Rita Pacilio è nata nel 1963 a Benevento, dove vive. Le sue raccolte di poesia: Luna, stelle… e altri pezzi di cielo (Edizioni Scientifiche Italiane, 2003), Ciliegio Forestiero (LietoColle, 2006), Tra sbarre di tulipani (LietoColle, 2008), Alle lumache di aprile (LietoColle, 2010), Di ala in ala (LietoColle, 2011), Il cigno del lago (Pulcino Elefante, 2013), Gli imperfetti sono gente bizzarra (La Vita Felice, 2012, tradotto in francese da Giovanni Dotoli e Françoise Lenoir Les imparfaits sont des gens bizzarre, L’Harmattan, 2016, e in lingua araba da Othman Ben Taleb, Uet Tunisi, 2016), Quel grido raggrumato (La Vita Felice, 2014), Il suono per obbedienza – poesie sul jazz (Marco Saya Edizioni, 2015), Prima di andare (La Vita Felice, 2016), La venatura della viola (Ladolfi, 2019 tradotto in francese da Françoise Lenoir: Les nervures de la violette, L’Harmattan e AGA 2020), Quasi madre (Pequod, 2022), Di ala in ala (con Claudio Moica, RPlibri, 2022), Così l’anima invoca un soffio di poesia (poesie scelte, Marco Saya, 2023). I suoi libri di narrativa: Non camminare scalzo (Edilet, 2011), L’amore casomai (LVF, 2018), Cosa rimane (Augh Utterson, 2021), Il bambino d’oro (Pequod, 2022). Per l’infanzia: La principessa con i baffi (Scuderi Editrice, 2015), Cantami una filastrocca (RPlibri, 2018), La favola dell’Abete (RPlibri, 2018), La vecchina brutta e cattiva (RPlibri, 2019), Tre gemelline ballerine (RPlibr, 2022), Tre gemelline sognano (RPlibri, 2023). È ideatrice e curatrice del marchio editoriale RPlibri. Sociologa di formazione e mediatrice familiare di professione, da oltre un ventennio si occupa di poesia, musica, narrativa, letteratura per l’infanzia, saggistica e critica letteraria. Direttrice del marchio Editoriale RPlibri, è Presidente dell’Associazione Arte e Saperi. È stata tradotta in nove lingue.

ritapacilio@gmail.com

Français

POESIE

da GLI IMPERFETTI SONO GENTE BIZZARRA

*
Si increspa il lago di Nemi
in un gesto di doloroso silenzio
a vederlo mordere nuvole
l’affanno arriverebbe in cima.

Salgono visitatori
in una strada scoperta riaffiorano
in mezzo alle piante
ragazze di colore nude a metà

pascolano paure
e cosce raggelate. E fissano
l’inquieta luce della sera
come fosse un contatto.

Chiedo perdono al mondo/ come lo chiedo a te/ per il mio
peregrinare stanco/ per l’urlo muto/ per la corsa che mi
affanna e dice./ Il destino è un cerchio senza fine.

*
Sputa i suoi drammi
coi colpi di tosse
per gioco, per amore
scorie sottili nelle mani esibite

è latente lo scontento sulle spalle.

Gli imperfetti sono gente bizzarra
lasciati nell’arena, non so dire esattamente,
come un silenzio, un ghigno.
Ho pensato che Dio ama l’insicurezza
e le sfumature dei dirupi.

Io mi trovo qui dove non si torna indietro.

*
Li ho visti avanzare a testa china
venire avanti a voli bassi di uccelli
in mano il sangue castano, le unghie
e
tra ginocchia l’acqua clandestina.
Li ho visti senza Dio, senza parole
con lacrime asciutte di rabbia luttuosa
singhiozzare l’amen di seni spogliati
al figlio trapassato.
Li ho visti assorti, smarriti, soli.
Portavano negli occhi i rovi del mondo
con decenza e con il pungolo nel cuore.

da QUEL GRIDO RAGGRUMATO

*
Lei è la maschia forza che risorge
dalla morte, sotto il porticato c’è
la festa alle viscere rancide
e la consolazione dalla tenebra.
È faticoso buttare i languori
quel primo seme raggrumato
largo, tornito, ricolmo nella gonna
colpita.
Quella sera erano una folla profanata
un tetto che soccombe molle, senza luce
tumefatto di collera.

