Sebastiano
Addamo è nato nel 1925 a Catania, dove è vissuto e dove è scomparso nel
2000. I
suoi libri di poesia sono: Significati e parabole (1978), La
metafora
dietro a noi (1980), Il Giro della vite (1983), Il bel
verbale
(1984), Le linee della mano. 1983-1987 (1990),
Alternative di memoria. Poesie 1975-1983 (1995). L'esordio
narrativo risale al 1963 con Violetta, cui seguono Il
giudizio della sera del 1974 (ristampato nel 2008), Un
uomo
fidato (1978), I mandarini calvi (1978), Le
abitudini e
l'assenza (1982), Palinsesti borghesi (1987). Ha
pubblicato i
volumi di saggi Vittorini e la narrativa siciliana contemporanea (1962), I
chierici traditi (1978), Oltre le figure (1989).
Web
http://www.addamosebastiano.it/home.htm
Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Sebastiano_Addamo
POESIE
da Il giro della
vite
Tramonto
Questa luce corvina e i
cavalli
impazienti battano la
paglia
per
la futura età senza
ombre, gli
alti
occhi sono spenti strisce
di suoni
illuminano i deserti,
eco di sonni e labili
attese
d'albe vecchie, ossari si
rizzano
dappertutto,
non
vogliamo nemmeno
espiare non aspettiamo
più niente
parole
inconsolabili
nella sera trasparente
almeno
fracassino
le tempie spezzino le
rampe, gli
spazi
corrodano una volta
lasciati dagli
dei in fuga.
Farfalle
Non so
per ritrovare che cosa
lo
slancio vibratile maschio e femmina
il nous
che li contenga
ti
spingi a guardare
le
due farfalle
s'intrecciano
al sommo dell'albero
la vita
più intensa è la più mortale
presto
di esse non si avrà memoria
al vento
della città
tu
continui ad aspettare la piaggia il lampo nel buio
la gemma
che implacabile
spacca la corteccia
il
taciturno inverno che si dilaga
rompe i
muri l'obliquo azzurro
i suoni
il gufo
il
salice del lago
vigile
sicario
con
occhi amari
ti guarda.
da Il bel verbale |
|
Il bel
verbale |
|
Verrà
(non ti curare) con nitido rigore
di geometria verrà il tempo docile
dell'inventario, ragioniere asfittico
e torvo per l'azienda da
portare avanti secondo le esatte leggi
del mercato computando costi e
ricavi, perdite e profitti, e bisogna -
anzitutto bisogna - riordinare il giro,
eliminare le cosiddette spese improduttive,
pervenire al pareggio (meglio
d'ogni cosa un paio di buoi macellati
freschi e vendere tutto: lombi,
muscoli, sangue e acqua, la
pelle, fegato e budella, triturare
perfino le ossa e farne concime
- vita che dà altra vita -) e dietro
la vitrea esangue angoscia (in tal
nome filosofi eunuchi celano l'inutile
ricerca d'identità) che ti coglie
alla nuca, ma con l'uso di un poco di
ragione - secondo l'accurata saggezza
d'Epicuro - pure per te arriverà
di netto il plusvalore finalmente
perentoriamente trionfante
mostrerai a sconcertati dèi il
tuo bel verbale omologato. |
da
Le linee della mano
Rifiuti
a Salette Tavres
La
poltiglia la mucillagine ardente
qui la
bianca città ha evacuato
plastiche
distrutte
ossa
calcinate
l'accumulo
nero, il guasto, il rigetto,
e tutto
il resto fermenta
le
terrose ossidazioni
i cicli,
i cupi fuochi taciturni
la mente
tumefatta
immagini
già vuote
il volto
dalla memoria sfilacciato
l'ameba
turgida e sconfinata
felicemente
la bianca città
si
conficca
nella
dura terra dove è nata.
La
creazione può ricominciare.
Due gridi
Entrambi
li ho uditi.
Era
l'alba per il primo
la fine
forse o culmine
dell'incubo
l'onda
del precipizio
madido
momento quando
svegliarsi
è meraviglia
la flora
tranquilla degli oggetti
adombra
sospetti
di
sotterranee complicità,
improvvisa
come il tuono
senti
l'infelicità dell'ospite
straniero.
Traforò
le strade deserte
si perse
con l'ultimo gufo.
