IL VIAGGIO IN PATRIZIA RISCICA
La poetessa ed esperta in Medicina delle Dipendenze Patrizia Riscica, nata a Padova e residente a Treviso, nel 2018 ha pubblicato Andar per versi, libro inserito nella Collana di Poesia dell’Editore Biblioteca dei Leoni, diretta da Paolo Ruffilli. In quest’opera attraverso la poesia viene riscoperta la dimensione del viaggio, inteso sia in senso fisico che metaforico. A introdurre alla lettura di ciascuna delle quattro sezioni che compongono il volume, è ogni volta “un’altra Patrizia”. Patrizia Riscica è abile nel catturare le diverse sfaccettature del sentimento che dovrebbe essere dominante, ovvero l’amore. Con una notevole varietà di toni, governati da una scrittura semplice e al tempo stesso pregna di significati, ella offre al lettore pagine intense e vibranti, sorvegliate da un’efficace regia. La scrittura a tratti diviene persino corrosiva, comunque bilanciandosi grazie alla presenza di passaggi più distensivi. Nella prima sezione del libro, “L’andare dell’amore”, (questa parte dell’opera potrebbe intitolarsi Un viaggio chiamato amore), l’autrice ci ricorda che questo forte sentimento, più di tutto il resto, può riuscire a trasformarci (nel profondo) nel corso del nostro viaggio esistenziale. Pertanto, malgrado il persistente senso di precarietà che caratterizza la vita quotidiana in generale, Patrizia Riscica può affermare: «il tempo rinunciò. / L’amore rimase». In effetti, esso sopravvive anche se a volte appare «camuffato da finto addio», e nonostante il fatto che «Mai capirai perché» … «continui ossessiva / a percorrere i malintesi dell’amore» (Patrizia Cavalli ha scritto: «non so bene a chi mi devo dichiarare»). Talvolta si ha paura di amare e, nonostante ciò possa sembrare assurdo, anche di essere felici: «Cosa ne faccio di questo amore, adesso? / Se non posso più tormentarmi / e soffrire nella notte di desiderio?» … «Allontanati, ti prego / non rispondere più al mio richiamo». Il viaggio interiore si inserisce in un ricco e stimolante intreccio di esperienze sensoriali ed emotive. Tutti i sensi vengono vivificati: «vorrei toccarti subito, / tanto che i miei occhi divengono mani». Inoltre, viaggiare può aiutare a superare le condizioni di disagio e a ritrovare se stessi: «i pensieri compromessi dall’altro / non mi appartengono più». Tra le immagini più belle di Andar per versi, destinate a restare impresse a lungo nella mente del lettore, possiamo ricordare la seguente: «Ti aspettavo in cima / a quella scala a chiocciola / su cui tu salivi lentamente / e io guardavo ogni tuo passo, / come se, senza questo sguardo, / tu potessi perdere equilibrio e cadere.» … «ora in un tempo / non più giovane per noi / ancora ti vedo così, / mentre sali verso me, / i tuoi capelli ondeggiano / e il volto si alza in / un sorriso improvviso». La seconda parte del libro reca, invece, il titolo “L’andare delle donne”. Patrizia Riscica riesce a trasferire sulla carta non pochi aspetti della complessità esistenziale e della condizione femminile, poiché ogni donna potrebbe dire: «non sono solo come sono» (Patrizia Valduga). Come ha dimostrato nei suoi libri Javier Marías, anche se sappiamo già quali potranno essere le conseguenze di certe nostre azioni, non riusciamo a fermarci, andiamo comunque incontro alla nostra disfatta o al nostro insuccesso. In linea con tali considerazioni, risultano pure alcuni versi di Patrizia Riscica: «continuerai per sempre / a vivere così / dentro a un inganno consapevole». È vero che non di rado persiste «quell’impulso irrefrenabile a perdersi la vita», tuttavia in mezzo alla natura, tra animali fiori e piante, è possibile «trovare energia e saggezza». Sicuramente Andar per versi dona al lettore un esempio di poesia femminile in grado di esprimere grande forza e carattere. Nella ricerca della propria identità, rimane fondamentale il rapporto “Madre-Figlia”, affrontato dettagliatamente dall’autrice in una staffetta tra generazioni, mentre si tramandano esperienze e racconti: «Intanto tu cercavi in me ciò che era in te / ormai sbiadito, quasi illeggibile». La psicologia maschile, considerata in generale, differisce da quella femminile soprattutto per una «geometria di risposte / a domande mai poste, / sempre in attesa di conquiste e ricompense». In più punti la poetessa riesce a sorprendere e a strappare un sorriso a chi legge, come nel caso dello specchio magico di Biancaneve, così reinventato: «Una pozzanghera per specchio» … «Specchio, specchio delle mie brame / sono io oggi la più bella / del pantano?». Lo specchio è protagonista pure di questi segmenti di versi: «Donne al passo, / intelligenti e produttive» … «con lo specchio in mano / per controllare velocemente» se regge ancora «l’imitazione di se stesse». Proseguendo nella lettura, nella terza parte del libro, che si intitola “L’andare dell’andare”, la poetessa afferma: «sono un pellegrino / toccato dal destino» … «parto in prestito / ma un giorno / mi restituirò». Senza proporsi una destinazione precisa da raggiungere, tra inciampi e imprevisti, immettendosi in un flusso di movimento continuo (anche nei momenti di stasi, quando nulla sembra accadere, in realtà qualcosa muta), è possibile rinvenire i frammenti mancanti del proprio puzzle. Il disincanto affiora in più occasioni, per esempio parlando dell’India: «gli incensi, / il lercio e i fiori di loto» … «finirà questo popolo perso / tra mille incroci scuri, / ma che ancora sa pregare / per sordi e bugiardi?». Per poter viaggiare ottenendo gli auspicati benefici (e soprattutto il giusto nutrimento per l’anima), o per immergersi in un’atmosfera al tempo stesso rasserenante e stimolante, non è necessario andare lontano o contrapporre l’Oriente all’Occidente. Infatti, la città protagonista della poesia “Urbs Picta” è Treviso: «Cerco ancora tracce di colore / sugli intonaci crepati e difformi, / scopro con stupore affreschi magici: / ghirlande di fiori e foglie, delicate fanciulle, amorini, / personaggi e animali fantastici». Giochi di parole con interessanti effetti sonori sono racchiusi nel “Dilemma” di un nulla che «gonfia il cuore di attesa», in prossimità delle battute finali. Il tomo si chiude con “L’andare della vita”, quarta parte dell’opera. L’avvicinarsi alla conclusione del viaggio più lungo rattrista l’anima, per i troppi errori accumulati nello zaino delle proprie esperienze, per i vuoti non riempiti e per il tempo sprecato. Tuttavia essa vive ancora attimi di accensione e curiosità, nel timore che l’ultimo capitolo si possa chiudere all’improvviso, senza essere riusciti a fare tutto ciò che era veramente importante per noi. Le pagine finali risultano piuttosto movimentate. La poetessa, che ci ha donato versi generati «dalla pancia / senza neppure passare per il cervello», senza autoassolversi appellandosi al fatto di aver sempre cercato di dare il massimo, con quella schiettezza e spontaneità che pervadono l’intera opera, ammette: «non sono certa / di aver fatto tutto il possibile / per capire la vita».