—————Quella che hai amato
—————io l’ho uccisa
—————l’ho scucita lungo la schiena
—————le ho tirato via la carne
—————succhiato il sangue
—————l’ho stesa sul lenzuolo:
—————è lei stessa quel Cristo feroce.

da PRIMA DI ANDARE

*
Non resta più niente dell’estate verde
sepolta nell’erba stordita e ferma.
Ci sono le mani a fare questo tempo
gli uccelli, il gonfio tuono all’orizzonte,

ci sono piedi selvatici a venirci incontro
come un’onda schiacciata, contusa
sulla nuca, umida, tonda. Non resta
più niente degli occhi tenuti stretti

le montagne aspre, involate
nell’aria debole dietro al fiume e sopra
ogni altra cosa. Se potessi svegliare i merli,
allontanare dal fuso orario l’orgoglio,

girare la testa verso levante, conoscere
l’ardore del volo in assenza di saggezza,
raccoglierei i capelli in una treccia infinita
comincerei a cadere a balzi, di sera in sera,

per svanire in pace, nuda, distratta.

*
Questi ricordi senza casa
La memoria è un’ombra estesa
un disegno per recuperare la vita
rimasta indietro, la tradizione,
ogni cosa omessa.

Noi siamo le mani alzate nel confine incatenato
siamo noi quell’aria che si muove sui monti!
Se tu fossi nella mia testa capiresti la prua
di ogni traversata, la memoria dei luoghi,

se tu fossi nella mia testa non moriresti mai.

*
Non devi restituirmi la difesa
appuntire collera tra me e te
riparare nelle mani a forma di cuore
tutti i pensieri belli e tristi
che raccontano beltà sbarazzine,

non devi sbattere porte per dimenticare
il mento alzato agli uomini che ho
baciato. Non maledire
le parole dei poeti che mi hanno

voluta in sposa e poi copiata.
Non devi perdonare i dubbi di Romeo
il suo Pater Nostro in ginocchio
bruciato nelle lettere perfette

mai spedite. Che fatica
aprire gli occhi e trovarsi attorcigliata
sembrare un tuono, lunga, un fiume stretto.
Vedersi seminata, vangata
un miscuglio di quesiti spalancati.

da L’AMORE CASOMAI

*
Era questione di risparmio energetico, di quel movimento led

Non sapeva dare un nome all’amore
il gesto addomesticato del capo sul grembo
implorava la distanza di sicurezza.
Portava in campagna libri romantici
punteggiature e verbi indottrinati
era carbone ardente essere importante.
Era come se le ore della notte fossero
scandite in modo diverso da entrambi:
lei restituiva al quadrante ogni
stazione ferroviaria. Lui inghiottiva nomi
per intero e senza conoscenza.

*
Si dovrebbe trovare il modo
dire lentamente
il fermento della lezione di Claus
sulla fisicità morale della terra
avvicinarsi agli avverbi in maniera
sterilizzata
svegliarsi nel sangue delle donne
quelle dalla bocca con il fremito
animale.
Sapere che gli anni conservano
verginità squillanti, albe sfaldate
mele screpolate nel forno a ventilazione
spaccate nel mezzo, sfiancate
come d’estate la vecchia crepa del melograno.
Dovremmo far finta di niente
avanzare in una mossa marziale
dare ragione a lei che ascolta
e deambula vaga intorno alla parete
chiazzata d’oro.
Forse è normale sacrificarsi alla dea
egizia, confondersi nel tempio
sotto l’obelisco, occultare
gli occhi pieni di tristezza
abbeverarsi alla fontana quando io
e te siamo una famiglia.

*
Non invidiatemi
ho la pelle vecchia e stanca
ho i capelli bianchi, li vedete?
Non vedete le ossa distese
quanti muri alzano tra me
e il vento?
Non invidiatemi perché non ho
l’orizzonte della verità.
Passo nella cruna arrugginita
dove separo gli occhi dal ricordo.
Non dovete invidiarmi
qui la tempesta mi ustiona intera.

Devi sapere il mio segreto.
Porto nella pancia la pietra del mondo.

