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CORAZZINI E I CREPUSCOLARI

CORAZZINI E I CREPUSCOLARI

…   Sergio Corazzini si inserisce nel crepuscolarismo, una vera e propria corrente letteraria. Per i crepuscolari il poeta non è un protagonista, non è un vate, c’è questo abbandono del linguaggio aulico a favore di un lessico quotidiano ed anche la figura del poeta presenta quasi un rifiuto. Ricordiamo l’inizio di “Desolazione del povero poeta sentimentale”, nel Piccolo libro inutilePerché tu mi dici Poeta? Io non sono Poeta. E lo stesso Guido GozzanoIo mi vergogno, sì mi vergogno di essere poeta (“La signorina Felicita”). Ed ancora Marino Moretti: Aver qualcosa da dire / nel mondo a se stessi, alla gente / Che cosa? Non so veramente / perché io non ho nulla da dire. Fino alla conclusione: Ed io sono l’unico al mondo / che non ha niente da dire (“Io non ho nulla da dire”). Cito anche Aldo Palazzeschi che dichiara apertamente: Son forse un poeta/ No certo (“Chi sono?”). Chi sono i crepuscolari? (pensiamo ai più noti: Corrado Govoni, Guido Gozzano, Marino Moretti, Sergio Corazzini). Subito ce lo suggerisce il giornalista e scrittore Giuseppe Antonio Borgese nell’articolo a sua firma, pubblicato su La Stampa con il titolo “Poesia crepuscolar”e il primo settembre del 1910, a seguito di una recensione scritta per Marino Moretti al libro Poesie scritte con il lapis. Ecco la definizione di Borgese su quello che i crepuscolari esprimono: “la torpida e limacciosa malinconia di non aver nulla da dire e da fare”. Quindi questa struggente stanchezza del vivere, questo cogliere la vita nei momenti brevi, sommessi, senza ornamenti. Uno dei primi poeti crepuscolari, Corrado Govoni, scrive in una lettera del 1904, all’amico Gian Piero Lucini, parole esemplari: “le cose tristi, la musica girovaga, i canti d’amore cantati dai vecchi delle osterie, le preghiere delle suore, i mendicanti pittorescamente stracciati e malati, i convalescenti, gli alunni malinconici pieni di addii, le primavere nei collegi quasi timorose, le campagne magnetiche, le chiese dove piangono indifferentemente i ceri, le rose che si sfogliano su gli altarini nei canti delle vie deserte in cui cresce l’erba”.   …

Roberta Degl’Innocenti

Literary.it

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