La Poesia italiana del Novecento - The italian Poetry of the 20th century

Liliana Ugolini


 

  

Liliana Ugolini è nata nel 1934 a Firenze dove vive. Ha pubblicato 19 libri di poesia, 4 in prosa e 4 di teatro: Il Punto, La baldanza scolorata, Flores, Bestiario, Fiapoebesie/vagazioni, Il corpo-Gli elementi, Celluloide, Una storia semplice, L’ultima madre e gli aquiloni, Marionetteemiti, Pellegrinaggio con eco, Imperdonate, Spettacolo e Palcoscenico, A. Nera dalle Voyelles di Rimbaud, Mito e Contagio, Gioco d’ombre sul sipario, La pasta con l’anima, Carnivore. Oltre Infinito 1 e 2.0 manifesto con Vincenzo Lauria, In Boboli, (Gazebo, Masso delle Fate, Polistampa, Stelle Cadenti, Campanotto, Esuvia, Morgana, Gierre Grafica, Quaderni di Pianeta Poesia). La Pissera e Delle Marionette, dei Burattini e del Burattinaio (Rilettura fantastica del Teatrino), Des Marionnettes (Ripostes, Genesi, The Book Edition) e “Tuttoteatro” 11 drammaturgie (Joker curato da Sandro Montalto). Da queste sono stati prodotti 11 spettacoli andati ripetutamente in scena, un film “Delle Marionette” a cura di Andrea Baggio e 2 opere: Eros e Thanatos con musiche di Stefano Burbi e voci soprano e mezzosoprano e voce recitante, e Cus Cus concerto da camera con musiche di Tommaso Pedani e 3 voci recitanti. Sono inoltre in rete 4 e.book: Ironia dell’ ombra Antologia e Gli occhi di Prometeo con Roberto R. Corsi per la Biblioteca di Rebstein e Il Confessionale e l’ Apostolato e Figurine per La Recherche. Cura da 16 anni per “Pianeta Poesia” con Franco Manescalchi per il Comune di Firenze, la poesia performativa e la scrittura in scena. Per la poesia contemporanea ha curato con Franco Manescalchi l’antologia “Carteggio” (Polistampa), Pianeta Poesia Documenti 1 per il Comune di Firenze, Pianeta Poesia Documenti 2 (Polistampa), Pianeta Poesia Documenti 3 (Il Bandino Pianeta Poesia). Collabora con l’ Associazione Multimedia91 all’Archivio Voce dei Poeti e fa parte del gruppo performativo “Cerimonie Crudeli”.Sul lavoro di scrittura e di teatro Sandro Gros-Pietro ha scritto un saggio antologico: “Liliana Ugolini Poesia teatro e raffigurazione del mondo” (Genesi). Partecipazioni a performance e mail art.

Sito Web            www.lilianaugolini.it

Link                info@lilianaugolini.it


 

 

 

 POESIE

 

La realtà del virtuale (da Oltre Infinito 1)

 

Nel mio sangue sto interna

a mucchiar l’ossa e dei nervi

le cime. Intorno il Ciberspazio.

Di me s’intuban fughe di leggende

e m’avviluppo in mostre di parole.

I denti, immensi denti in sibili labiali

mostrano in schermi proiezioni e suoni.

Il canal ride addosso al virtuale.

Ora l’immagine fa sparire le zolle

ed i cervelli danzano già soli nella ridda

d’un fuori che poi diventa dentro.

Un video-casco, please, un Eye-Phone,

un Head-Mounted Screen, per non vedere

il muro delle pietre.

 

Di qui in aut-put si parte. Io sto

nelle geometriche alla distanza

degli occhi non più miei.

Decostruisco la vista che m’automa.

L’odor di terra porta un verme grasso

al succo d’illusione d’un sistema.

 

Dal trasduttore-casco

cado nel video e muovo parallele.

Se fossi fuori vedrei nuvole

a specchio in movimento d’acque

in antico splendore d’apparenze.

 

L’evocazione mi toglie al sasso.

La tattica m’inganna e tutto me

nel pixel non dà tocco e mi convince

oggetto della cosa. La visione

stereoscopica non basta al punto

dei due punti di vista sopra il mondo.

