Nato
a Sicignano degli Alburni (Sa) nel 1951, Gerardo Passannante vive da
oltre
quarant’anni in Svizzera, dove a lungo è stato insegnante e preside. Ha
studiato a Milano e a Friburgo, laureandosi con una tesi sul pensiero
politico
di Dante. È autore di sette raccolte poetiche (Miti e
miraggi, L’altra dimensione, Passeggiando con Cristo, L’ora
della memoria, Proibito, Incontro, Sparse) poi riunite sotto il
titolo
complessivo di Canzoniere primo; di altri
due canzonieri di dimensioni petrarchesche
(Appunti di un colloquio interrotto, Ex Glebula
Lux); di romanzi (Rasmletikov,
L’estetica dell’attimo), di racconti (Storie
di martiri), di saggi, diari, aforismi, opere teatrali (Sha
nagba imuru), traduzioni dal
francese e dal tedesco.
Ha
pubblicato una silloge dagli Appunti di
un colloquio interrotto, Edizioni del Leone, 1994; i racconti L’ora della mezzanotte, Edizioni del
Leone, 1996; i romanzi Atto terzo,
Editrice Italia letteraria, Milano 1981; Atto
gratuito, Montedit, 2013; Trilogia
dell’infamia, e-book – in Raccolta antologica Opera uno, 2013).
Attualmente
lavora all’ottavo tomo del romanzo storico Il
Declino degli dèi, di cui sono apparsi il primo volume, Avvisaglie
d’uragano, Città del Sole
Edizioni, Reggio Calabria 2014, e il secondo, Amore e
disamore (con prefazione di Roberto Pazzi), Città del Sole
Edizioni, Reggio Calabria 2014. Di prossima pubblicazione il terzo
volume del
ciclo, Elogio della menzogna. Collabora
regolarmente col settimanale “La
Pagina” di Zurigo, su cui sono già apparsi i primi sei volumi, dei dodici
previsti.
Web www.frammentiriflessi.wordpress.com
Facebook Gerardo Passannante
Mail
gerardo@passannante.ch
POESIE
Da Ex Glebula Lux (Canzoniere terzo)
Sestina
lirica - (314/327)
O
come troppo spesso la certezza
di
un possesso stimato ben reale
ci
inclina alla pigrizia; e sul pensiero
glissa
il torpore ad istillare il dubbio
che
gli esaltanti fremiti del sogno
si
smorzano cozzando contro il vero.
Dunque
non è una bizza? Dunque è vero
che
solo la penuria di certezza
restituisce
il suo fulgore al sogno,
mettendone
in rilievo la reale
consistenza,
a corroborare il dubbio
che tutto
sia prodotto del pensiero.
Sì,
perché nessun dato, oltre pensiero,
vive
di vita autonoma: se è vero
che
l’unica garante, contro il dubbio
d’essere,
è l’ossimorica certezza
che
le solide forme del reale
poggiano
sulle nuvole del sogno
che
fatalmente siamo: e questo sogno,
pensiero
del pensiero del pensiero,
gronda
di concretezza, e dal reale
non
si discosta: risultando un vero
faro
per la coscienza, una certezza
nel
guazzabuglio erratico del dubbio.
Ed
essa solo, la coscienza, dubbio
rampollo
ragionevole di un sogno,
può
abbattere o fondare la certezza
del
mondo intero, e non si dà pensiero
se
il vero sembri falso, il falso vero,
né
quanto il razionale sia reale.
E
indifferente che sia più reale
la
stasi o il movimento, scioglie il dubbio
sull’esordio
e la fine, e addita il vero
nemico,
che cogliendoci nel sogno
o
nella veglia, scardina al pensiero
ogni
altra presunzione di certezza.
Perciò
il pensiero, orbo di certezza,
gettando
il dubbio anche sul reale,
contende
al sogno uno statuto vero.
Da Appunti di un colloquio interrotto (Canzoniere
secondo)
3 / 370
E come
crederei, in questo andare,
alla tua
permanenza per la via,
se appena
sei lontana
sorge il
dubbio?
