POESIE SULLA MADRE
BETTIOL, PIERSANTI, RAMAT, RONDONI, RUFFILLI
Quasi inesauribile è il novero degli autori che hanno dedicato poesie, scritti o ritratti alla propria madre (nella doppia immagine la madre di van Gogh). Solo qualche nome tra i poeti italiani: Gabriele D’Annunzio, Giovanni Pascoli, Salvatore Quasimodo, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Umberto Saba, Pier Paolo Pasolini… e l’ispirazione è continuata nel corso del Novecento e continua al presente. Ciascun poeta ha dato una diversa interpretazione alla figura materna, basandosi sul proprio sentire, sulla propria sensibilità ed esperienza. In tutte le liriche traspare un amore viscerale che lega i figli alle madri, un amore che può diventare anche terribile, fonte d’inesauribile angoscia, come nelle parole di Pasolini: “Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, / ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore. // Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere: / è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia. // Sei insostituibile. / Per questo è dannata alla solitudine la vita che mi hai data.”
Dal volume Madre (a cura dell’UCAI, GoPrint Edizioni):
COSÌ DIVERSE E UGUALI
Così diverse e uguali le incontri
lungo la strada,
risa gioiose d’un amore nuovo
inondano le madri che stringono
un figlio da poco nato,
non temono il distacco
la via segnata a ciascun uomo,
sorridono dall’altezza del loro amore
a quel gioco di fedeltà assoluta,
senza chiedere nulla oltre alla vita
chiara e inconoscibile.
Altre le seguono i visi tesi
il passo veloce
insicure del futuro
i figli s’allontanano troppo consci di sé
ogni dubbio sa di febbre,
guardano la città,
la sua parte più buia,
l’amore un’incognita del destino.
Oh sì, il tempo, la certezza del passato,
su volti ormai stanchi d’anni
s’ancora ai ricordi d’altre madri ancora,
ai dolori vissuti, a ciò che hanno speso
o ricevuto.
Chiedono risposte
all’ombra che s’avvicina,
una carezza forse mai ricevuta
una felicità d’appena ieri, ora negata.
IL LAVATOIO
madre, quei panni dei soldati
grigioverdi che lavi
lì tra le canne,
presso la Fornace
dove lavora il padre
e l’Anna arriva
col pane e la minestra,
di corsa e scalza,
giovane madre
del tempo che precede
dentro quel marzo
chiaro e luminoso,
striscia di giallo
il verde e lo sommerge
il tarassaco tenace
per tutti i campi,
e cerchia il lavatoio
d’acque azzurre e fredde,
sanno ancora di neve,
è appena sciolta,
gelano le tue mani
bianche, non adatte
ai campi, alle fatiche,
fragile la tua pelle
e così chiara,
più d’ogni altra donna
delicata.
…
QUEL NON FINITO AZZURRO
Severo azzurro, chiama disciplina.
Maestra fin tra le mura di casa
e fino all’ultimo giorno? Pareva
questo, dagli occhi di lei. Ma da quando
il tempo intorno e dentro alla sua vita
ha il passo inesorabilmente lento
non sai se di chi parte o di chi arriva,
quegli occhi sono azzurro che domanda
e nel loro debole fondo accentrano
la persona, non ancor tutta spenta.
Io la provoco: «Non mi dici niente?»
Esitando mi fissa, esclama: «Caro»…
Di più non le concedono le forze.
Ma, ch’io mi ricordi, è la prima volta.
Allora, sorridendo, anch’io m’attento:
«Cara»… Ma sul mio labbro ha un altro suono
la parola: è deluso, se m’ascolta,
quel non finito azzurro e il suo abbandono.
MANCHI SOLO TU
Come manchi tu
non manca niente
di ciò che ha nome.
Ma questo silenzio sofferente
che sembra inghiottire ogni cosa
mi rivela che tu manchi
come la gioia
che nessuno sa chiamare.
MIA MADRE
(Mia madre
mentre getta
indietro la testa
sulla camicetta
di seta, sorridente.
In un cappello
nero. L’abito
leggero, fantasia.
Con una mano
stretta sulla gola.
Piena di vita,
ardente.
Sui vent’anni.)
Ma non la riconosco.
La guardo e non
la vedo: il modo
non mi è noto.
Come quando frugavo
nella sua borsetta,
tra la scatola di cipria
lo specchio e la limetta.
Che lei vivesse
e fosse già felice…
mentre io non c’ero,
non esistevo
neppure come soffio
o impronta o vuoto.
ANNUNCIAZIONE
All’inizio sembrava pura luce,
non avevo paura
perché dentro la luce
un suono celeste
sentivo abitare fra le ali.
All’inizio ancora volteggiavano
ma senza ansimare
l’angelo arrivò:
percorsi gli infiniti
in un tempo non tempo,
non avendo bisogno
di alcuna forza se non quella
del Cielo.
Nulla trattenne il suo moto,
lo sentivo dal suono
fra le ali
ancora in movimento,
come quel flauto che mio padre suonò
un lontano mattino nel deserto.
Poi si fermò
ed alzatosi innanzi a me,
la sua forma mostrò
d’angelo.
Ti saluto
o piena di Grazia
mi disseil
Signore è con te.
Ero sposa futura a Giuseppe
e vivevo in un semplice luogo,
dove i giorni
si posano ai giorni
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e le albe e i tramonti
fanno sentire un frammento
di quell’infinito
da cui l’angelo attingeva
per le sue ali la luce.
Tu concepirai un Figlio
e sarà chiamato
figlio dell’Altissimo.
Ma non conosco uomo
-dissi all’angelo che d’un tratto
alle sue ali dette un moto-
Calerá su di te
l’Ombra dello Spirito
della cui luce una parte
delle mie ali è tratta.
Non durò a lungo l’incontro
con quell’angelo di Dio
che un nome aveva
e lo disse alla fine
quando com’era arrivato
se ne salì improvviso,
andando con le ali
e la sua luce celeste
su nell’alto
da dove era arrivato.
È così che conobbi
il mio futuro destino:
seppi da un angelo
in un giorno come tanti
che sarei diventata
la Madre di Dio.