 

Esser studiati affinché l’effetto

mostri ( la realtà?) al cervello

ed il reale diventi un venticello

( fuori) un poggiapiedi in bilico

( la macchina) alla macchina.

Per un volant seduta

lenta al pasto, m’erutta

un video guasto di TiGi.

Così condisco un fiocco

d’insalata al Cernobyl

con la Percossa a morte

dentro un sacco. ( E’ martedì

d’un tre Novembre Novantotto).

Mi lancio per un film, certa che la finzione

m’allieti dal non vero. Quincy

si trova ad indagar sul nero (sacco)

d’una donna massacrata a botte

( il glotto sdoppia fiction nel reale).

Ho solo un tasto, immemso plateale.

Lo spingo nel futuro del suo tubo ( scuro)

in truce di canale.

 

E’ dato al percepire avere abbaglio

per convinzione d’altro che cova

nel possibile. Il brivido è dentro

nel credibile. Così si vola in cubi

d’astrazione, in teste artificiali

nello scarto millesimo d’un calcolo

che interattivo attende quello sgancio.

Era la spada di Damocle una punta

nel centro della svolta. Ora annuendo

pieghiamo sotto il collo la veduta

d’un pullular di salto fin dove

la certezza è immaginabile

nella telepresenza del suo via.

 

Sta nel suo fatto il tatto.

La perdita si trova nel contatto.

Allo studio un palesar

nel virus virtuale, un cuscinetto

elettrodo superbo al simular concreto.

Dove sta il volo è strano. Si poggia

sopra i piedi d’un divano e regge

su forchetta un monte di cuscini

per star comodo. L’essenza

è che si creda che nel cervello

è già disposto il bandolo a scontrollo.

 

 

Un pulsar dell’istinto

metabola il suo tempo dentro al pasto.

Così in foresta nell’acquitrino

chiaro di tempesta il coccodrillo

insanguina quel ciber

 

Il drillo cocca la preda

sia pesce o gazzella. Espone

come un tronco due nocchie

sotto il pelo. S’agguata bianco

dentro pala bocca, s’aguzza

della forza contenuta.

Com’antro sgola e aggozza

ed il dolor del tramite m’avvince.

Il perder forze in un baleno

è soffoco o squarcio alla laringe.

Dura quel fiato la liberazione

l’immobile che placa la sua tregua

ora che l’accaduto accade, fino alla fine.

E mi consolan l’acque ancora ferme

per un doler passato, per un’attesa

d’ altra morte in diretta

 

Dove si muta l’immutata

voce d’usignolo che nasce

martellante nel bambino

e ancora batte ornata d’usignolo

oltre le primavere?

Dove si muta l’immutabile

arrivo nonostante?

Scorso di nodi scorre

nell’identico moto la bellezza

e spazia seducendo i grembi già maturi

d’offerta. Inebria la salita

avviluppata a speranza noncurante.

 

E’ della natura la disuguaglianza

e nessuno saprà dal balbettio

la sua incapacità. Un bandolo

scientifico si sa ma non lo stillicidio.

L’altro è il mio fuori e dentro di noi due

due filastrocche tonde un uroboro.

La luce è dentro al foro dell’occhio quasi cieco per un tentar col morso

della coda la chiusura del cerchio al volo sempre aperto.




EVA

(Da “ Imperdonate”testo teatrale Morgana Edizioni)

 

 

 

Avverto la trasformazione

metafora d’ un sogno. Fammi

inconsapevole d’ un dolore-risveglio

in brividi di pelle al Settimo Cielo

 

 

Quando le mie parole confondevi

col tatto della mano e la foga del corso

interrompevi, quando l’ umido scorre

sulla pelle, quando ci uniamo al cosmo,

lì percepiamo la possibilità dell’ impossibile.

Tesi e distesi in forme di segreti,

plateali a parole, i desideri in fuga

tratteniamo per un inizio e un gioco.

 

Mentre sollevo chiare leggerezze,

sottile infilo dita nei capelli

e una mano allenta e sa piacere.

Con l’ altra mano tocco la tua nuca

e so del punto in chiave discendente.

Sorge la mano e spalle e dorso letteralmente

a caldo ti comprimo e mano nuova abbraccia

l’ incavo e il dosso. Una mano ti sfiora

come un petalo e il petto si solleva

come sboccio. Pistilli si dilavano

nel giunto e mani e bocche scorrono

nel fremito e un ondulante moto ti trascina.