E come
affermerei, in questo stare,
che la mia
fiamma ti lambisca tutta,
se ogni
guizzo di donna
la rinnega?
E come, tra
sospetto e infedeltà,
giuriamo
tutta-via sempiterna
una labile
intesa fatta solo
di attimi?
7 / 370
Separarsi
per perdersi per sempre,
o riunirsi
per fondersi riversi,
non sono
che vaghezze del pensiero.
L’unico
errore indegno di perdono
è credere
reale
separazione
o incontro,
mentre mai
ci movemmo da noi stessi,
nemmeno di
un millimetro.
11 / 370
Da
audace, vorrei saperti offrire
la parte
più sgradevole di me,
i difetti,
i miei dubbi, le manie,
per darti
una ragione di lasciarmi.
Essendo
vile, invece,
sfodero un
sapere che non ho,
una
profondità fatta di libri,
e l’artificio
della sicurezza.
Ma in
questo guazzabuglio
di vizi e
di virtù,
la viltà si
tramuta in comprensione,
l’audacia
si colora di eroismo:
sicché m’ammiri
per la tolleranza
e lodi la
magnanima bugia.
Eppure nel
tuo errore sei nel giusto:
siccome la
menzogna e l’onestà
non sono
che strumenti d’emergenza
per l’unico,
inglorioso tentativo
di non
perderti.
16 /370
Se
provo a analizzare le ragioni
per
preferirti a un’altra,
non vengo a
capo a niente.
Sei bella:
ma sapessi quante donne
da fiaba ho
vagheggiato!
sei
profonda: ma troppo equilibrata
per essere
abissale;
intelligente:
senza quell'acume
che
dispensa il cinismo;
sei dolce:
ma più bocche e molte mani
ringraziai
per questo;
persino
passionale: ma sgomenta
di fronte
al rapimento dell'orgasmo;
sei acerba
e materna al tempo stesso,
senz'essere
ninfetta o genitrice.
Infine,
depistato,
blocco il
pensiero: e in quel momento avanzi,
disinvolta
e sicura
della tua
potestà,
a
proclamare senza preziosismi
che,
comunque argomenti,
è proprio
te che amo!
18 / 370
Ma
se pure restasse solamente
menzogna e
derisione,
e domani,
sommessa al tuo destino,
seguissi la
tua via insieme a lui;
se pure,
contro quanto oggi neghi,
cadrò dalla
tua mente,
non basta
l’illusione che mi hai dato
di
resistere al monito del nulla,
non basta
la certezza di saperti
una parte
di me mai più recisa,
a dirmi che
non tutto è stato vano
tranne la
vanità di questo tutto?
50 / 370
Ma perché,
mentre il treno mi sballotta
di qua e di
là,
mi
ossessiona il monotono dilemma
che mi
vieta di vivere con te,
e senza te?
62 / 370
Separato da
te per giorni e giorni,
ti inseguo
col pensiero, e per fissarti
ti proietto
nei luoghi più diversi.
Quando
infine un bagliore
mi ridà il
tuo indirizzo:
e scopro
che quei siti materiali,
e la
persona tua che li percorre,
non sono
che prodotti della mente:
e per averti
quindi non mi occorre
uscire da
me stesso.
75 / 370
Mi offri
un’amicizia trasparente,
siccome non
puoi chiedermi il proibito.
Ma tu non
sai quant’essa
sia una
tappa traslucida, una tregua.
Potrò forse
concederla
soltanto
quando smetterò di amarti:
ma da
allora prepàrati al confronto
col mostro
opaco dell’indifferenza.
82 / 370
È assurdo
calcolare
che il tuo
problema è dato dall’incognita
tra due
ideali, e quindi per eccesso,
quando ci
sono donne
cui
basterebbe un mezzo
uomo reale,
e forse, per difetto,
solamente
un’ipotesi!
91 / 370
Il modo più
indolore che hai trovato,
per dirmi
che mi lasci,
è stato di
afferrare le mie mani
in un
raptus più forte del volere,
stringerle
fino a congelarne il flusso,
e, mentre
il pianto ti gonfiava gli occhi,
conficcarmi
le unghie nella carne.
