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L’AMORE SECONDO GIOVANNI SATO

L’AMORE SECONDO GIOVANNI SATO

Il discorso  dell’amore  copre un percorso noto e ricorrente: la dichiarazione, il disagio, la gelosia, l’incontro, l’attesa,  la tenerezza, la passione,  l’io-ti-amo, l’esclusiva. Ma, proprio perché ci si muove in un territorio usuale, la reinterpretazione del  poeta si affida in misura inversamente   proporzionale all’originalità della  pronuncia oltre che all’incisività espressiva. È appunto il caso di  questo canzoniere d’amore di Giovanni Sato dal  titolo subito significativo Le metamorfosi del cuore (Biblioteca dei Leoni). E, in  presenza degli sconfinamenti dissennati e maniacali dell’amore, ecco subito l’opportunità di evocare  in  scena giusti talismani. Perché la superstizione rientra di diritto tra le pratiche del gioco amoroso e  servono “oggetti” (quelli dell’amato, naturalmente) ai quali attribuire il potere magico di tener lontani mali o pericoli. Non c’è innamoramento, infatti,  che non si trascini dietro una sana volontà scaramantica. Con una bravura istintiva, Giovanni Sato riesce a muoversi ardito e arguto in mezzo ai mille trabocchetti dell’eterna vicenda amorosa, riconsegnandone al lettore un attraversamento personale, del tutto inedito, perfino sorprendente e, in ogni caso, inaspettato. Nel giro breve di qualche verso, di qualche strofa al massimo e nella forma inquietante della poesia che tutto evoca e disperde. All’amata assente, l’autore fa continuamente il discorso della sua assenza. L’altra è assente come referente e presente come allocutrice: ne deriva il carattere  angosciato e angosciante del tempo “presente”, che è il tempo vero dell’amore (e del delirio amoroso). Il discorso amoroso, nella pratica corrente, è tutto  immerso negli stupori e nelle difficoltà delle differenze, ma può essere catastrofico, confuso, puerilmente sentimentale, ripetitivo  e contraddittorio. L’abilità del poeta che  intenda “ricostituirlo” in un testo autonomo (la così detta “poesia d’amore” di universale aspirazione) sta nella capacità di selezione, di setaccio, di  strutturazione. Contano, allora, il tono  e la tinta, le minime sfumature. Anche qui, la bravura di  Giovanni Sato si dimostra vincente.

Paolo Ruffilli

Editoriale

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