Tengono a presa gli arti della mano

e i palmi si contendono un fremor di tocco.

In altre mani i piedi si contorcono

vibratile salir di mano in mano.

 

Non più misteri. La vetta è sulle volte

dei miei corpi, a lungo a lungo, dove

la sapienza del tatto è intelligenza.

Scopriamo dolci limiti già impuri

forse quel tanto che non sapevamo

Un oltre il corpo, un rosso in espansione,

un limite allungato senza limite,

un coinvolgimento oscuro, una violenza

sadica alle volte, un misto farsi male,

un piacere dell’oltre negativo dove

quell’ orizzonte non di faccia libero.

Sa d’ amore la piena, sa di droga

il raggiungimento del mai. Non si ferma

la spinta alla curiosità come una punta,

come una falena che si brucia di luce

per un supremo cogliere del volo.

Mi sfiora lentamente la stanchezza.

Ci conosciamo? Siamo l’ un l’altro

uno e più di cento. Piano il raffreddamento

scorre e ci copriamo nella percezione

delle foglie. Quando lasciammo mano

nella mano, quel giaciglio di terra,

sapevamo d’ un termine, assoluto.

Il tempo era passato, forse un seme

ci avrebbe ripetuto.

 

Come recuperare, accedere allo spazio

d’un ovatta che mi lasci pensare?

Come m’affondo e affogo?

Le contese scadute giaccion frantumi

e pesi e oneri m’affossano.

Sarei natura pigra, contemplativa dico

e corro sempre in giro di me stessa

appesa al filo. E mi rivedo volto

dentro ai volti, gonfi a contrasti.

Contarsi a stelle e strappi e la valanga

s’ allenta ora di luce sull’ occhio,

in ragnatele e in attimi di spine.

 

 

 

 

 

SHAHRAZADE

(Da “Imperdonate” testo teatrale Morgana Edizioni )

 

 

Rielabora l’ acqua

il ticchiolìo di fronde

che si traspare in ritmo.

Sta nel protrarsi il liquido

silenzio.La brezza innumerevoli

fa foglie, brivida del tepore

un cantolare misto

che suona del sottile.Un trillo

appena sfoca sul ramo

e un movimento accenna sinfonie.

Forse si accende nel freddo

un lucidar di pinne (l’incanto

della trasformazione)e la sirena

si protende fuori d’un bosco,

fuori fine di fiabe, infinitudine

 

Nell’ arco del mio tempo sono scelta.

Vengo da storie, in ubbidienze senza decisioni,

in accettar. L’ attesa dell’ ignoto, mi stringe

nello stomaco una morsa (un rifiuto) mentre

esser scelta è un onere d’onore. Sopra le porte

le grate d’un dolore come d’ape che nel fiore

si chiuda. Ho solo una punta di curiosità:

vorrei scrutare appena quello sguardo

e le mani di lui. Saper di vena in vena

nelle tempie le pulsioni e indovinare

un mondo delicato, un concerto in fusioni.

C’è un tremito d’ ignoto in questo spazio vuoto

dov’è una sola immagine:la mia.

Come un sacrificale rito, sono giumenta

senza dignità. Resta l’ indugio: m’alzo,

controllo. Le finestre, le tende, un’apertura:

forse la velatura d’ un diritto? Qua se ricopro

un ruolo, son sicura. Un tetto, vesti, il cibo,

forse un figlio, un asilo… Basta un racconto

lungo più di un anno, una corda tenuta

sulla curiosità, una tensione sotto la paura,

una novella, mille, per la staticità.

So di quell’ oltre il muro la caducità,

so d’un saper non acquisito, tutto nuovo

allo scoprir di scelte. Questa mia svolta

è per l’al-di-là, in scivolare fuori dall’antico,

alla soglia di soglie imprevedibili, per la voce

di dentro che sovverte! Questa son io

formata dalla attese, nei tempi del pensiero,

un solitario Zero che comincia a contare

le Sue Storie, forse mille e più di mille,

nella vita di lotta che mi scelgo e così,

conto i passi, dall’ uno, due, tre…

(ogni passo una Mia Storia)

Conto i passi mentre fuggo…

(che al tuo archi/tetto il mio tappeto

ha potere di no!)