95 / 370
Solare
oscurità della parola
che non sa
rivelarti ciò che celo.
Ma se tu
che censuri ogni insorgenza
dici che la
ferita
è di nuovo
scoperta e forse m’ami,
di che
stalagmiti sono goccia,
di che
struttura le articolazioni,
di che
vulcano sono l’eruzione,
di quale
genotipo il fenotipo,
di quale
big-bang la propaggine,
di quale
iceberg sono l’emergenza,
di quale
cosa in sé sono il fenomeno,
queste
mezze ammissioni?
101 / 370
È buio: io
veglio e tu dormi.
Più tardi,
al levare del sole,
quando ti
sveglierai dormirò io.
Non hai
udito il mio grido notturno,
non sentirò
il richiamo del mattino.
Come la
notte e il giorno,
mi dico
semidesto,
siamo
incommensurabili,
e ci
escludiamo vicendevolmente:
benché
l’uno non ha significato
senza
dell’altra.
125 / 370
Ma un
giorno tutto questo finirà,
e smetterò
di dedicarti versi,
e le notti
non più saranno veglie
sotto il
buio totale della tomba.
E solo tu,
allora, vanamente,
cercherai
questi appunti in cui speravi
per fare i
conti con i tuoi ricordi,
per sapere
se tra coscienza e sogno
ti regalai
un nome che non muore.
Fu il mio
solo retaggio non indegno:
quello che,
quando tutto sarà spento,
rimarrà a
deporre che ai tuoi occhi
fui
un’ombra più solida del bronzo,
io,
ridonato al nulla onde emersi.
204 / 370
Ma nella
notte, dopo una giornata
spesa a
pensarti e a desiderarti,
lentamente
mi acqueto, e realizzo
che il
nostro sogno è morto.
E quando
questo lezzo cadaverico
sarà dissolto
anch’esso, resterà
solo
cenere, cenere:
l’avanzo
naturale di ogni fiamma.
207 / 370
L’infimo
stadio di una relazione
è certo
quello in cui l’amore cessa.
Ché se
crudele è il male che si rende
a chi una
volta promettemmo gioia,
più
delittuoso ancora
è domare un
sentire irrequieto,
per
rassegnarsi all’impoverimento
con cui,
giorno per giorno,
la morte
realizza dentro noi
il suo
basso disegno.
212 / 370
L’essenza
di un amore è nei ricordi
che gli
sono associati e che ridesta
un odore,
una musica, un paesaggio,
un sapore,
uno sfrego della cute.
Sono i
rinvii che lo fanno vivo
e resistono
ancora nell’assenza,
come un
mattone sopravvive al sole
o l’esca
fosforesce oltre la luce.
Ed è questa
memoria, catturata
da una
folla di specchi rifrangenti
ognuno una
monadica parvenza,
che amiamo
più della sorgente stessa.
231 / 370
Oggi ho sperimentato,
io che di matematica so nulla
e non capisco un’acca della fisica,
niente niente il concetto di
infinito.
Non perché cielo e lago
si specchiassero complici l’un
l’altro;
non perché il treno andava
verso destinazioni che ignoravo;
e non perché le ciarle
della tua conoscente occasionale
fossero interminabili e abissali,
ma soltanto perché senza parlare
mi sedevi di fronte, e mi guardavi:
e ciò che si stagliava tra di noi,
quello era l’infinito!
247 / 370
Quando non vedrò più le tue pupille,
sarò meno assetato di visioni;
quando non udrò più le tue
inflessioni,
sarò più prigioniero dei rumori;
quando non gusterò più le tue
guance,
il mondo sarà fatto inappetente;
quando non toccherò più le tue mani,
ritirerò le mie da altre offerte;
quando non sentirò più il tuo
profumo,
l’olfatto sarà saturo di odori.
Quindi, tra l’indolenza
e la morte dell’anima
non resterà che un passo:
dopodiché, soltanto la memoria,
con la sua impietosa compagnia,
si frapporrà tra me e l’altra morte,
definitiva, eterna, della carne.