* *
Era sera
per il secondo
felice
nel giuoco della luce e del buio
parte
esso stesso del giuoco
transito
che non cessa, fino a quando
tristemente
l'Essere comincia
a
fronteggiarti, acuto, sicuro
e
ineludibile
la
nebbia silenziosa si sgretola
dietro i
vetri
compone
grigie figure di pena.
Fu
breve, impercettibile.
* *
Un terzo
ci sarà
ancora
più breve
misterioso
suono di conchiglia
la
vitrea luce sottomarina
che
dissotterra i mostri
la
lampada fa luce rosa
vi gira
la falena
l'immobile
andare verso
il fondo
del mare
dove si
narrano storie ghignanti
mentre
qualcuno con la tua faccia
ti fa
cenno da lontano.
Muto.
Perduto.
da Alternative di memoria
La zia
canuta
Sta
venendo.
La mia
scortese morte sta venendo
(ali
lucide e sghembe di sparviero
trapassato
dai roveti per crinali sgomenti
appena
visitati da fantasmi)
non la
(nicciana) morte che voglio
ma
l'altra oscura assorta morte che viene,
sarà qui
a momenti, a giorni, mia zia
dal capo
forforoso e canuto e l'occhio
vitreo,
certa,
anonima, puntuale
come il
gobbetto in affanno a portare
la
sanguinosa bibbia giornaliera
ridente
nel mattino per i quattro
soldi da
tirare la carretta.
Muoiono
di morte manigoldi, poeti
e
costruttori e bandiere, pensieri,
le
patrie già tradite,
gli orsi
villosi delle alpi, le volpi
razionali,
l'insetto del mattino
vorticoso,
l'intrappolata lucertola
dallo
sguardo d'orfano seviziato
(la
vecchiaia saggia del mondo
è tale
muro screpolato d'ossa ritorte
e
teschi, garruli sibilanti
nella
spinta del vento)
e così
dev'essere:
i morti
meritano quel che hanno.
Verrà,
l'anno verrà e il fulminato
mattino
infine che il tempo
laggiù si
fermi, forse nel tripudio
miracoloso
d'un'estate,
laggiù
nel nevicato tramonto senza luce.
Intreccerai
ghirlande e gai canestri
su
vecchi giacigli senza tempo,
porte
arrugginite rigemeranno
come
antri staffilati dalla furia
di
spaventate notti liquorose.
Sarà
tutto come dev'essere
mentre
la bianca araba zagara
urlerà
di gioia, esaltata dalle adolescenti
colline
per la gran piana assolata del Simeto.
da Le forme della polvere
7.
Come
al mattino
le sirene delle fabbriche, come
il ragno appiattito nell’ombra
come la mosca ronzante contro
vetri trasparenti e tersi
come per la strada la gente corre
e i volti dementi paiono felici.
Si spaccano le vene di luce
ammucchiate come formiche
Ti raggiunge il terrore. Resti
senza occhi nella tua rivolta
d'esilio.
15.
Tutto
ormai noto: l'amore
e
lo scempio, le ferite, il pane
e
i vermi sinuosi come rimorsi,
i
treni senza meta volubili per la
collina
come lunatici, come soldati
perduti
dietro il loro pallore.
Su
e giù per corsie d'ospedali
fendere
lo spazioso tempio
del
crepuscolo senza luce
i
paradigmi ossuti e l'oscura
mestizia
della speranza.
Dal
treno scendono gai cadaveri
con
grida e bandiere ne cercano
altri
sotto il cielo
rosso
di rose rosse
nella
festa di rose rosse
nella
festa di tempie arrossate.
Sotto
il vento rose tempie e bandiere
si
tuffano tra l'erba bassa.
Si
sognano genesi e parabole
in
muti colloqui come preghiere.
E
io per me.
Per
me lascio i miei dèi inetti e testardi
brucio
vecchie (e nuove) domande
mi
ristendo sotto l'opaca quercia
della
terra nella luna furiosa,
per
ritrovar soltanto (ma è tutto)
un
cane oscuro in cerca d'altri occhi.
23.
Quando
il vento corre nero
e
sono i tuoi pensieri e la morte
artigli
il tempo e il massacro,
allora
cautamente
risvegliare
gli spettri ondeggianti
riassumere
il vecchio discorso
l'ordine
compatto delle cose
cercare
il dentro, ciò che è,
l'involucro
infine ben disteso
lasciando
fuori il vento nero