 

 

Devo la fuga a te

che mi suggelli in guaiti

e lo strappo mi lacera nei plessi.

Assonarmi vorrei al tuo restare,

libera da chance te liberato.

Sulla soglia mi ricade antica

l’incapacità d’ attendere

occlusione al timpano dei suoni…

 

 

 

 

TRADUZIONI


 

Le pantin

Da “ Des Marionnettes” Book Edition

 

Le pantin s’anime de mains

effleure la tête, rit des yeux

et les petites mains effrayées lèvent

au ciel l’étonnement de la chute

inertes dans la blancheur d’un tablier.

La voix raconte et le pantin

sensible bouge avec la grâce du coeur

du Marionnettiste. Ensemble ils sont la personne

qui raconte l’histoire sans Artifice.

 

Il Burattino

 

Il Burattino s’anima di mani

sfiora la testa, ride d’occhi

e le manine sgomente alzano

al cielo lo stupore per caduta

inerti nel biancore d’un grembiulino.

La voce narra e il burattino

sensibile si muove con la grazia del cuore

del Burattinaio. Insieme fanno persona

che narra la storia fuori dall’ Artificio

 

Les voiles de l’histoire

 

Je n’ai rien su du Marionnettiste

si ce n’est quand j’ai vu passer en char

les voiles de l'histoire. Dans l’immensité

plongée pour de longs temps

parmi les marionnettes en scène

j’ai posé des questions aux pantins.

Eux, par chair et fils

renouaient chars et voiles

certains d'aller où ils le voulaient

 

I veli della storia

 

Del Burattinaio non seppi

se non quando vidi passare in carri

i veli della storia. Nell’immenso

immersa in tempi lunghi

tra marionette in parti

volsi domande ai burattini.

Loro per carne e fili

riannodavano i carri con i veli

certi di andare dove volevano

 

 

 

Tout est dejà vieux

 

La main (le pouce, le majeur et l’auriculaire bien placés)

anime le pantin. Elle envoie joliment au cœur

un espiègle battement d'amour

alors que l'histoire-histoires se raconte depuis les mains

jusqu’au visage couvert.

(Saine honte de Marionnettiste)

 

 

Jaillissent des ventres

les marionnettes en rangs.

Des fils d'air montent et en mouvement le cosmos

évolue. Empilés en tas

les restes de l’habit manqué irréparables

forment l'histoire à venir. Nous savions l'ordre de l’au-delà

et la possibilité de vie en changeant.

Tout est déjà vieux

entre fils et voiles usés à nouveau.

 

Tutto è già vecchio

 

La mano ( il pollice, il medio, il mignolo allocati)

anima il burattino. Muove carino al cuore

un birichino battito d’amore

mentre la storia-storie si narra dalle mani

fin sul viso coperto.

( Sana vergogna di Burattinaio)

 

 

Scaturiscono dai ventri

le marionette in fila.

Fili d’aria salgono e in movimento il cosmo

s’evolve. Nei mucchi accatastati

i resti dell’abito mancato irreparabili

formano la storia futura. Sapevamo l’ordine dell’oltre

e la possibilità di vivere cambiando.

Tutto è già vecchio

tra fili e veli consunti di nuovo.

 

 

 

 

Le train

 

File le train

la force du train

va son train

qui mange aux crochets

du bien divin.

File le train, la vie

qui mange avant

le passé

File le train avec des haltes

et un voyage infini

devient nébuleuse de fins.

(À l'horizon

figures silhouettes

cyclamens plumes).

Arrive la nuit

voyageant à bord du train

et le noir horizon

plongeon dans le mystère.

Qui conduit ?

Je sombre dans le noir

le plus noir baigné

dans les petites étoiles

 

Il treno

 

Via il treno

la forza del treno

va il treno

che mangia alle spalle

un bene di Dio.

Va il treno, la vita

che mangia davanti

il passato

va il treno con soste

e nebula un viaggio

infinito di fine.

( All’orizzonte

figure siluettes

ciclami piume).

Arriva la notte

in viaggio sul treno

e nero orizzonta

un tuffo mistero.

Chi guida?

M’affondo nel nero

più nero bagnato

In stelline…