271 / 370
Non una
sola volta la mia voce
si è fatta
impersonale in questi versi,
intesa ad
evocare gesti e affetti
di un
colloquio privato.
Pure, ogni
volta che li ripercorro,
è come se
una ferita antica
vi
sciogliesse un dolore senza tempo:
e tutto
quanto abbiamo sopportato,
gli
obblighi e le rinunce,
il male che
facciamo o riceviamo,
ci
accomunassero fraternamente
a tutti
quelli, come noi, gettati
in un mondo
che offre per negare.
Da Incontro (Canzoniere primo)
Ancora
chiedo, e ancora! E se stasera
la memoria
ridesta lo riscuote
e il fiume
ridiscende, fluttuando
tra i sassi
che lanciammo, e la betulla
tuffa la
testa in mezzo al flutto scuro
che mai non
toccherà, ma pure, infranta,
rinasce a
nuova vita,
così il
pensiero torna ai tuoi contorni
e riprende
a crearti: ma, sdoppiata,
un fremito
t’ha scossa. E non sei più.
Forse
ricordi: scendevamo all’acque
che
correvano al mare, nella sera
fumosa per
le nebbie, poi dissolte
dalla
pioggia leggera. Quell’incontro
era nostro,
nessuno ci vedeva:
ma il tempo
ci sfuggiva. Ed era ombra.
Così
cessava, quasi programmato,
il contratto
fugace: e ci attendeva,
dopo l’ora
veloce dell’offerta
neppure
assaporata, il nulla, lungo.
Ho perduto
io solo: questo so.
Tu sii
salva: e lo sei in questo andare
confuso,
tra le ombre palpitanti
che
all’angolo declinano, e non sanno
volgersi
indietro. Tu sei salva, forse
complice di
un volere che già temo
e ci
sovrasta, noi che malamente
saldiamo
monche forme di esistenza.
E dove se
ne vanno i nostri passi,
e gli addii
mai detti, o che verranno,
e gli
incontri casuali? Se dovesse
tendere a
un grammo di certezza folle,
- no! -
esorterei - pensiero: il tuo cammino
sia diverso
da questo:
ché tu non
puoi produrre
un tuo
frutto cosciente, come tuo
non è quel
certo scorrere a un ricetto.
Invano
getti sassi
a spezzare
quel flusso che ti ignora:
ti piaccia il
gioco, e godi se altrettanto
lei si
diverta.
È più
grande di me, di te, pensiero,
quel
risucchio invisibile che accoglie
il mio e il
tuo respiro -
E tu che
scendi,
rapido
fiume in fuga da te stesso,
senza
fermarti ancora, tu bagnasti
il suo
piede leggero, e tu accoglievi
il suo
tacito voto nel tuo letto
che ne
turbò il sorriso. E tu ignoravi
il
fallimento che determinavi
di ogni
affermazione edificante.
Al mare
dove corri non perviene
intatta
quella forma:
tu la sciogli
sul ciottolo raschiato,
la slarghi
sul pendio della tua curva:
e di quel
quadro d’acqua, in cui rivisse
solo un
momento, ma per questo eterno,
chi conosce
la formula?
L’hai
portata con te, per sempre, al mare
che
dissolve l’immagine già rotta
nel suo
vasto ansimare: e non ritorna
quel
fragile riflesso,
non più
l’umida sera che ci tolse
ogni
sentire:
e non
l’attende il mare, ma l’oscuro
andare
incontro al dubbio, in una notte
senza
dimora e tempo, senza nome.
Vita che
fu! Non ti raccoglie un porto,
né la mano
paziente ricompone
il senso
del mosaico. È distrutta
quella mia
sera, quella tua dolcezza,
quel tuo
vivere breve in un sussulto
di nervosi
sciacquii, quel tuo arrestare
l’acqua
silente in te: se il tempo scorre
e tu con
lui fluisci, come il fiume:
stasi,
attimo, memoria, essere, nulla!