INEDITI

Stasera ho scritto a tre uomini.
Il primo senza voce racconta al petto la gelosia.
Scommette i baciamano e la gioventù
con il silenzio intenerisce i figli
senza riconoscere la gelida ombra
questo possesso antracite d’inverno.

Il secondo si persuade di sottrarsi ai resti
fa i conti alla pietra focaia
tradita dal fuso orario
fino alla stanchezza. Come pegno un messaggio.
Qualcosa di difficile ogni sera
oscilla senza meta, senza pietà
disperatamente incerta
– gambetta all’insù –
incorreggibile, incompiuta
mai visualizzata.
Da qui nascono distese sconsolate di vergogna
rivelazione del valore nudo. Origine.
Intatto.

Il terzo sei tu vecchio benedetto
scalfito nella linea curva del dna
dove sfamo ogni giorno
la banale necessità di abbandonare.

*
Dopotutto aprile ci porta indietro
con tenera forza e pigro elemosinare
raccolta sulla spianatoia
la farina dice: ‘ho le calze rotte!’
costretta a ricordare il giro della mano
provarne lo spreco e il pastrocchio del baratro.
La voglia desinata smarrisce l’aggiunta delle sei uova
c’è un punto in cui apre le braccia
un momento del contrappeso prima di precipitare.

*
Ho scritto una lettera per te
per abitarti ancora
scolare dal bicchiere il terrazzo
e il portone in cui siamo entrati.
Tutto il nulla è stato levigato dallo scopo
nel largo tempo il seme è diventato ragione.
Tra le radici delle querce il modo:
l’unico punto di partenza
quel nutrimento trascorso alla stazione.
L’incomprensione sezionata nelle ipotesi
ha aperto cellule al cappotto scuro.
Pugnalata dal discorso sul futuro
talvolta è caduta una foglia.

*
Se dovessi scriverti da morta
userei la biro comprata a Parigi
quella tenuta per le occasioni
inserirei sul piatto il disco che conosci
per concedermi il favore di un bacio
inciso a intarsio sulla mano
i brividi.
E la mela morsa a metà cotta al forno
con le mandorle sgusciate, sciolte nel miele
lentamente come la passeggiata
fatta il giorno prima.
Se dovessi scrivere una lettera
riprenderei le parole dette
una a una per fare le foglie di stagione
risposte giuste, cortesi.
Così fa il vento che inghirlanda i rami
per avvolgere le spalle al tronco.
Lui sarà il custode del fondoschiena
allungherà il suono al tuo orecchio
e ancora una volta crederà come me
di aver finito il fiato.

*
Dagli occhiali svaporo il declino
quella strana sensazione di essere
alla fermata. Non posso farci niente
se la gelata di febbraio permane sulla fronte.
Se padre o madre.
L’hai riconosciuta dalle mani
aperte al vento
e ti sei fatto orizzonte stando a guardare
il fumo inclinato in avanti.

*
Come noi, i pomeriggi di marzo assottigliano
mascelle sbadigliando le occasioni da seguire.
(Continuiamo a non saperci dire che ci amiamo).
Nessuno, te compreso, ha visto in controluce
la combinazione per consolare le cellule perse
tra un atto e l’aria blu. Le parole, una dopo l’altra
mentre spaiamo calzini e prudenti teorie.
Se unissimo i punti
troveremmo l’infinito lasciato incompiuto
il bacio a tradurre il reale e l’altra faccia.

TRADUZIONI

*
Le lac de Nemi se ride
en un geste de douloureux silence
à le regardermordre les nuages
lesoufflearriverait au sommet.

Les visiteursmontent
surune route dégagéeapparaissent
au milieu des plantes
desfillesnoires à moitiénues

quipromènentleurspeurs
etleurs cuisses transies. Ellesfixent
lalueurinquiète du soir
commesielles la touchaient.

Je demande pardon au monde/et à toi/pour monerrancelasse/pour mon cri muet/pour la course qui m’essouffle et me parle/. Le destin est un cercle sans fin.

*
Le premier acte rend l’âme muette
limbe privé de sommeil fauché par le néant
ilsème des refrains entre les rangéesd’oliviers
lecroassement de la rainette marque les heures.

