0

ANTICLIMAX DI LUCA CANALI

ANTICLIMAX DI LUCA CANALI

Ricordi a brandelli e ossessione di esistere. Nel duplice dramma Luca Canali ha sempre convissuto con la propria esaltante consapevolezza di essere un testimone in perenne viaggio. Capace di attraversare la violenza brutale del mondo contemporaneo e di descrivere da sapiente navigatore anche l’universo degli antichi Romani. Imbattendosi costantemente nel mostro orrendo della morte da sconfiggere o narcotizzare tramite una lucida autoironia. Con questa visione materialistica del procedere Luca Canali, classe 1925, giunge ora con leggerezza di scrittura alla silloge Anticlimax (Biblioteca dei Leoni, pp. 96, € 12) nel quotidiano tentativo di trovare un equilibrio fra realtà alienante e lucida follia. Traccia dopo traccia Luca Canali descrive le diverse trasformazioni, condannato a dolore, angoscia, infelicità, deperibile essenza, universale corruzione, decomposizione imminente. Non a caso il titolo stesso del volume richiama a una discesa verso la fine del cammino poiché l’anticlimax, o gradazione negativa, è una figura retorica che consiste proprio in una sequela di termini o locuzioni con susseguirsi di intensità, che diminuisce gradualmente di forza, passando dalle circostanze nobili a quelle più triviali, dalla vitalità più sfrenata allo stato parassitario di ameba. Divisa in cinque sezioni, la raccolta conduce sul confine tra luce e tenebre, tra fiaba e baratro, tra germogli ed epifanie dell’imminente fine del tutto, oltre il quale vi è solo il tempus aeternum del nulla. Il primo movimento è costituito dal poemetto in 29 testi Un’allegra disperazione, con la filosofica scelta di un ossimoro a significare il tutto e il suo contrario, ove nella lizza si contrappongono la goccia della salute alla livida immobilità da sindrome depressiva della gutta insaniae, la goccia della follia. Seguono Ultimi versi agli uomini, l’erotismo spinto di Le amanti, la sezione Personaggi, animali, piante e, in conclusione, E per finire. In conclusione appare ovvio che il Canali poeta subisca di necessità l’attività di acuto traduttore degli autori latini, da Virgilio a Catullo, da Tibullo a Ovidio e Properzio: il suo è un occhio moltiplicato, la somma dei prediletti antichi che va a (con)fondersi in un passaggio di flebo e lenzuola da una clinica all’altra. Così le sue donne si chiamano Corinna, Fulvia, Domitilla, Marzia, Drusilla, Tiziana, Eloisa, mentre è conscio che “il senso estremo della vita è nella / parola autentica, nel / fiore casuale senza nome, / nell’occhio interrogativo del gatto, / nell’effimero lampo di intelletto / fra il buio d’una mente ottusa / dal suo irreversibile handicap.” In attesa del risveglio terribile dopo una notte tremenda, alla luce tagliente del giorno.

 

Franco Manzoni

Corriere della Sera

30

Scrivi un commento