrasi, balbettii in altre lingue.

a cura di Paolo Ruffilli

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