L’azurélémentaire monte doucement
ett’attenddevant le portail
s’étalanttel un lac stérile
apparaissent des yeux de pluiesréfractées.

Nous ne pouvons pas resterdîner
à sept heures le sommeil les sélectionne
ilsdeviennent un ronflementlisse
derares volatiles tournentenrond.

Des odeursétrangestombent au sol
dans la corbeille pas de papiers mais des langues
plus de règles, ni de masques ni de lacets
la nuit l’oxygène ne fait pas de vent.

Ilscomposentcet ensemble de choses
qui a attristé la vie des justes
le faucon blafard sur le cou
descôtes qui n’étaient pas prévues.

Ils sont là, aux confins de la solitude.

*
Au nord-ouest pousse la falaise
les eaux grimpent
là où se pose la clémence
lesalgueslaissent des humeurs entre les doigts.
Des baisersconvulsifs à pleinspoumons
à l’abîme qui reste entre les dents.

Les fous ont des lèvres rose vermillon
les genoux plantés dans la gorge
ceux du premier étage demandent l’heure
et amassent des espoirs pour l’hiver.

Ils écrivent sur les marbres avec du maquillage
et bavent des méduses sur leur menton
ceux du deuxième étage tremblent
le mal qui grandit dans l’adieu.

*
Il crache ses drames
à coups de toux
par jeu, par amour
de fines scories
exhibées dans ses mains

lemécontentementest latent sur le dos.

Les imparfaitssont des gens bizarres
abandonnés dans l’arène, je ne sais pas le dire exactement,
comme un silence, un rictus.
J’ai pensé que Dieu aimait le désarroi
et les nuances des gouffres.

Je suislàoù on ne fait pas marchearrière.

*
Sesamisont des ailes sous
leurs t-shirts
certains ont la tête dans les souterrains
et leurs mains envoient des égouts

comme des baisersconvulsifs
de douces étreintes, ils tournent la langue d’un sourire,
implorent
des réponses du sort et de la pitié.
Ils ont dans les yeux un amour
un pressentiment d’attente
une poudre prête à exploser
une fièvre.

Nous désolés les regardons énigme sans solution.

*
L’obscurité est une morsure prudente
un dessin fait d’absences.
Le creux de l’épaule se dénude
vidé par la main
comme un cerneau
un escargot.
Mon amour je suis cela :
la beauté du cirque,
la faute d’avoir crié
dans ton corps qui mendiait
Ou peut-être
l’inquiet participe
et l’heure scandée du réveil.
Je ne comprendrai jamais rien au nom du soir
aux réverbères déshabillés comme les femmes
à toi qui t’effrites sur le mur de la maison.
(Traduction par Giovanni Dotoli et Françoise Lenoir)

… un noeud
Tu le fais à chaque fois que tu veux m’archiver
tu te cloues au canapé à la vitesse de l’éclair
tu ouvres grand tes os pour attraper le tonnerre
et tu fais irruption dans l’air éparpillé
interrompant notre discours.
Tu te confrontes avec les autres
avec le temps impatient et sans issue
mais dans le brouillard rancunier et sombre
moi je ne sais pas faire les cabrioles, je ne sais pas sauter.

Le monde est un corps dévasté
son herbe est sèche d’avoir trop pleuré
il gît sur le côté sans émettre aucun mot
ses mains n’affichent plus le signe de la paix,
la neige persévérante mourir à petit feu.
On entend la plainte du loup qui agonise
D’aucuns disent qu’on ne peut rien y faire
résignés au timbre du vacarme,
alors je cueillerai toutes les violettes
je les rassemblerai comme faisait grand-mère
je parerai mes cheveux emmêlés
et
abandonnée à la sagesse du nécessaire
je serai pauvre des choses de tous les jours.

Lorsque rien n’a plus d’importance
nous nous tournons les pouces la tête vide
nous mettons même les joies de côté
en faisant voler en éclats le genre humain.
Privés d’ambition et de projets
nous décidons que la vie ce n’est que ça
nous remplaçons l’obscurité par la lumière,
garantie du contact exact de la plume.
Je veux m’exiler dans un jardin
où les bourrasques ne sont pas admises
où la bouche de toutes les violettes
affiche l’aventure audacieuse de l’insignifiant.
(Traduction de Franҫoise Lenoir)